Leslie Howard non è certamente un nome che a un primo impatto scaldi il cuore dei tanti amanti del cinema di oggi. Non solo perché è un attore appartenente alla Vecchia Hollywood e quindi decisamente lontano dai nostri radar temporali, ma perché a parte qualche ruolo particolarmente famoso (uno in particolare, ma ci arriveremo) non ha mai desiderato lui stesso entrare nell’olimpo delle grandi star hollywoodiane, sebbene tra gli anni trenta e quaranta, il suo nome fosse tranquillamente accostabile in fama ai divi del tempo.
Un attore, produttore e regista, che è anche entrato nelle vite di alcune delle star, oggi sì ancora molto note e conosciute, intrecciando il suoi destini con i loro in maniera spesso importante, se non addirittura decisiva in alcuni casi.
A questo aspetto di involontario cicerone del mondo del cinema, Howard, oltre ad essere stato un grande attore, ha avuto un ruolo di non poca importanza anche al di fuori del dorato mondo di Hollywood, andando con il suo contributo umano ben al di là dell’aspetto puramente recitativo.
Molto importante fu infatti anche il suo impatto sulle sorti future del proprio paese, l’Inghilterra, non tirandosi mai indietro nel momento del bisogno e facendo appieno, e anzi forse anche molto di più di quanto il suo ruolo richiedesse in realtà, entrando attivamente, come diversi altri divi del tempo, in entrambi i conflitti mondiali.
Ma se per gran parte di alcuni grandi attori dell’epoca la guerra fu, per loro fortuna, soltanto un’affascinante parentesi della loro straordinaria vita, per Leslie Howard, il secondo contesto bellico in particolare, accanto a una vita amorosa e familiare solo in apparenza serena e felice, fu invece un irresistibile richiamo di sano patriottismo che lo spinse fino all’ultimo ad andare ben oltre i cancelli della vita.
Una stella del firmamento hollywoodiano senza dubbio, certamente oggi non tra quelle più brillanti e appariscenti tra gli astri di quell’illustre cielo, ma certamente potremmo descrivere Leslie, uno di quei corpi celesti lontanissimi dal pianeta Terra e scomparsi oramai in chissà quale lembo di cielo, ma di cui vale la pena recuperare la storia e raccontarla, è proprio da questo punto incominciare il nostro viaggio alla riscoperta di Leslie Howard, il malinconico antidivo che visse tra le stelle di Hollywood e che un giorno, all’improvviso nel cielo, si eclissò…
Leslie Howard: I primi anni (1893-1914)
Leslie Howard nasce a Londra, con il nome completo Leslie Howard Steiner, il 3 aprile 1893, nel distretto di Forest Hill da Ferdinand Steiner, un ebreo ungherese immigrato in Inghilterra e divenuto cittadino britannico nel 1891, mentre sua madre Lilian Blumberg apparteneva ad una famiglia londinese della borghesia agiata. Ma fin dal principio la sua vita non sarà destinata a rimanere piantata in un solo luogo, infatti la famiglia poco dopo la sua nascita si trasferisce a Vienna per alcuni anni, ritornando poi in Inghilterra ad Upper Norwood, sempre nei dintorni della capitale britannica, qualche anno dopo.
Ed è infatti qui che il piccolo Leslie muove i primi passi: incomincia ad interessarsi fin da piccolo al teatro, dapprima solo in ambito famigliare sostenuto dalla madre in particolare, per poi iniziare a studiare, in maniera professionale, all’Alleyn’s School di Dulwich, sempre a Londra, debuttando nel 1914, prendendo parte ad un film diretto dallo zio Wilfred Noy, The Heroine of Mons.
Questo però è solo il principio di una carriera, o meglio di una vita, iniziata in sordina, ma che presto vorticosamente lo porterà in aria e su cui, solo molti anni dopo, fu costretto a scendere…
Leslie Howard (1914-1920), il primo conflitto mondiale e gli inizi europei tra teatro e cinema
Allo scoppio della prima guerra mondiale, capiamo fin dal principio la sua altissima e nobilissima vocazione patriottica. Leslie Howard, a poco più di vent’anni, decide di non seguire le vicende belliche da casa, e si arruola volontario e resta in servizio nel Reggimento Northamptonshire Yeomanry con il grado di sottotenente fino al maggio del 1916, mese in cui viene congedato per motivi di salute.
Se da questo punto di vista la sua esperienza militare conosce un brusco stop, decide di investire le sue energie alla sua altra grande passione, quella per la recitazione, impegnandosi da quel momento in poi totalmente nel teatro.
Ovviamente gli inizi non garantivano entrate soddisfacenti per poter perseguire soltanto la carriera attoriale, quindi per un breve periodo di lavoro si tenne occupato come impiegato in una banca. Nel 1916 anche la sua vita sentimentale e familiare conosce un’importante svolta.
Nello stesso anno infatti sposa Ruth Evelyn Martin, dalla quale avrà il loro primo figlio, Ronald (1918-1996), il quale anche lui, seguendo le orme del padre, diventerà poi un discreto attore cinematografico e televisivo, sebbene non conoscerà mai il successo che il padre Leslie negli anni a venire otterrà con alcuni ruoli divenuti poi indimenticabili. Ma andiamo con ordine.
Leslie, tra il 1916 e il 1918, continua la sua gavetta come attore, principalmente nei teatri di provincia, partecipando alle tournée di opere di grande successo come Peg O’ My Heart e La zia di Carlo, mentre il suo primo ruolo di rilievo nella capitale londinese sarà in The Freaks di Arthur Wing Pinero. L’anno seguente, sempre sui palcoscenici londinesi, appare in The Title di Arnold Bennett e Our Mr. Hepplewhite di Gladys Unger.
Oltre a recitare in teatro, però, Howard in quel periodo incomincia ad interessarsi sempre di più anche al giovanissimo mondo del cinema del tempo, che muoveva in quegli anni, come lui, i suoi primi passi.
L’attore inglese, essendo nato negli anni in cui la Settima Arte muoveva i primi passi, come due amici di infanzia cresciuti insieme, vide la crescita di quella sua coetanea davanti ai suoi occhi.
Diverso tempo dopo, nel pieno della popolarità che acquisì negli anni Trenta, dirà la sua autorevole opinione sul neonato cinema sonoro e sulla sua variante muta che dal 1927, anno in cui il primo film sonoro, Il cantante di Jazz, uscì nelle sale, conosceva un lento, ma inesorabile declino, dimostrando però d’altro canto un tiepido entusiasmo sulla novità acustica nel cinema, accogliendola con tutte le riserve del caso.
Queste le sue parole sulle due diverse tipologie in cui si dibatteva la Settima Arte in quegli anni:
“È un mezzo molto affascinante e molto difficile da usare, poiché è una combinazione di così tante arti, ma la fotografia rimane la più importante di tutte. La macchina da presa resta infatti ancora l’elemento principale nella realizzazione di un film, anche se è stata (la fotografia) grossolanamente trascurata da quando è arrivato il sonoro”.
Howard riteneva infatti che dall’introduzione del sonoro l’arte del cinema visivo si fosse fermata, impegnata più a valorizzare, da quel momento in poi, la componente sonora del film, quando invece la pellicola dovrebbe essere, secondo il grande attore inglese, silenziosa al cinquanta per cento, quindi per almeno metà dell’azione cinematografica, per non togliere il legittimo spazio che la fotografia dovrebbe avere al suo interno.
Sul finire degli anni Dieci, però, tutti questi problemi erano ancora decisamente lontani dal dover essere affrontati, ma questa testimonianza dimostra quanto Howard fosse coinvolto nel dibattito, e quanto la sua opinione fosse tutt’altro che marginale nell’annosa questione che per anni si trascinò tra sostenitori del cinema sonoro e i nostalgici del muto.
Dopo il primo film del 1914, Leslie aveva ottenuto una parte anche in The Happy Warrior (1917), diretto da F. Martin Thornton. Nel 1919 Howard fondò con l’amico Adrian Brunel, addirittura una casa di produzione cinematografica a Londra, la Minerva Films, che si avvalse di attori già famosi in quel tempo come C. Aubrey Smith e di uno sceneggiatore importante come A. A. Milne.
Un aspetto, quello della produzione, che rimarrà sempre una parte importante nella vita dell’attore inglese preferendolo quasi addirittura alla recitazione stessa. Così, anni dopo, in due diverse interviste negli anni Trenta, ne parlava di questo suo essere a suo modo e per certi versi, un “attore anomalo”:
Dovrebbero essere alla base di un attore, qualità come l’esibizionismo che, purtroppo, a me manca irrimediabilmente. Non ho questo dono. Ma ci sono certe persone che sono certamente attori, nati per essere esibizionisti. Senza dubbio, loro sì, ne traggono grande piacere.
“Non ho mai provato un particolare piacere nel fare film, giusto un’occasionale soddisfazione per il pubblico che li ha apprezzati, ma senza nemmeno provare poi niente di chissà quanto durevole alla distanza… non dovrebbe essere invece così per un attore ? Ho iniziato la professione per caso, e ora che ci sono dentro da un po’, sono ansioso di uscirne”.
Un suo essere schivo e non particolarmente amante delle luci della ribalta, che lo rendevano quindi certamente, rispetto ad alcuni suoi carismatici colleghi, un attore sui generis.
Tornando ai primi anni da attore e produttore, Howard verso gli ormai imminenti e ruggenti anni Venti, recitò anche da protagonista in due dei film da lui prodotti, Five Pounds Reward e Bookworms. L’esperienza della Minerva Film, però, nonostante l’interesse suscitato (fra i finanziatori figurava anche lo scrittore H.G. Wells) ebbe vita breve, e si chiuse rapidamente nel 1921.
La sua carriera attoriale, al contrario invece, non conobbe affatto tale crollo.
Nel 1920, la sua esperienza come attore di teatro continuava brillantemente e il successo ottenuto sulle scene in pièce teatrali come Mr. Pim Passes By di A. A. Milne valse al giovane Howard addirittura una prestigiosa scrittura a Broadway.
Sull’onda di questo successo, volendo probabilmente eliminare la parte meno anglosassone dal nome, cambiò definitivamente il suo nome in Leslie Howard. La stella di Leslie era finalmente, anche nominalmente, pronta per risplendere anche sul suolo americano, lì dove il grande cinema, nel frattempo, stava freneticamente nascendo.
Leslie Howard (1920-1930), Tra Broadway e Londra, con uno sguardo ad Hollywood
Leslie Howard arriva quindi a New York nell’ottobre del 1920, scritturato da Gilbert Miller per la produzione di Just Suppose di A.E. Thomas, all’Henry Miller Theatre di Broadway. Inizia così la sua fortunata carriera dell’attore inglese sui palcoscenici di New York e di Londra, che alternerà, fino al 1936, ai frequenti impegni cinematografici che nel frattempo andarono col tempo ad accumularsi.
Il 1924 però si può dire che sia un anno decisamente fortunato ed importante per Leslie, non solo per la promettente carriera che Broadway cominciava ad offrirgli, ma anche perché in quell’anno nacque anche la sua secondogenita, Leslie Ruth (1924-2013).
Fra i suoi maggiori successi teatrali di Howard è bene ricordare Outward Bound di Sutton Vane (1924) — da cui fu poi tratto l’omonimo film nel 1930, in cui Leslie si cimentò come attore cinematografico, nel suo chiamiamolo battesimo hollywoodiano, sebbene in un ruolo diverso rispetto alla pièce teatrale.
Ci furono poi negli anni Venti, altri lavori teatrali di una certa rilevanza come The Green Hat di Michael Arlen (1925), Her Cardboard Lover di Valerie Wyngate e P. G. Wodehouse (1927), Escape di John Galsworthy (1927) e soprattutto Berkeley Square di John L. Balderston (1929), da cui nel 1933 venne tratto un film di successo, con sempre lui protagonista e che gli valse addirittura la prima candidatura agli Oscar e da lui giudicato, anni dopo, come il suo film preferito in assoluto.
Leslie Howard sembrava letteralmente instancabile in quel periodo. Diventando in quegli anni anche autore di racconti pubblicati su riviste importanti come il New Yorker e Vanity Fair, e di alcuni lavori teatrali che produsse, diresse e interpretò: Murray Hill (1927) (ripresa sulle scene e ripubblicata con titoli diversi: Tell Me The Truth e Elizabeth Sleeps Out), e Out of a Blue Sky (1930), rielaborazione di una commedia di Hans Chlumberg.
Il titolo di questa commedia non poteva essere più profetico dato che, come un fulmine a ciel sereno, era ormai pronto negli anni Trenta ad approdare ad Hollywood e il suo mondo dorato tra film leggendari, incontri con futuri ed eminenti colleghi, pericolose relazioni extraconiugali e molto altro. Il cielo stellato di Hollywood, insomma era ormai pronto ad accoglierlo, tra una stella e un’altra…
Leslie Howard (1930-1933), I primi grandi successi hollywoodiani, alcuni prestigiosi incontri e non meno pericolose liaison
Un errato giudizio: La cattiva sentenza di Leslie sul futuro Re di Hollywood
La porta di Hollywood era ormai aperta, nel frattempo però Leslie teneva con bravura spalancate le meno maestose, ma le sempre stimolanti porte del teatro, Broadway su tutte, anche perché proprio lì avvenne un incontro destinato a ripetersi, alcuni anni dopo, in ben altri contesti più importanti sulle dolci colline hollywoodiane, ma andiamo con ordine però.
Un aneddoto, che viaggia tra leggenda e realtà, riguarda proprio Leslie e un suo futuro grande attore e collega di set, lo riporterà nell’ottobre del 1931, un famoso giornalista del tempo, Mark Hellinger, il quale narrò che Leslie Howard stesse scrivendo e dirigendo un’opera teatrale a Broadway, non meglio precisata, e avesse un gran bisogno di un giovane attore per interpretare un aitante seduttore.
Un giovane tra i tanti, chiamò il teatro di riferimento e chiese di poter incontrare il regista ed eventualmente ottenere la parte.
Il produttore combinò e lo mandò direttamente da Howard, il quale gli fece fare un provino, ma riferì al suo mecenate alla fine di esso, che il giovane che gli aveva portato era assolutamente inadatto per il ruolo dell’eroe che tutte le donne adorano. Il giovane in questione venne perciò liquidato e quella parte finì altrove.
Ma il destino beffardo presentò poco più di un anno dopo il conto del frettoloso e, storia alla mano, ingiusto giudizio di Leslie su quel promettente giovanotto; perché poco più di un anno dopo, nel 1931, rincontrò il baldo giovanotto sul set di Io amo (A Free Soul), film statunitense del 1931 e diretto da Clarence Brown, esempio della cinematografia hollywoodiana precedente l’introduzione del Codice Hays.
Qui i ruoli erano però decisamente diversi: perché Leslie Howard era il protagonista insieme alla diva di allora Norma Shearer, mentre l’altro protagonista di questo pericoloso triangolo amoroso con in mezzo la seducente attrice era il futuro Re di Hollywood: Clark Gable. Questo, nel ruolo del cattivissimo e perfido Ace Wilfong, rubò i cuori di migliaia di donne che con lettere disperate facevano il tifo per lui.
La montagna di lettere dei fan a favore del cattivo ragazzo, e di conseguenza di rimbalzo contro il povero Leslie Howard, il buono della storia, colpevole nel film di aver ucciso il personaggio di Clark Gable e quindi vincitore della storia in sé, fecero invecchiare malissimo nel giro di un anno quell’affrettato giudizio sulle presunte incapacità di Gable di essere un credibile ed inguaribile seduttore.
Via col Vento nel 1939, fece rincontrare, qualche anno dopo i rivali di un tempo in uno dei più grandi film della storia per conquistare il cuore di una donna, Rossella O’Hara, confermando, una volta di più, come alla fine di tutto quanto quella prima impressione del 1930 fosse stata decisamente sbagliata da parte di Leslie e se allora era lui una stella di Broadway e Gable l’uomo che guardava le stelle il kolossal di Fleming ribaltò drasticamente i ruoli.
Il successo del film portò infatti il grande attore che interpretò magistralmente Rhett Butler nel firmamento di Hollywood, mentre Ashley Wilkes alias Leslie Howard, poco dopo lascerà volentieri quel cielo al più carismatico rivale cinematografico, per volare altrove e verso altri cieli, dall’altra parte del mondo e in cerca di altra gloria. Ci torneremo tra poco comunque anche su questo…
Un inguaribile seduttore di altri tempi dentro e fuori il set, nonostante tutto…
Tornando agli inizi degli anni Trenta, il futuro Ashley di Via col Vento, sebbene peccasse di certo in carisma performativo rispetto a Gable, l’attore inglese comunque non era l’ultimo arrivato a Hollywood, e a parte il “fallimento” di fama che Io amo nel 1931 garantì al rivale di set la vittoria morale nel cuore delle donne del tempo, non si può assolutamente dire che Leslie, nel lungo periodo, rimase a bocca asciutta di popolarità tra il genere femminile, costruendosi anche lui una reputazione, dentro e fuori dal set, da non meno consumato Dongiovanni.
Come spesso succedeva infatti, quando un attore incomincia ad affermarsi nei pressi della collina più famosa del mondo, dopo i primi anni di apprendistato a Hollywood e i buoni successi sotto ogni punto di vista, Howard fu spesso costretto a recitare in ruoli sentimentali piuttosto convenzionali e stereotipati, che alla lunga gli vennero a dir poco a noia.
La sua figura elegante e aristocratica gli aveva assicurato fin da subito grande popolarità presso il gentil sesso, relegandolo quindi spesso in ruoli di innamorato nobile e romantico, contrapposto a rivali malvagi e brutali, come appunto in film dei primi anni ’30 in Io amo con Gable come antagonista e in Catene (Smilin’ Through, 1932) con Fredric March in questo caso nei panni dello “sporco” rivale di Leslie, o in storie romantico-avventurose come La voce del sangue (1931) e Segreti (1933), uno degli ultimi film di Mary Pickford e uno dei ruoli meno amati dell’attore inglese per le difficoltà di set e di produzione da cui il lungometraggio fu afflitto ai tempi.
In questi primi film, dove ottenne comunque un clamoroso successo di pubblico e fama, fu, come costume del tempo, affiancato a recitare accanto ad alcune delle attrici più celebri del tempo, come la citata Mary Pickford, ma anche attrici del calibro di Marion Davies, Norma Shearer e Ann Harding. Sempre nel 1933, Howard girò un altro film con Douglas Fairbanks Jr., Catturato (Captured!), una storia di guerra e di eroismo ambientata nelle trincee della prima guerra mondiale.
Un altro ruolo che interpretò più volte sullo schermo è stato quello dell’uomo conteso da due donne, che da Five and Ten (1931) a Service for Ladies (1932), arrivò a The Animal Kingdom (1932), già da lui interpretato a teatro sotto la regia di Philip Barry nello stesso anno, e che arriverà al suo massimo splendore con il personaggio di Ashley Wilkes in Via col vento nel 1939.
Anche fuori dal set, comunque, nonostante l’apparenza di uomo sposato ed integerrimo padre di famiglia, anche lui come altri divi dell’epoca, fu costantemente al centro di numerosi rumors a causa delle sue continue avventure con attrici e donne famose, guadagnandosi, una più o meno illustre, certa fama come donnaiolo.
In molti casi si trattava certamente di storie inventate dai media per vendere copie, spacciandolo come amante di attrici come Katharine Hepburn, Marlene Dietrich, Mary Pickford, Merle Oberon, Myrna Loy, Marion Davies, Tallulah Bankhead, Conchita Montenegro e della sceneggiatrice Helen Deutsch, oltre ad avere apertamente un’amante fissa, Violette Cunnington, che fungeva ufficialmente come sua segretaria.
Se su gran parte delle donne citate però Howard, non rivelò mai nulla che potesse far credere all’esterno, su questa sua presunta doppia vita di sciupafemmine, sulla Hepburn, con la quale sembra ebbe un breve flirt nel maggio del 1933, qualcosa fece intuire quando durante una sua intervista, andò ben oltre il giudizio sulle indubbie qualità attoriali della grande attrice di Scandalo a Filadelfia:
«È piacevolmente diversa, e non si affida come fanno quasi tutte le ragazze americane, al sex-appeal».
Andando al di là, sulla sua più o meno veritiera fama di donnaiolo che in quegli anni aleggiava sulla sua figura, in un’intervista con la giornalista del tempo Doris Mckay che lo intervistò in quegli anni nell’intimità della sua casa, e che essa stessa rimase non poco affascinata dall’affascinante attore inglese.
A chiusura di un’intervista, Howard, riprendendo una citazione di un famoso poeta, trovò una massima che spiegava la considerazione e la riverenza dell’attore inglese che aveva per il genere femminile, nell’ovvio senso più alto del termine:
“Nell’amore di una brava donna hai tutto: tutte le meraviglie dei secoli, le ragazze dalla pelle scura che infiammano i tuoi sensi con i loro trucchi, le donne fredde e dai capelli biondi che ti attirano e ti sfuggono, quelle gentili che ti riveriscono, le frivole che ti tormentano e le madri che ti hanno partorito e allattato, tutte le donne che Dio ha creato dalla pienezza brulicante della terra, sono tue nell’amore di una sola donna”.
Leslie Howard. La consacrazione ad Hollywood e una buona intuizione (1933-1936)
Negli anni successivi, consolidata la sua fama e divenuto sempre più selettivo nella scelta dei personaggi, ebbe modo di rivelare anche sullo schermo, come già era accaduto in teatro, le sue doti di interprete in film di maggior impegno e prestigio come ne La strana realtà di Peter Standish (1933), riduzione cinematografica della commedia Berkeley Square, da lui già portata anni prima sulle scene di Londra e di Broadway nel 1929.
Schiavo di un giovanile amore perduto tra cinema, letteratura e realtà…
Fu un altro ruolo che però consolidò nel tempo ancor di più il suo grande status di attore impegnato: Schiavo d’amore (Of Human Bondage) nel 1934, per la regia di John Cromwell e che lanciò definitivamente anche Bette Davis come coprotagonista della drammatica pellicola, tratto dal meraviglioso romanzo del 1915 di William Somerset Maugham, in cui Howardnterpretava il tormentato protagonista, Philip Carey.
Uno sfortunato uomo con un’evidente imperfezione fisica ad un piede menomato, e che cercherà, spinto da un folle e triste amore per Mildred, donna frivola e indegna di lui, che lo ama e lo deride allo stesso tempo, tenendolo rinchiuso in una sorta di prigione amorosa in cui Philip invano cercherà di uscire.
Un amore certamente sfortunato quello raccontato da Maughan, che dovette riportare alla mente di Leslie, la sua giovinezza anch’essa segnata da un amore infelice. A Londra infatti anni prima, aveva conosciuto e lungamente amato una sua coetanea, la ragazza però poi stancatasi della timida adorazione del giovane, aveva poi deciso di sposarsi con un anziano commerciante, spezzando il cuore dello sfortunato Leslie.
Il futuro grande attore inglese, non aveva ancora vent’anni ai tempi della sfortunata storia d’amore di cui era stato suo malgrado, lui stesso in quel caso, triste protagonista. Un’apparente e semplice storia d’amore giovanile, che però rimase indelebile nel suo animo ferito di giovane uomo. Per tutta la vita, dietro l’ironia nel suo sguardo, Leslie Howard, pur amando moltissimo le donne, mantenne sempre una specie di cauta diffidenza nel confronto di tutte le donne.
Anni dopo quella cocente delusione amorosa, quando si sposò anche lui, il suo matrimonio stesso non poté completamente guarire quelle ferite, e forse non è un caso che ricercasse inutilmente proprio quelle antiche e dolci emozioni, dietro le tante e fugaci conquiste amorose e avventure extraconiugali di poca importanza di cui fu protagonista nella sua vita, e non trovando nemmeno lì quelle risposte, cercò anche nella recitazione di far emergere quei delicati e romantici accenti di poetica verità persa nella realtà di tutti i giorni .
Forse anche per questo, si accostò al personaggio di Romeo che interpretò nel 1936 nel film convinto dal celeberrimo produttore del tempo, Irving Thalberg, ad impersonare sullo schermo uno dei massimi eroi romantici della storia della letteratura, Romeo per l’appunto, in Giulietta e Romeo diretto da George Cukor, a fianco di Norma Shearer.
Un ruolo questo che però non lo attirava particolarmente, ma che Howard accettò ufficialmente perché certamente considerava quell’imponente tentativo di portare Shakespeare sullo schermo come uno dei più grandi esperimenti cinematografici da dover compiere in quegli anni (nel 1936 produsse, diresse ed interpretò anche l’Amleto di Shakespeare a teatro), ma forse segretamente per certi versi, far rivivere quel sentimento ormai lontano, chiamato amore e a cui aveva cessato di credere, nella sua forma più alta e nobile, sulla soglia dei suoi vent’anni.
Un sentimento che non espresse mai apertamente nelle varie interviste che rilasciò in vita, ma che nascosto in una lettera ad un caro amico, anni dopo venne ritrovato in una struggente massima in cui è racchiuso il suo amaro pensiero su quel sentimento “che muove il sole e le altre stelle”:
“Di amore, sono pieni i libri. E ne è così povera, invece, la vita.”
Leslie Howard, riprendendo in parte una citazione che in maniera simile farà sua anche Faulkner, aveva imprigionato lì nei suoi libri e nella sua arte, lì aveva rinchiuso per sempre la parte più profonda del suo cuore. A Londra, a Hollywood o ovunque si trovasse in viaggio, una dozzina di casse di libri lo seguivano sempre con sé.
Questa era la parte “più indispensabile” della sua biblioteca e che nonostante le delusioni, le guerre, la famiglia, le avventure amorose e la brillante carriera attoriale, portava e conservava gelosamente con sé.
L’altra parte, che contava invece decine di migliaia di volumi, e che venne valutata ad una cifra sbalorditiva, conteneva invece manoscritti rarissimi, alcuni dei quali, sono oggi custoditi al British Museum.
L’arte recitativa a teatro e nel cinema nella sua più sfacciata esteriorità da una parte, e la letteratura, nelle sue più disparate e diverse forme tra le più intime e profonde pieghe dell’anima dall’altra, salvarono o meglio consolarono il romantico lato di Leslie, conservando tra i resti di quello che rimaneva, parte forse di quel suo giovanile e profondo amore andato perduto diversi decenni prima.
Un ruolo profetico e una felice intuizione: il battesimo di Leslie ad un altro futuro grande attore
Nel 1934, un altro grande successo Leslie Howard lo ottiene nel film La Primula Rossa, nel quale, nel contesto della rivoluzione francese, fornirà un’indimenticabile interpretazione di sir Percy Blakeney, personaggio avventuroso celato sotto la maschera del damerino inglese, consacrandolo definitivamente nel suo ruolo di stella con accanto a sé un’altrettanto brillante Merle Oberon.
Questo film tra le altre cose fu uno dei pochi film di produzione inglese a cui partecipò nei primi anni Trenta, densissimi di impegni tra Hollywood e Broadway, a cui accanto al La Primula Rossa si accompagnarono Service for Ladies (1931) e The Lady is Willing (1934).
Nel 1935 recita a Broadway in La foresta pietrificata (The Petrified Forest), tratto dall’omonimo dramma teatrale di Robert E. Sherwood. Proprio in vista della trasposizione cinematografica di quest’opera, ne deriverà un altro importante e decisivo incontro con un’altra futura grande star di Hollywood, che in qualche modo riscattò il cattivo intuito che ebbe con Gable qualche anno prima.
In questo caso, il suo ruolo era quello di un poeta vagabondo, anche qui, come in Schiavo d’amore qualche anno prima, sarebbe stato affiancato dalla sempre bravissima Bette Davis.
C’era da definire, però, un altro ruolo fondamentale per il film: quello del gangster Duke Mantee. La Warner Bros., in veste di produttore del film, aveva inizialmente pensato di affidare questo ruolo al più affermato Edward G. Robinson, ma Howard non ci stette e minacciò di abbandonare la produzione se fosse stato scelto un altro attore per il ruolo del gangster.
A proposito, l’attore in questione che sostenne tanto l’attore inglese era un certo Humphrey Bogart, che aveva recitato il medesimo ruolo con lui a Broadway, ma che sembrava tagliato fuori in vista dell’omonimo lungometraggio. Howard l’ebbe vinta, il film uscì, ed ebbe un successo così grande che rese, da quel momento in poi, il futuro grande attore di Casablanca e simbolo del cinema noir, una star internazionale.
L’attore fu sempre grato al più esperto collega per il resto della sua vita per quell’opportunità che ebbe e che senza l’intervento del grande attore inglese, forse non sarebbe mai più arrivata. Una felice intuizione che lanciò definitivamente la carriera dell’attore di Sabrina nel luminoso olimpo di Hollywood, divenendo, da lì a pochi anni, uno dei più grandi attori visti sul grande schermo.
La gratitudine verso Howard fu talmente grande da parte di Bogart, che non se ne dimenticò mai negli anni a venire, tanto da ripagare questo debito di riconoscenza, dando alla propria figlia, diversi anni dopo, il nome del caro amico: Leslie Howard Bogart.
In questo caso, quindi, Leslie Howard riscattò il cattivo intuito per quanto riguardava la stella di Gable, ma che stavolta avveduto e più esperto navigante nel mondo del cinema, intuì, in maniera certamente più acuta rispetto alla precedente occasione, che all’interno di quella foresta pietrificata a Broadway, potesse nascondersi una stella altrettanto brillante e che anche ad Hollywood prima e per tutto il firmamento mondiale poi, sarebbe potuta risplendere con altrettanta forza.
Potremmo quindi inserire tra le professioni di Leslie Howard non solo grande attore, produttore e regista, ma anche fortunato lasciapassare di futuri astri nascenti del cinema, che con o senza la sua benedizione poterono risplendere, anche grazie a lui…
Leslie Howard. Dalle commedie verso Via col Vento…(1936-1939)
Howard, dopo i successi di pubblico e l’aumento della sua fama, incominciava a mostrare sempre più interesse e a nutrire una particolare propensione verso la commedia, che gli consentiva toni autoironici, mostrando un lato di sé, a parte Primula rossa, poco visto almeno nella mecca del cinema.
Film come Avventura a mezzanotte (It’s Love I’m After), a fianco di Bette Davis e Olivia de Havilland, in cui interpreta la caricatura di un attore di teatro vanitoso e disponibile alle avventure galanti, e Ed ora… sposiamoci, con Joan Blondell e l’amico fraterno Humphrey Bogart, in un’efficace satira del mondo del cinema, entrambi lungometraggi del 1937, e che dimostrarono che Howard volesse sempre più far conoscere questo suo lato leggero ed autoironico.
Perseguendo probabilmente la satira di sé stesso, regala nel Pigmalione, tratto dall’omonima commedia di George Bernard Shaw, una delle sue migliori interpretazioni che gli vale la sua seconda candidatura agli Oscar e del quale cura anche la regia con Anthony Asquith, e per il quale riceve anche la Coppa Volpi al miglior attore alla 6ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 1938.
Altro ruolo importante è l’appassionato violinista di Intermezzo, remake del film svedese di Gustaf Molander del 1936 con medesimo nome, accanto a un’altra grande star in rampa di lancio anche nel nuovo continente come Ingrid Bergman.
Un film molto importante soprattutto per ciò che girava attorno a quel lungometraggio: dietro le quinte si muoveva infatti il mega produttore del tempo, David O. Selznick, che approfitta dell’occasione suggeritagli da Howard, per mettere da una parte sotto contratto Ingrid Bergman e lanciarla così con grande successo nel circuito hollywoodiano, mentre dall’altra parte assicurarsi proprio Leslie Howard, che teneva molto al ruolo in quel film, ma che in cambio avrebbe dovuto partecipare ad un kolossal che in quel momento il grande produttore americano stava formando.
Ovviamente stiamo parlando di Via col Vento che da grande star fece diventare leggenda, tra gli altri, anche il buon Leslie…
Leslie Howard. Via col Vento: i dubbi, Vivian Leigh e l’addio ad Hollywood (1939)
Leslie è stato il membro del cast più riluttante a partecipare al film, addirittura più del suo antico nemico di set, Clark Gable, quindi si può tranquillamente dire che almeno, in questa personale battaglia, la spuntò sul futuro Rhett Butler.
Il motivo che lo portò ad accettare è da ritrovare nel fatto che David Selznick gli promise, se avesse accettato il ruolo di Ashley, di diventare produttore di Intermezzo (film sempre del 1939 a cui Leslie, in quanto produttore associato, ci teneva a far sì che venisse prodotto da un mecenate di tale importanza).
I dubbi di Howard non erano però solo riconducibili a lui. Anche nell’ambiente circostante, si vociferava e serpeggiava tra gli addetti al lavoro, che Howard non era una scelta granché popolare per il ruolo di Ashley. Innanzitutto perché era inglese e non americano, ed essendo un film molto patriottico non è che la cosa piacesse molto. Oltre a questo c’era da considerare che all’epoca l’attore inglese aveva 46 anni, mentre il personaggio di Ashley nel romanzo avrebbe dovuto averne 21, venticinque anni d’età, che rischiavano cronologicamente di far sembrare troppo lontana la sua rappresentazione cinematografica da quella letteraria.
A questi dubbi, provenienti da entrambe le parti, l’attore inglese cominciava a provare una forte insofferenza verso la professione di attore, stanco di dover interpretare alla sua età, uomini e sognatori con poca spinta, ambizione o forza virile sui fatti reali che nel frattempo stavano, da lì a poco, precipitando in direzione del secondo conflitto mondiale. I dubbi poi erano anche, per fortuna, di natura decisamente più leggera, puramente estetica.
A sua figlia Leslie “Doodie” Howard, così scrisse durante la preparazione del film:
“Odio quella dannata parte. Non sono abbastanza bello o giovane per Ashley, e mi fa star male essere truccato tanto per sembrare attraente.”
Allo stesso modo, anche con l’attrice protagonista, Vivien Leigh, le cose non andavano affatto bene essendo i loro rapporti all’interno del set, non propriamente idilliaci. Sebbene avessero in comune la medesima nazionalità (entrambi inglesi), e tra l’altro con le stesse problematiche da parte della Leigh di farsi accettare dal pubblico americano per un ruolo come quello di un’ereditiera del sud come Rossella O’Hara.
L’unica cosa in cui differivano i due, era sul discorso della bellezza; certamente nessuno aveva nulla da ridire, da questo punto di vista, sulla bellissima Vivien Leigh, rispetto ai dubbi legittimi dell’attore di Schiavo d’amore sotto questo aspetto forse troppo avanti d’età per quel ruolo.
Leslie Howard era così demotivato sul set che non lesse mai il libro e le battute dell’intero copione, se non ovviamente quelle utili che doveva memorizzare il giorno delle riprese, cosa che non dovette attirare grande simpatia da parte del resto del cast.
Andando avanti però con le riprese, la sua opinione sul film cambiò radicalmente, e anche le cose che inizialmente sembravano dargli più fastidio, diventarono quasi piacevoli:
“Quando ho indossato l’uniforme da confederato per le riprese di Via col vento, guardandomi allo specchio ho avuto la netta sensazione di assomigliare al portiere di Beverly Wiltshire (hotel di lusso di Beverly Hills) . Una bella cosa alla mia età”.
E anche l’opinione sul Vivien Leigh/Rossella O’Hara diventò tutt’altro che negativa come sembrava essere in principio. Così in un’intervista ad Esquire del 1939 parlò del rivoluzionario ruolo della Leigh:
«Forse la mia idea di Scarlett è diversa da quella di alcune persone. Ma l’ho studiata attentamente. Penso di avere ragione. Era affascinante, anche più per alcune qualità vitali del suo carattere che per la sua bellezza. Avrebbe fatto ciò che si era prefissata di fare, non importa se nel farlo fosse andata incontro alla propria distruzione. Ammiri la sua determinazione e il suo coraggio.
Quando le cose andavano male, non si sottometteva. Ha distrutto e insistito finché non ai risistemavano o trovava una via d’uscita. Ma nessun uomo avrebbe mai potuto sopportare Scarlett per tutta la vita. Lo avrebbe fatto impazzire. Era spietata, abbagliante e dura. Anche Rhett Butler la lascia ad un certo punto, sai. C’è qualche indicazione nel libro che potrebbe indicare che potesse tornare, ma non credo che l’abbia fatto”.
“Naturalmente non voglio dire che le donne moderne siano necessariamente spietate e dure. Quando dico che Scarlett era moderna, intendo dire che non si è inchinata al destino o è rimasta tranquillamente a casa a piangere per ciò che voleva. Uscì subito e cercò di prenderlo.
Aveva una grande fiducia nelle proprie capacità, e in se stessa. Ai suoi tempi, non era il caso che un uomo fosse aggressivo, sai. Una donna non andava in giro per il mondo e combatteva per ciò che voleva, che si trattasse di trovare una forma di sostentamento o di qualsiasi altra cosa. La brava ragazza rimaneva a casa, molto signorile, e si sposava bene”.
Naturalmente, se non fosse scoppiata la Guerra Civile, Scarlett non sarebbe diventata l’intelligente donna d’affari e l’astuta oppurtinista che è diventata. Ma, intendiamoci, quelle caratteristiche erano sempre state lì; pronto per emergere nelle giuste condizioni. Ho affermato che Scarlett era spietata. Mi chiedo, a questo punto, se tutte le donne davvero grandi – e lei aveva elementi di tale grandezza – non fossero anche loro spietate. Probabilmente dovevano esserle. Regina Elisabetta, Caterina di Russia…
Tuttavia, Scarlett è un personaggio che le donne ammirano più degli uomini. Oh sì, ne sono certo. Alle donne piace perché fa quello che le piace, e spesso ha la meglio sugli uomini in una battaglia di ingegno. Questo non piace molto agli uomini”.
Insomma, un deciso cambio di rotta portò Howard, tutto sommato, ad apprezzare quel film, anche perché probabilmente da persona intelligente che era, aveva intuito una volta che il film in cui stava lavorando si stava formando sotto il suo naso, che non era certo uno di quelli che capitavano tutti i giorni.
Da uomo consapevole e non ostinato, quindi fece una saggia retromarcia, forse spinto anche dal punto di vista del merchandising del film, anche perché era importante vendere bene il ruolo di Rossella O’Hara, eroina assoluta del futuro kolossal, e tutto sommato apprezzata alla fine, almeno a parole e con qualche riserva, anche dallo stesso Howard.
Il capolavoro di Fleming si rivelò quindi stranamente e sorprendentemente terapeutico per Howard. Come il suo personaggio Ashley, anche Leslie Howard era molto preoccupato per l’avvicinarsi della guerra (in questo caso la Seconda Guerra Mondiale) e per ciò che avrebbe significato per il suo paese.
Infatti spiravano venti di guerra che chiamavano, ed essendo un uomo non estraneo alle vicende del suo mondo (L’uomo che se ne fregava – Leslie Howard: The Man Who Gave a Damn– non a caso è il nome del documentario sulla sua vita uscito nel 2015 in chiara antitesi con la celebre battuta finale del suo rivale cinematografico Rhett Butler/Clark Gable in Via col Vento), non si sarebbe neanche questa volta tirato indietro.
L’antico richiamo che lo aveva portato giovanissimo ad entrare in guerra nel primo conflitto mondiale venticinque anni prima, ora Leslie lo sentiva riecheggiare dentro di sé e lo spingeva a tornare nel suo amato paese, facendo anche stavolta la sua parte per la sua amata patria in serio pericolo.
Gli Stati Uniti erano stati la meta del suo viaggio e, ottenuto successo e fama, era tempo di invertire il senso di marcia e virare verso il vecchio continente e la sua adorata Inghilterra per fare ciò che sentiva essere il suo dovere, per chiudere un cerchio aperto venticinque anni prima, e come in un film c’è un inizio e una fine, ora anche quello della vita doveva essere chiuso, lì dove tutto era iniziato…
Leslie Howard. Un artista al servizio di sua maestà (1939-1943)
Negli anni successivi, le interpretazioni cinematografiche disinteressate di Leslie Howard si diradarono sempre di più, dopo Intermezzo e soprattutto Via col Vento, come accennato in precedenza, preferendo occuparsi di questioni di carattere nazionale, sempre riguardanti il cinema e il teatro, ma con un sentimento diverso, più votato al benessere collettivo che a quello della soddisfazione personale.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Howard rientra quindi in Inghilterra dove incomincia il suo lavoro di artista impegnato al servizio dello stato britannico e quindi di sua maestà. Interviene in numerose trasmissioni radiofoniche, compresa la sua partecipazione ad alcuni radiodrammi fra i quali spicca una versione del suo celebre film La Primula Rossa, interpretato nel 1938 con Olivia de Havilland, che parteciperà con lui al kolossal nato dalla penna di Margaret Mitchell.
Dopo aver partecipato a Gli invasori – 49mo parallelo, diretto da Michael Powell, nel ruolo dell’antropologo Philip Armstrong Scott, interpreta, dirige e produce alcuni film a sfondo patriottico-propagandistico: La Primula Smith (1941), film da lui interpretato e diretto, ispirato al personaggio della Primula Rossa riadattato però ora in chiave anti-nazista secondo il suo gusto per il caricaturale, e Il primo dei pochi (1942), la sua ultima interpretazione cinematografica, a fianco di David Niven.
La sua ultima apparizione teatrale fu quella, nel ruolo di Horatio Nelson, nell’edizione di Cathedral Steps di Clemence Dane realizzata nel 1942 come speciale celebrazione del Trafalgar Day sulla scalinata della cattedrale di St.Paul’s a Londra[7].
Come regista invece, per quello che sarà il suo ultimo film, promuove Sesso gentile nel 1943, un film di propaganda britannico, utilizzato per promuovere l’immagine del Servizio Ausiliario Territoriale femminile e quindi dare anche un punto di vista, poco conosciuto, riguardante il ruolo della donna in un contesto inedito come quello di una guerra.
Forse era destino che l’ultimo argomento del suo film riguardasse temi come la guerra, le donne e la sua patria, tre capitoli da sempre fondamentali nella vita di Leslie. Ora era infatti il momento di intraprendere l’ultimo viaggio e lasciare tutte queste cose a terra, era l’ora di staccare il biglietto del destino e partire…
Leslie Howard. La morte, le teorie di complotto e il lascito di una stella silenziosa (1943)
Alla fine di aprile del 1943, Leslie partì per un giro di conferenze in Portogallo e in Spagna, durante il quale presentò i suoi ultimi film e parlò della sua visione di Amleto. Il 1º giugno 1943 s’imbarca a Lisbona per fare ritorno in Inghilterra sul volo KLM/BOAC 777 a bordo di un Douglas DC-3.
Mentre l’apparecchio sta sorvolando il golfo di Biscaglia, il suo aereo viene però intercettato e di conseguenza abbattuto da una squadriglia di Junkers Ju 88 della Luftwaffe. L’indomani uno Short S.25 Sunderland della RAAF, l’aeronautica militare australiana, mandato a perlustrare il sito dell’abbattimento alla ricerca di superstiti, viene attaccato anch’esso da velivoli della stessa squadriglia di Junkers. Nessun superstite venne recuperato tra i tredici passeggeri e i quattro uomini di equipaggio.
Termina così il viaggio su questa terra di Leslie Howard, ma non con lui le teorie che hanno portato questa silenziosa stella del cinema spegnersi al principio di giugno di quell’anno.
Diverse versioni circolarono fin da subito sull’incidente. Nel libro Soldaten. Combattere uccidere morire. Le intercettazioni dei militari tedeschi prigionieri degli Alleati, di Sonke Neitzel e Harald Welzer del 2012, dove sono raccolti 150.000 verbali riguardanti intercettazioni che gli americani raccolsero tra le conversazioni di migliaia di prigionieri tedeschi. All’interno di essi, nel paragrafo “Caccia” è descritto nel dettaglio l’episodio raccontato da uno dei piloti tedeschi che ha fisicamente abbattuto l’aereo su cui viaggiava l’attore britannico.
La versione più nota e diffusa del tempo sostiene comunque che i tedeschi credettero erroneamente che sull’aereo fosse imbarcato Winston Churchill, ma i dubbi permangono anche oggi perché non si capirebbe il senso di mettere a repentaglio e in pericolo la vita del primo ministro inglese, su un volo facilmente intercettabile.
Altre teorie nel corso del tempo hanno suggerito invece che l’obiettivo fosse proprio l’attore inglese, divenuto nel frattempo un ottimo conferenziere in quegli anni, e che proprio per queste sue abilità di oratore antinazista e i suoi film di propaganda, in particolare Primula Smith, aveva irritato a tal punto i vertici del regime hitleriano da decidere alla prima occasione utile di abbatterlo, ritenendolo in qualche modo se non pericoloso per le sorti della guerra, comunque un fastidio da eliminare prima che lo diventasse davvero.
Da non sottovalutare il fatto che probabilmente le presenti conferenze culturali di Leslie Howard celassero in realtà la copertura per una missione diplomatica segreta, e che l’attore, pur essendo importante, fosse considerato implicitamente sacrificabile da parte dell’Intelligence inglese, e che per non bruciare le future e nuove intercettazioni che avrebbero potuto uscire nei mesi a venire e per le cosiddette ragioni di Stato, venne sacrificato lo sfortunato attore per il bene comune del futuro regno di sua Maestà.
Nessuna di queste teorie, tuttavia, ha finora mai avuto una conferma ufficiale.
Tanto che anche la data della morte di Leslie Howard rimane ancora oggi un punto interrogativo non facilmente risolvibile. Persino anni dopo su questo dato si è, volutamente o meno, forse ironizzandoci sopra sull’ambiguità della data certa, fatte diverse teorie, come nel film Bright Victory del 1951, dove il sergente Nevins (Arthur Kennedy) che si sta facendo leggere un giornale, e tra i suoi trafiletti viene riportata la data della presunta morte di Leslie Howard.
La data sul giornale indicata però è il 3 settembre 1943, mentre Leslie Howard sarebbe morto secondo fonti ufficiali il 1° giugno 1943, quindi insomma anche la data della sua morte rimane avvolta nel mistero.
Abbiamo però l’ultimo messaggio che fu raccolto dalla radio di bordo dell’aereo su cui viaggiava Leslie Howard:
“Siamo attaccati dal nemico…”.
Così si chiude la parabola umana di un grande attore certamente molto amato ai tempi, ma anche parecchio bistrattato su diversi livelli a differenza per esempio del suo rivale cinematografico, Clark Gabl.
Gable amatissimo e riverito da tutti: dalla sua patria e con tutti gli onori del caso, la discutibile ammirazione persino di Hitler, adorato dalle donne, dai cieli e dalla sorte, sebbene un anno prima della morte di Howard anche a lui il cielo gli aveva portato via l’amore di una vita, ma non la sua vita, quella il destino non ebbe il coraggio di portargliela via, lo sfortunato Leslie Howard non ebbe tanta buona sorte, ma certamente il mondo del cinema non l’ha comunque dimenticato, anche a distanza di tanti decenni dall’incidente in cui perse la vita più o meno in condizioni misteriose.
E se oggi non è forse tra le stelle più luminose del firmamento hollywoodiano che brillano di più, certamente il suo passaggio ha permesso a molte di queste di poter brillare anche grazie a lui, e come ogni scopritore di astri celesti ha fatto da pioniere un giorno del 1943, facendo da apripista affinché decenni dopo, molte altre stelle potessero poi raggiungerlo e riempire così i cieli di tutto il mondo, anche grazie a Leslie Howard, la stella silenziosa di Hollywood che poco più di ottant’anni fa si eclissò, ma che una volta passata, non venne più dimenticata.