The Artist (Id.)
Regia: Michel Hazanavicius; soggetto e sceneggiatura: Michel Hazanavicius; fotografia: Guillaume Schiffman; scenografia: Laurence Bennett e Gregory S. Hooper; costumi: Mark Bridges; colonna sonora: Ludovic Bource; montaggio: Anne-Sophie Bion e Michel Hazanavicius; interpreti: Jean Dujardin (George Valentin), Bérénice Bejo (“Peppy” Miller), John Goodman (Al Zimmer), James Cromwell (Clifton), Penelope Ann Miller (Doris), Missi Pyle (Constance), Joel Murray (il poliziotto), Ed Lauter (Il maggiordomo), Malcolm McDowell (la comparsa), Beth Grant (la governante di casa Miller); produzione: Thomas Langmann per La Petite Reine, Studio 37, La Classe Américaine, JD Prod, France 3 Cinéma, Jouror Production, uFilms; origine: Francia – 2011; durata: 100′.
Trama
Hollywood, 1927. George Valentin (Dujardin) è il divo per eccellenza del cinema muto: con i suoi film, romantici e avventurosi, fa sognare le platee. Una sera, dopo la prima del suo ultimo successo, all’uscita viene fotografato per caso insieme ad una sua giovane ammiratrice, Peppy Miller (Bejo)e l’immagine finisce sulla copertina di Variety. L’improvvisa notorietà consente alla ragazza di entrare nel mondo del cinema, inizialmente come comparsa e sul set finisce per incontrare nuovamente Valentin che la consiglia. Tra i due c’è un’intesa particolare, che non si spinge oltre. Diffidente verso l’avvento del sonoro, che considera una moda passeggera, egli rifiuta di recitare nelle pellicole parlate, abbandona il suo storico produttore AL Zimmer (Goodman). Il divo decide di produrre, investendo gran parte delle sue sostanze, un kolossal muto, come quelli che lo hanno reso famoso. Il fiasco è clamoroso e la contemporanea crisi economica del 1929 accentua le difficoltà di Valentin, che si ritrova sul lastrico. Nel 1931 Valentin è ormai dimenticato dal pubblico. Abbandonato anche dalla moglie, è costretto a vendere all’asta i suoi beni per pagare i debiti. Si trasferisce col suo inseparabile Jack Russell in un modesto appartamento e licenzia il suo autista, che negli anni gli è rimasto accanto nonostante la bancarotta. Una sera, in preda alla disperazione e all’alcool cerca di bruciare tutti i suoi vecchi film, salvandosi grazie all’intervento di un poliziotto, richiamato proprio grazie al suo cagnolino. Al risveglio George scopre di trovarsi nella sontuosa residenza di Peppy Miller, diventata nel frattempo una stella: è stata lei ad acquistare all’asta i suoi beni, permettendogli di pagare i creditori. Rifiuta per orgoglio l’amore della donna, scambiandolo per pietà e si reca nel suo appartamento distrutto con l’intenzione di suicidarsi. Peppy però intuisce il suo proposito e giunge in tempo per salvarlo. Desiderosa che George torni a recitare, si reca da Al Zimmer e lo minaccia di lasciare la compagnia se egli non concederà all’uomo un’occasione. Dopo aver assistito al numero musicale che i due innamorati ballano in duetto, Zimmer accetta con entusiasmo: Peppy e George possono riunirsi da protagonisti e mettersi alla prova con un genere che sta per vivere la propria epoca d’oro: il musical.
Un rischioso tributo al Cinema americano dalla Francia
Nell’epoca delle produzioni faraoniche, degli effetti speciali e dei colori sgargianti il quarantatreenne francese Michel Hazanavicius gira un film in bianco e nero per concorrere a Cannes. E passi, è una scelta stilistica. The Artist però è un film muto, che usa le didascalie per i dialoghi, si avvale di una colonna sonora vintage e usa il suono solo nell’episodio del sogno del protagonista. Riesce nell’impresa grazie a una co-produzione e all’impegno di Thomas Langmann, capace di raccogliere 15 milioni di dollari di budget. Se parte del merito è da attribuire al produttore, la realizzazione tecnica del progetto è opera di Hazanavicius: per dare al suo film l’apparenza di un film muto degli anni ’20 il regista lo gira con una frequenza più bassa dei fotogrammi, 22 invece dei classici 24 al secondo (è il motivo per quale nei film dell’epoca gli attori sembrano muoversi a scatti) e nel formato “quadrato” (1,33:1) tipico delle pellicole di una volta. Nella Hollywood dei ruggenti anni ’20 ricostruita dal regista le citazioni illustri si sprecano, a partire da Cantando sotto la pioggia (1952), ambientato nello stesso periodo e pieno di numeri musicali in duetto come quello che chiude il film, al produttore interpretato da John Goodman, il cui aspetto potrebbe ricordare Jack Warner o Louis B. Mayer, ai protagonisti: Jean Dujardin sembra una concentrato dei grandi seduttori della Storia del Cinema: un po’ Errol Flynn e un po’ Douglas Fairbanks, con un nome che ricorda lo sceicco bianco Rodolfo Valentino. Berenice Bejo dal canto suo, con i suoi cappellini e il sorriso contagioso gli tiene egregiamente testa: truccata e vestita all’antica mostra un’interpretazione di sconcertante modernità, mano a mano che la vicenda si sviluppa. Perfino il Jack Russell di Valentin affascina non solo i più piccoli. Il responso del pubblico è oltre le attese (133 milioni di dollari d’incasso nel mondo) e The Artist viene premiato per la miglior interpretazione maschile a Cannes. Il film prosegue la sua corsa con la vittoria dei Golden Globe come miglior film commedia o musicale, come miglior attore in un film commedia o musicale e miglior colonna sonora, presentandosi agli Oscar con 10 nomination.
Il racconto del redattore
Al Kodak Theatre di Hollywood ritroviamo Billy Crystal come conduttore della serata. Le nomination vengono annunciate il 24 gennaio 2012 dal Samuel Goldwyn Theatre di Los Angeles dall’attrice Jennifer Lawrence e Tom Sherak, presidente in carica dell’Academy. Gli avversari di The Artist come al solito sono molto diversi tra loro: tre in particolare potrebbero contendere al film francese la vittoria finale: Paradiso Amaro di Alexander Payne, (Oscar al migliore adattamento) con George Clooney già vincitore del Golden Globe al miglior attore in un film drammatico e sfidante accreditato di Jean Dujardin, Midnight in Paris di Woody Allen (premiato per la migliore sceneggiatura originale) delizioso viaggio nella Parigi che fu e Hugo Cabret di Martin Scorsese, interamente girato in 3D e stupefacente per quanto sia colorato e rutilante, innovativo negli effetti speciali nella scenografia e nello stile insolito col quale è diretto dall’anziano maestro; del film tuttavia impressiona soprattutto la ‘confezione’ che gli guadagna 5 statuette per fotografia, scenografia, montaggio sonoro, suono e d effetti speciali. Dopo 14 anni di silenzio Terrence Malick torna sulla ribalta dell’Oscar con il drammatico The Tree of Life, flusso di coscienza che può contare su un trio di attori formidabile, composto da Brad Pitt, padre-padrone severo, Jessica Chastain madre remissiva e dolce e Sean Penn, versione adulta del protagonista Jack O’Brien che stenta a trovare il proprio posto nel mondo. Altri film di rilievo sono Molto forte e incredibilmente vicino di Stephen Daldry il cui protagonista è un bambino affetto dalla sindrome di Asperger che cerca di risolvere l’ultima caccia al tesoro inventata per lui dal padre, morto l’11 settembre 2001 nell’attentato al World Trade Center. Il tema del razzismo viene affrontato in The Help di Tate Taylor, ambientato nel Mississippi del del 1963, dove molte donne afroamericane lavorano a servizio,sottoposte a continue umiliazioni, crescendo i figli delle proprie datrici di lavoro, troppo impegnate nella vita sociale per accorgersi della prole: questo mondo sarà rivelato dalla giornalista e aspirante scrittrice Emma Stone e dalla coraggiosa Viola Davis, con l’aiuto di tutte le altre domestiche come Octavia Spencer/Minny Jackson ,vincitrice dell’Oscar alla miglior attrice non protagonista. Ha 6 candidature ma non vince nulla L’arte di vincere ancora con Brad Pitt, impegnato stavolta nell’assemblare dal nulla una squadra di baseball vincente, grazie agli algoritmi del laureato in economia Peter Brand/Jonah Hill. Stessa sorte tocca a War Horse, ultima fatica di Steven Spielberg, tratto da un romanzo diventato lavoro teatrale di successo e impegnato sull’amicizia tra un ragazzo e il suo cavallo, sequestratogli dall’esercito e ritrovato in Francia al fronte durante la Prima Guerra Mondiale. Menzione d’onore anche per The Iron Lady: Meryl Streep vince il terzo Oscar della carriera (il secondo da protagonista) nella parte della Lady di ferro Margaret Thatcher, primo premier donna del Regno Unito. La serata si chiude col trionfo di The Artist che oltre ai trofei per il miglior film, per la regia di Michel Hazanavicius e il miglior attore protagonista Jean Dujardin porta a casa anche i riconoscimenti per i costumi di impressionante perfezione e la splendida colonna sonora, il colmo per un film ‘muto’.