Ci sono stati nella storia del cinema tanti film stranamente assurdi e davvero complessi nel capire l’autore cosa volesse dirci, se poi ci si mette che il film è uscito in piena pandemia nel 2020, il tutto diventa assurdamente comprensibile. Scelto come titolo d’apertura della Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2019, Doppia pelle ci rivela in modo assolutamente originale un uomo folle in un mondo assurdamente indifferente alle sue azioni, e proprio dal suo assurdo protagonista, Georges; partiamo per inoltrarci passo per passo all’interno e all’esterno di questo straniante, ma allo stesso tempo interessante esempio di cinema d’autore.
Doppia pelle, La trama
Jean Dujardin e George, un grande attore e il suo alterego cinematografico
Immaginate di passeggiare tranquillamente in giro, conversare con un amico, bersi qualcosa e magari farsi una chiacchierata spensierata con la barista di turno, e ad un certo punto incontrate un uomo vestito con una giacca di pelle di daino e, per un qualche motivo tutto suo, vi chiede di togliervi la giacca e se non accettate si arrabbia pure, con conseguenze più o meno tragicomiche se sorgono degli imprevisti.
Questo è il punto di partenza di questo film di Quentin Dupieux, il quale di esso è regista, sceneggiatore, ideatore del soggetto e montatore, e che realizza un film attorno ad un singolo personaggio, Georges, interpretato da un sempre bravissimo Jean Dujardin (Premio Oscar, Golden Globe e Palma d’Oro come migliore attore per The Artist nel 2012) il quale, come nel capolavoro di Micheal Hazanavicius che rilanciò il cinema muto in un’epoca di assordante sonoro, anche qui veste un ruolo in apparenza meno rivoluzionario o mediatizzato dagli Oscar, ma certamente altrettanto interessante.
Come nel film del 2012 anche qui Dujardin, forse un caso o forse no, prende lo stesso medesimo nome, infatti anche in The Artist si chiamava George, però Dupieux ci aggiunge una “s” finale, come se volontariamente o no ci volesse dire “lui è l’attore di The Artist, ma con una s in più”, insomma è lui, ma per una sorta di anglicizzazione del nome si è sdoppiato diventando non il singolo “artista” del film muto del 2011 e che si opponeva all’avvento del sonoro, ma ora in questo straniante film di Dupieux ci sono due uomini, due “artisti” e non esattamente sanissimi di mente, entrambi nel medesimo corpo.
Non sappiamo se sia realmente così, ma certamente possiamo trovare veramente curiosa questa somiglianza, anche perchè nello stesso anno di Doppia pelle interpretò il grande attore francese, ne L’ufficiale e la spia, film sul caso Dreyfus, il tenente colonnello interpretato da Dujardin anche lì casualmente si chiamava Marie-Georges Picquart, anche in quel caso solo contro tutti e che crede nell’innocenza del capitano dell’esercito francese di origine ebrea.
Insomma che sia un attore muto che si oppone al sonoro, che si tratti di un membro importante di un esercito che crede all’innocenza di uno sfortunato capitano dell’esercito francese, o di un folle con una giacca di pelle di daino che odia le altre giacche, Jean Dujardin e il nome George sono per un qualche motivo fatalmente legati, come lui e la sua giacca, e da qui incomincia la trama vera e propria del film che ci apprestiamo a conoscere un po’ più nel dettaglio.
Un uomo solo, la sua giacca e i suoi “bizzarri” comportamenti
Georges è un uomo profondamente solo. Di lui non si sa niente perché quando lo incontriamo lo vediamo già in viaggio, si scoprono giusto alcuni dettagli del suo passato, tipo che è stato sposato o che comunque è in forte crisi con una moglie, la quale però lo detesta e nei pochi momenti di dialogo telefonico si comprende che non si siano lasciati bene, il motivo però di questa separazione resta sostanzialmente ignoto.
E’ in viaggio come abbiamo detto, e per qualche motivo scopriamo in lui uno strano feticismo: un controverso rapporto con le giacche, infatti una delle prime cose che farà nel film sarà gettare la sua anonima giacca di pelle sintetica nel gorgo dello scarico di un bagno di un autogrill, il quale lo intasa e, tranquillamente senza voltarsi indietro, se ne va indisturbato.
Quindi fin dal principio scopriamo alcuni tratti caratteriali di questo personaggio, e che non si tratta di un adorabile imbranato alla Howard Wolowitz di The Big Bag Theory che in un esilarante episodio di codardia intasa involontariamente il bagno dopo un appuntamento, e che per la vergogna di ciò che ha fatto fugge da una finestra, o un Ben Stiller qualsiasi di Alla fine arriva Polly! che comicamente fa la stessa fine del povero ingegnere ebreo della serie cult della CBS; si tratta nel caso di Georges, di un atto volontario del quale non è minimamente pentito o turbato, sintomo di una totale mancanza di empatia e di rispetto verso il prossimo.
Oltre a questo, a parte qualche parola fuori campo alla fine, non dice una parola per diversi minuti, insomma un altro modo per indicare quasi che sia una prosecuzione extra-narrativa di Dujardin che nel film The Artist interpretava un attore del cinema muto, tanto che ci viene il dubbio che nemmeno in questo film farà scena muta.
Tornando al film e il suo complicato intreccio, le prime parole saranno quando trovando quella casa sperduta in mezzo al nulla, incontrerà l’oggetto del desiderio: una giacca di pelle di daino che diventerà la coprotagonista del film, la quale non solo la strapagherà e a cui l’eccentrico venditore, data tanta generosità, offrirà in regalo anche una videocamera, elemento non poco importante per il prosieguo del film.
Qualcuno penserà che sia soltanto un eccentrico miliardario e che si permette di buttare via un sacco di soldi per una giacca, particolare si, ma non insolito. Il problema è che non è un miliardario, almeno noi non sappiamo se lo sia o no, anche perché la moglie gli blocca il conto e quindi persino il suo patrimonio in banca rimane ignoto: è un riccone perseguitato da un’avida ex-moglie che vuole tutti i suoi soldi, o forse la moglie stanca di farsi sfruttare ha deciso di dare un taglio alle stramberie dell’ex-marito? Altra cosa che non sapremo mai.
Quello che sappiamo è che quest’uomo ha parecchi problemi di disturbo comportamentali, ha uno scarso rispetto e un pessimo rapporto col denaro e, quando lo ha tra le sue mani, lo gestisce come peggio non si può, ritrovandosi per esempio a dare come pegno in una bettola la propria fede nuziale come garanzia del proprio pernottamento, o il mangiare un panino mezzo andato in una spazzatura, pur di non rinunciare alla sua costosissima giacca in pelle.
Parla da solo, quindi ha un comportamento altamente schizofrenico, infatti i suoi dialoghi più lunghi paradossalmente li fa con una giacca che, con voce femminilmente artefatta dallo stesso Georges, lo loda, ma come si fa con ogni buona compagna di vita, ci litiga anche, come quando compie un’azione che non ha portato a risultati concreti e positivi, della quale non accusa se stesso ma la giacca, portatrice di cattivi consigli.
E’ un narcista patologico, ha un’altissima opinione di se, seppur non dimostri alcuna grande qualità, segno di questo sua condizione è l’imbarazzante uso che fa della telecamera, riprese normalissime in cui però lui crede di avere un qualche talento, probabilmente una metafora dell’uomo qualunque a cui basta una telecamera in mano per credersi regista, non rendendosi conto in realtà del lavoro che c’è dietro una regia.
Appare oltre a questo culturalmente ignorante e poco sveglio sulle dinamiche di vita quotidiane, anche davanti a verità lampanti. Esempi lampanti di questo suo straniamento dalla realtà, e del suo non essere ben centrato psicologicamente con ciò che lo circonda, li troviamo quando una donna ci prova spudoratamente con lui, non perché sia interessata lui, ma perché è una prostituta, e quando la barista gli spiega che mestiere fa la donna, lui non capisce e lei perplessa ed imbarazzata deve spiegargli il mestiere di un’accompagnatrice di quel tipo.
Oltre a questo non è nemmeno particolarmente acuto, infatti si spaccia per un regista, ma ignora le basi fondamentali della regia.
A riprova di tutto ciò non conosce nemmeo i termini tecnici più semplici del settore, come per esempio la parola “montatore”, non sa minimamente quello che fa, semplicemente improvvisa con ciò che ha, e quando l’aspirante cameriera/montatrice Denise (un’altrettanto brava Adèle Haenel) gli spiega che ha visto la cassetta per poterla analizzare nel dettaglio, Georges si arrabbia, come se si potesse montare un qualcosa senza vederlo.
E a chicca di tutto ciò non conosce Pulp Fiction, e quando la ragazza gli spiega che in passato ha cercato di montarlo come un film normale e che il risultato è venuto proprio una schifezza, e lui acconsente senza dire una parola, facendo capire alla sua interlocutrice che in realtà non ha capito un bel nulla.
Oltre a questo è un uomo facilmente irascibile, che passa dalla gentilezza alla rabbia in pochi attimi, come quando qualcuno gli fa notare stranezze nel suo comportamento, o non acconsente senza spiegazioni alle sue folli richieste, o si fa opinioni sbagliate su di lui, o avanza dubbi sulla fondatezza delle sue azioni, un uomo quindi poco soggetto al confronto e malato di egocentrismo.
A contorno di tutto ciò, ma cosa altamente inquietante, è una persona estremamente violenta, non solo nel linguaggio e nei modi, ma nei fatti, e compirà di fatto una strage per il paese che lo ospita senza alcun senso e dal rubare le giacche, passerà ad uccidere tutti i possessori di essi, nelle maniere più impensabili ed originali, senza alcun tipo di pentimento ad accompagnare questa sua folle missione.
Un Far-west dove la legge non arriva
Ad essere inquietante in Doppia pelle però non è soltanto il protagonista Georges, ma forse ancor di più il mondo circostante a lui, il quale rimane completamente indifferente a tutti i comportamenti di questo, dai più strani ed innocui gesti di delinquenza più o meno gravi, fino agli omicidi che si lascia dietro. Le persone muoiono e scompaiono dall’oggi al domani, e nessuno se ne cura, non c’è infatti nessuno della polizia che indaga.
Ruba, picchia, litiga e commette omicidi anche piuttosto evidenti e ben poco celati, eppure lui non sembra minimamente avere alcun timore di essere beccato, come se godesse di una qualche speciale impunità che gli permette di fare di tutto e di più per amore dell’arte e di un film, che difatto nemmeno esiste.
Sembra veramente di essere in una specie di Far-West e lui ne è l’emblema; di fatto si costruisce un personaggio nel vestiario, pezzo per pezzo, che assomiglia non poco al Clint Eastwood di Sergio Leone ma senza alcun controllo, e se il grande attore e futuro regista americano appariva calzante per quel ruolo, sebbene il suo look potesse magari apparire un poco eccentrico per essere nel west, il look di Georges invece in questo determinato contesto ne denota un ancor più marcato distaccamento dalla realtà.
Georges infatti appare essere completamente fuori dal mondo, ma non nel senso positivo del termine, segno di come certi personaggi mitici come quello interpretato da Eastwood in Per un pugno di dollari e per Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, inseriti però in contesti contemporanei e in personaggi fortemente instabili e senza alcuna morale, cambino completamente il modo stesso in cui noi li vediamo e di conseguenza li giudichiamo.
Come un cavaliere solitario, vaga questo assurdo personaggio, nel quale appare chiaro un altro tema tutt’altro che divertente: la solitudine estrema di un uomo, la quale portata ai suoi limiti, crei inevitabilmente certi tipi di mostri, i quali per sopravvivere in un mondo che non crede in lui, si inventa un film inesistente e assurde missioni chisciottesche per giustificare un’esistenza in cui che lui esista o no, non importa a nessuno, e questo è forse, tra gli aspetti surreali del film, quello veramente più triste e drammatico che riscontriamo nell’opera di Dupieux.
La regia di Doppia pelle: Un puzzle non-sense per omaggiare la storia del cinema
Un film a pezzi, così lo si potrebbe definire. Infatti Georges, nella sua folle ricerca di realizzare il vestiario perfetto, ci indica lo stesso regista la modalità di come il film verrà girato, lasciandoci tanti tasselli sparsi qua e là da mettere insieme. Non è un film con un capo e una coda definiti, perché in mezzo Duplaux ci inserisce frammenti di inquadrature fuori dal contesto narrativo, come per esempio l’apparizione del daino stesso, come per indicarci la provenienza fisica e spirituale di tutti i capi d’abbigliamento che volta per volta Georges mette insieme, come se lo stesso protagonista cercasse di ricreare l’animale stesso, in una sorta di antropoformizzazione del cervide ucciso chissà quando, come e perché.
Interessante è come spesso sia l’uso dei dettagli, in particolare quelli del vestiario, ma non solo, anche la musica sembri seguire di pari passo l’andamento del film; triste e malinconica all’inizio, fino a diventare con l’aumento della follia del film, un ritmo musicale più sostenuto e meno melodico, affiancandosi a mitiche atmosfere dei film anni settanta-ottanta indicanti spionaggio ed avvincenti inseguimenti, che però di fatto non esistono, almeno in apparenza e nel modo normale in cui noi li immaginiamo.
Notevoli sono anche riferimenti appartenenti al mondo del cinema. In particolare, come abbiamo accennato in precedenza, gli accostamenti ai western di Sergio Leone e al personaggio di Nessuno, non solo nel vestiario, che Georges imita pezzo per pezzo e bisogna dire anche in alcuni piuttosto argutamente, ad esempio la ricreazione del celeberrimo poncho di Clint Eastwood che diventa la mantellina del serial killer utile per non macchiare i vestiti; senza dimenticare ovviamente tutto il mondo senza legge e autorità che copre le sue azioni e la ripresa del finale di Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, che seppur abilmente camuffato, sembra imitare.
Ovviamente però ci sono anche riferimenti decisamente più nascosti; come quelli che possiamo ricondurre a Psycho di Hitchcock per la location di un motel piuttosto modesto, o per l’inquadratura piuttosto ravvicinata del gorgo del bagno dell’autogril al momento dell’intasamento del water, cambiandone il ruolo, decisamente meno rilevante ai fini narrativi nel film di Dupleaux, usato qui invece a mo’ di omaggio al grande cineasta britannico.
Certamente anche il cinema dei fratelli Coen ha influenzato non poco Doppia pelle: dal primo mitico film Blood Simple-Sangue Facile del 1984 in cui esisteva anche lì la medesima inquadratura del gorgo lì con il sangue che scendeva, senza dimenticare le brutali, ma evidenti uccisioni presenti in Fargo del 1996 ovviamente, o ancora l’assassino psicopatico e solitario Anton Chigurh di Non è un paese per vecchi del 2006, interpretato ai tempi da un eccezionale Javier Bardem, di cui Georges sembra la sua tragicomica caricatura.
Altri riferimenti li possiamo ritrovare, nell’horror preso dal grande romanzo di Stephen King, Secret Window del 2004 di David Koepp con Johnny Depp e John Turturro, in cui attraverso il vestiario ed in particolare il cappello a mo’ di cowboy e con storpiamento della voce di un bovaro del Mississipi, si imitava una specie di folle cowboy d’annata, oppure impossibile non rivederci nel look di Georges anche un po’ della leggendaria figura del mitico archeologo interpretato da Harrison Ford, Indiana Jones di Steven Spielberg.
Senza dimenticare sia nella crudicità di alcune scene, che per le scene montate in maniera sparsa per rendere la trama comprensibile a blocchi separati e con quindi un’indubbia importanza alla tecnica del montaggio, ci sia il debito di riconoscenza del regista di questo film verso il cinema di Quentin Tarantino e il suo Pulp Fiction nel particolare, citato tra le altre cose esplicitamente all’interno del film.
Per finire, non dimentichiamo nemmeno, alcuni riferimenti letterari che possono in una qualche maniera ricordarci le avventure di questo folle protagonista, il quale un po’ scimmiotta il folle, ma idealista Don Chisciotte con le sue strampalate avventure e mondi da ricostruire, e un po’ certamente riprende capolavori della letteratura come Il Cappotto di Gogol, o I Baffi di Carrère, e di come basta modificare piccoli aspetti della nostra quotidianità, che siano nel vestiario o che siano nell’aspetto fisico, per stravolgere completamente l’identità di una persona.
Conclusioni
Doppia pelle è certamente un’assurda tragicomica presa in giro del mondo moderno, in cui indifferenza, narcisimo, ignoranza e solitudine si mischiano in un desolante mix che ci porta a riflettere sugli aspetti più contorti di questo mondo in cui appare impossibile comunicare, e in cui anche dietro gli atti più clamorosi ci si veda, quando va bene, una particolare forma d’arte anche nelle azioni più folli e violente come fa la giovane aiutante di Georges, dove invece va male, il nulla più totale lo circonda.
Il regista realizza un film a suo modo geniale, in poco più di un’ora anche grazie alle ottime interpretazioni di Jean Dujardin ed Adèle Haenel, pieno di citazioni da assaporare un po’ già all’interno del film, un po’ retrospettivamente riflettendoci sopra a mente fredda. Un film in cui tutto appare assurdo a dismisura, ma che trova proprio in questa sua agghiacciante e surreale riflessione del mondo reale, un suo senso di esistere.
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