Tra i cineasti che hanno cominciato a popolare il mondo della settima arte nell’ultimo ventennio, è difficile pensare a una figura più divisiva di quella di Zack Snyder.
Nel suo recente saggio, Zack Snyder. Into the Snyderverse (Edizioni NPE, 2024), Filippo Rossi immagina che sia formalmente istruito il processo al quale il cinema di Snyder è regolarmente sottoposto da pubblico e critica, per lanciarsi a rotta di collo in una lunga arringa difensiva.
Benché ogni sentenza possa apparire prematura, su alcuni punti è bene non transigere: “Anche i detrattori più critici ammettono che quello che Snyder fa bene, lo fa meglio di chiunque altro. Le sue sequenze d’azione cinetiche gettano gli spettatori in mischie atroci, piene di botte in faccia. Il regista raggiunge grandi vittorie sul grande schermo, che non possono non essere celebrate per energia tecnica e atmosfera visiva. I comics con lui diventano storyboard.
Di solito, molto prima di girare il primo fotogramma di qualsiasi film, i registi stabiliscono la direzione visiva con tavole tonali e schemi o elenchi di riprese. La quasi totalità dei film di Snyder prende il via da quelli che sono essenzialmente materiali d’origine già integrati in sorta di storyboard: tavole disegnate di opere grafiche, fumetti e graphic novel. I film a fumetti non sono una novità ma nessuno vanta una fedeltà alla forma originale nemmeno vicina a quella di Snyder.
I suoi film sembrano davvero fumetti energizzati e potenziati per il grande schermo, poiché semplicemente li trattano con il riguardo che altri registi riservano alle opere teatrali o letterarie“.
Facendo ampio ricorso a una prosa enfatica e sovrastilizzata, che si adatta perfettamente allo stile del regista, il libro ripercorre con minuziosa attenzione l’intera filmografia di Zack Snyder, sovrapponendola alle stagioni della vita e trasformandola in una sorta di poema epico.
La nascita di Snyder è «con i morti», gli zombie de L’alba dei morti viventi (2004) che a differenza delle creature di George A. Romero non rappresentano più la deriva consumista della società occidentale, bensì la psicosi del terrorismo suicida. A Romero, tuttavia, spetta un posto d’onore tra i principali riferimenti culturali di Snyder, accanto al John Boorman di Excalibur (1981) e ai fumetti della DC Comics firmati da Frank Miller (Il ritorno del Cavaliere Oscuro), da Alan Moore (Watchmen) e da Dan Jurgens (La morte di Superman).
La fase “infantile” della carriera del regista – quella che avrebbe irreversibilmente consacrato Snyder quale “profeta di una mutazione organica dell’arte dell’intrattenimento” – si apre invece alcuni anni dopo con 300 (2007). Partendo dalle tavole di Miller, il film rende omaggio agli eroi spartani che nel 480 a.C., guidati da re Leonida, affrontarono i persiani nella disperata battaglia delle Termopili. A fronte di un costo di 65 milioni di dollari, 300 ne avrebbe incassati 456 in tutto il mondo, diventando inaspettatamente un successo mainstream.
Ancora più ambiziosa, se possibile, è l’impresa di Watchman (2009), trasposizione cinematografica dell’omonima miniserie a fumetti di Alan Moore e Dave Gibbons, con protagonisti il vigilante mascherato Rorschach (Jackie Earle Haley), il Gufo Notturno II (Patrick Wilson) e altri supereroi. In merito al risultato finale, l’autore del libro non ha dubbi:
“Watchmen è il film per cui Zack Snyder è nato. Il seminale romanzo grafico di Alan Moore e Dave Gibbons è il contenitore perfetto di tutte le cose che fanno battere il cuore del regista, che si produce in un rigoroso adattamento all’esplorazione di ogni sua ossessione. Il corpo della pellicola è la fedeltà alle pagine, l’anima è il feticismo stilizzato, ed entrambi sottolineano il dono di Snyder per sintetizzare certi stati d’animo attraverso il suono e l’immagine.
Come atto di ambizione è una meraviglia. Impressiona anche come il regista azzecchi il momento perfetto per questo tipo di film sovversivo: nel 2009 l’alba del cinema dei supereroi trova il pubblico dei multiplex suscettibile come lo erano stati i lettori di fumetti negli anni Ottanta”.
Dopo il film d’animazione Il regno di Ga’Hoole – La leggenda dei guardiani (2010), accolto da un tiepido apprezzamento, il percorso di Snyder è proseguito con Sucker Punch (2011), “la pellicola più intricata e misteriosa della filmografia di Snyder”, nonché “il più odiato dei suoi film, di solito snobbato da maschi immaturi e pigri“. Le protagoniste della storia, infatti, sono tutte donne: tra loro, spicca la giovane Babydoll (Emily Browning), che tenta di evadere dal manicomio dove è stata ingiustamente internata “creando” universi alternativi.
Accolta da reazioni contrastanti, L’uomo d’acciaio (2013) è l’opera della maturità: un film reboot di Superman prodotto da Christopher Nolan per la Warner Bros., su sceneggiatura di David S. Goyer e con protagonista Henry Cavill. Il giudizio di Rossi qui è più equilibrato, ancorché sempre positivo:
“Al di là di sozzezze, cafonaggini e carcasse, la ventata di energia incontrollata, folle di tipo snyderiano investe come un tornado l’ultimo figlio di Krypton, lo travolge con urgenza definitiva. Il film fa vittime, dirette e collaterali, divide il mondo tra pro e contro un tale brav’uomo messianico (chi si potrà mai fidare di un Superman, oggi?) e mette dolorosamente a soqquadro l’immaturità ormai conclamata del fandom, già gettata al tappeto dal Sucker Punch precedente“.
Nuovi record sarebbero stati infranti con il successivo Batman v Superman: Dawn of Justice (2016), insieme ai cuori di molti altri ammiratori del regista. I due iconici supereroi della DC Comics, qui interpretati rispettivamente da Ben Affleck e da Henry Cavill, s’incontrano per la prima volta sul grande schermo, in un’atmosfera all’insegna di un’epica cupezza e di azioni spettacolari, a scapito – secondo gran parte della critica – delle migliori potenzialità della storia.
Folgorante, per quanto marginale, è l’apparizione di Gal Gadot nel ruolo di Wonder Woman. Per Snyder, il film è una sorta di prova di laurea: superato a pieni voti al botteghino, con un incasso di quasi 875 milioni di dollari in tutto il mondo, l’esame ha un esito complessivo controverso, anticipando la crisi che sopraggiungerà con il successivo Justice League (2017). Abbandonato dal regista in fase di montaggio, a seguito della tragica morte di sua figlia Autumn, il film segnerà la prima seria battuta d’arresto della sua carriera.
La “rinascita” sarebbe arrivata con quella che è molto più di una director’s cut, Zack Snyder’s Justice League (2021). Annota implacabilmente Filippo Rossi:
“Ben diverso dal Justice League uscito in sala e debitamente massacrato anni prima, è il vero sequel del suo capolavoro Batman v Superman: Dawn of Justice. Immensa, densa, da vedere e rivedere, questa nuova pellicola va studiata per inserirla nel suo giusto Universo creativo; per valutarla nel suo sofferto percorso umano; per esaltarla, doverosamente, come la più grande prova mai portata a compimento nel genere“.
Il regolamento di conti segnato da Zack Snyder’s Justice League avrebbe presto spianato la strada a un ritorno in grande stile, aiutato di quei morti viventi con cui tutto aveva avuto inizio. Army of the Dead (2021) esce su Netflix ed è, al di là della lunghezza e di qualche sbavatura, una strepitante esibizione di libertà creativa e d’ironia. Riscuote un generale apprezzamento anche la performance dell’attore principale, Dave Bautista.
L’autore di questo libro, al quale – parole sue – l’entusiasmo per Zack Snyder è costato diverse amicizie e anche alcuni testimoni di nozze, riscatta la sua irrefrenabile attrazione per le epopee blockbuster grazie a un ardore e a una passione per i dettagli davvero fuori dal comune. Il volume alterna inoltre una lunga serie di fotografie a diverse illustrazioni realizzate dallo stesso Rossi, che interpretano in maniera personale e originalissima la natura dello Snyderverse.
Zack Snyder. Into the Snyderverse è disponibile su Edizioni NPE.