E così lo zio Andy Mitchell (zio Andy, quante vibes stile La vita secondo Jim…) ne ha combinata un’altra delle sue.
Non pago, infatti, del documentario sui gatti (miao), il nostro regista di giornata ha avuto addirittura la malsana idea di voler sguazzare Nella mente di un cane, per la gioia, sicuramente, di tutti quegli abbonati Netflix privi di buon gusto, ma in fondo anche per la mia, siccome mi ha dato l’occasione per parlar male di quegli orridi quadrupedi che con i loro bau bau disturbano i miei pisolini pomeridiani (sì, i miei pisolini pomeridiani sono misura di tutte le cose).
(Innanzitutto, signor Redattore, noi non facciamo bau bau ma woof woof, faccinaarrabbiata. In secondo luogo, La diffidiamo dallo sbertucciare in questo modo la nostra specie).
(Grazie della precisazione, quadrupede. Ora torna a cuccia e lasciami riposare).
(Ci mancava solo il sindacato dei cani…).
Nella mente di un cane, da Ariana Grande e Paris Hilton al grande escluso
Fedeli. Eroi. Icone della cultura pop. Così vengono presentati dal documentario i nostri bau bau, con, peraltro, una piccola selezione sui loro (presunti) migliori rappresentanti.
Parliamo di gente del calibro (?) di Scooby-Doo (ehi, gli scooby-snacks sono perfetti per il fitness…) o Ophelia, Coco, Toulouse e Fawkes, i quattro cani di Ariana Grande (fattura più quella sbavante di Ophelia che tutta icrewplay.com messa insieme…), o Harajuku Bitch, la chihuahua di Paris Hilton (una come Ophelia alla mia Harajuku Bitch poteva solo lustrare le zampe…), fino a giungere a Brian, il cane dei Griffin (dai, è ovvio che mi fingo un cane colto soltanto per rimorchiare…).
All’appello ne mancherebbe uno tra i best dogs in the world, ovvero Dudù, il barboncino di Berlusconi, ma, ahinoi, non è stato minimamente preso in considerazione per il documentario.
(Ho saputo da fonte autorevolissima (Mediaset) che quello zio Andy Mitchell è solo un povero regista comunista).
(Cribbio).
Nella mente di un cane, la retorica
La retorica di Nella mente di un cane segue la falsariga giá tenuta dallo zio Andy in Nella mente di un gatto.
Frasi come “la scienza ha ignorato i cani per tanto tempo”, però, stonano un filo con quanto detto nel documentario sui felini, visto che lì la questione veniva presentata come “la scienza ha fatto diversi studi sui cani, ma siamo così indietro con quelli sui gatti”.
(Per non parlare degli studi sugli scoiattoli; su Netflix, come nelle recensioni, è noto ci sia sempre qualcuno più puro che ti epura).
Allo stesso modo, come già fatto per i miao miao, il documentario pone nei minuti finali la fatidica domanda “i cani ci amano davvero?” e una sedicente esperta, esattamente come la scorsa volta, ci risponde di sì, è un buon investimento continuare a comprare croccantini per quei quadrupedi tanto affamati quanto fastidiosi.
(La Protezione Civile, se fossimo in un Paese serio, distribuirebbe cuffie antirumore in funzione anti-baubau al più presto a tutta la popolazione).
(Votatemi, cribbio, ed entro domani consegnerò personalmente un milione di cuffie antirumore in oro massiccio autografate da me e dal magnifico Dudù).
(O il magnifico ero io?).
(Tutte le volte che quel magnifico rettore si alzerà e parlerà di merito, avrà una voce che dirà…).
(Si contenga!).
(Potrei continuare a elencare i copia incolla dall’altro documentario, ad esempio con la questione dei cani americani che sono in sovrappeso, ma mi fermo qua).
Nella mente di un cane, tra utilità e grazia
I cani, com’è noto, sono dei lupi che hanno attraversato il processo di domesticazione, e la qual cosa ha permesso a queste creature di entrare in socialità con l’uomo.
Nel documentario viene contrapposta la sopravvivenza del più forte (il lupo) con quella del più affabile (il cane), strategia evolutiva, la seconda, che ha permesso a quei quadrupedi il diffondersi tanto da infastidire me nei già citati pisolini pomeridiani.
Ma in che senso sono affabili i cani?
Certamente sono utili, dalla guida alle persone con disabilità (ampio spazio nel documentario è dedicato all’addestramento dei cani guida) fino al rintracciare cose e persone per mezzo del loro fiuto tridimensionale (basti pensare a come vengono impiegati per la ricerca di sostanze stupefacenti o per i dispersi a seguito del crollo di edifici).
(Anche questo aspetto verrà analizzato a lungo nel documentario, ma è superfluo fare spoiler su questi particolari).
Di converso, però, i cani risultano quasi in antitesi rispetto ai gatti, i quali, quest’ultimi, inutili ma meravigliosi come l’arte, si sono ormai svincolati dalla loro funzione storica di cacciatori di topi, per “limitarsi” a essere “solo” stupendi compagni di vita.
Sugli umani, invece, che scelgono i cani per una mera questione estetica (sia esteriore che interiore) io onestamente non so cosa dire, essendo i loro prediletti, se posso dirla tutta, quadrupedi tanto preziosi quanto antipoetici.
(Non è vero, il mio Dudù è più bello dell’invidia, più bello della sfortuna e più bello dell’ingiustizia).
(Io e Ophelia vi facciamo chiudere il sito, maledetti odiatori di cani).
(Paris Hilton e il sindacato dei cani chiedono l’intervento della Corte Penale Internazionale contro icrewplay.com e quel loro Redattore maleducato).
(Scooby dooby doooooo!)
(Ehi, Lois. Metapoiesi…)