Forrest Gump (id.)
Regia: Robert Zemeckis; soggetto: dal romanzo omonimo di Winston Groom (1986); sceneggiatura: Eric Roth; fotografia (Technicolor): Don Burgess; scenografia: Rick Carter e Nancy Haigh; effetti speciali: Allen Hall per Industrial Light & Magic; costumi: Joanna Johnston; trucco: Daniel Strepeke, Hallie D’Amore, Judith Cory; colonna sonora: Alan Silvestri; montaggio: Arthur Schmidt; interpreti: Tom Hanks (Forrest Gump),Robin Wright (Jenny Curran), Gary Sinise (tenente Don Taylor), Mykelti Williamson (Bubba Blue), Sally Field (la madre di Forrest), Rebecca Williams (l’infermiera nel parco), Michael Conner Humphreys (Forrest bambino), Harold Herthum (il dottore), Hann R. Hall (Jenny bambina), Fay Genes (la nonna di Jenny), Frank Geyger (il capo della polizia); produzione: Wendy Finerman, Steve Starkey e Steve Tisch per Paramount Pictures; origine: USA – 1994; durata: 142′
Trama
Savannah, Georgia, 1981. Su di una panchina, alla fermata dell’autobus, un uomo impacciato dall’aria tenera racconta ad una ragazza di colore la propria vita. Allevato da una coraggiosa madre single (Field), da bambino, a causa della sua ingenuità e del quoziente intellettivo piuttosto basso viene discriminato dai compagni di studi e confortato dalla piccola Jenny, la sua unica amica. Per sfuggire ai bulli, esortato da lei, il ragazzo si libera delle stecche di metallo che usa per sostenersi, in quanto malato. Corre come il vento Forrest e, grazie alla sua velocità, entra al college con una borsa di studio. Corteggia invano Jenny (Robin Wright), diventa un campione di football, stringe la mano al presidente Kennedy e,agevolato dalle sue imprese sportive riesce a laurearsi. Si arruola nell’esercito degli Stati Uniti: al campo d’addestramento conosce il nero Bubba, fissato con la pesca dei gamberi e ne diventa amico. Durante l’ultima licenza, scopre Jenny scappata dall’Alabama, cantare nuda in un locale malfamato di Memphis e la porta via: la ragazza è infastidita dalle sue attenzioni, ma quando scopre che il giovane sta per partire per il Vietnam gli chiede di stare attento, correre e pensare a salvarsi la vita. In guerra si comporta eroicamente e salva il suo tenente, ma non Bubba. Campione di ping pong, riceve le congratulazioni del presidente Johnson e poi di Nixon, avviando inconsapevolmente la politica di distensione con la Cina. A una manifestazione pacifista incontra di nuovo Jenny, unitasi a un gruppo di hippies. Con il tenente Dan, che in battaglia ha perso entrambe le gambe, compra una barca da pesca e, grazie ad un provvidenziale uragano che spazza via tutti i pescherecci concorrenti, fa fortuna e fonda una florida società per la pesca dei gamberi, realizzando così il sogno del suo amico Bubba. Ritrova Jenny, ormai nel tunnel della droga e si prende cura di lei, aiutandola a disintossicarsi: i due fanno l’amore ma, ancora un volta, la ragazza lo lascia. Rimasto solo, Forrest inizia a correre senza un motivo e senza fermarsi: attraverserà l’America tre volte, seguito da una moltitudine di seguaci, che credono corra per qualche recondito motivo o per protesta contro il governo. Tra lo sconcerto dei presenti,dopo tre anni, improvvisamente si ferma: “Sono un po’ stanchino” è la sua giustificazione. Riceve una lettera di Jenny e parte per la Georgia: si torna all’inizio. Sceso dall’autobus raggiunge l’indirizzo della donna e trova un bambino di tre anni, loro figlio, di nome Forrest, normale e molto intelligente. Si sposano, ma Jenny è malata (di AIDS?) e muore. Forrest distrugge la fattoria dove il padre abusava di lei quando era piccola e si raccoglie in meditazione sulla sua tomba.
Dal romanzo al film
Robert Zemeckis si è formato alla scuola di Steven Spielberg, con il quale ha collaborato a lungo. Grazie al suo sostegno come produttore, il regista può vantare successi clamorosi come Chi ha incastrato Roger Rabbit e i tre film di Ritorno al Futuro. Quando Forrest Gump diventa il fenomeno dell’anno, per gli incassi da primato (320 milioni di dollari solo negli USA, che diventano 680 in tutto il mondo, a fronte di un costo di 55 milioni), per la delicata perfezione con cui Tom Hanks rende il personaggio, grazie anche all’opera della Industrial Light & Magic di George Lucas che lo inserisce in filmati d’epoca e amputa virtualmente le gambe del tenente Gary Sinise, le discussioni fioccano. L’ala destra del partito repubblicano rivendica il film come appartenente al tradizionalismo. Per il modo in cui affronta la guerra (i militari sporchi e cattivi dipinti in Apocalypse Now di Coppola o in Platoon di Oliver Stone qui non commettono atrocità, ma sono eroici patrioti che combattono per il proprio paese) e per come dipinge i movimenti alternativi, mostrando che lo stile di vita dissoluto ispirato da Woodstock conduce inevitabilmente alla rovina. I commentatori più equilibrati, che riconoscono invece che Forrest Gump non sia un film ideologico ma recuperi una delle virtù care al pubblico americano, l’innocenza, anteponendo alla fredda razionalità un approccio istintivo che non neghi il dolore, ma lo affronti emotivamente, con ottimismo e fiducia, ricordando che “la vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita” . La condanna dei movimenti pacifisti poi, sta più nello sguardo dei conservatori che nella pellicola: come ignorare gli abusi subiti ad opera del padre da Jenny, vista più come vittima che come colpevole? Del film disturbano l’anti-intellettualismo (Il ‘Los Angeles Times’ sentenzia: “Il messaggio implicito del film è che il successo non ha niente a che fare con la fatica, con uno studio serio o un’intelligenza brillante, ma dipende esclusivamente dalla fortuna) e una visione della vita che i quotidiani di estrazione “democratica” definiscono con spregio “reaganiana”. Secondo ‘Time’: “Reagan è il prototipo di tutti i Forrest Gump d’America. Anche Reagan è dotato di un inflessibile ottimismo, secondo solo alla sua fortuna sfacciata. E la sua buona sorte, come quella del protagonista, è stata costruita a spese della gente che soffriva senza essere inquadrata dai riflettori”. Nonostante le critiche, il film ottiene 13 nomination agli Oscar (quasi un record) e la notte del 27 marzo 1995 si presenta allo Shrine Auditorium di Santa Monica come grande favorito nella corsa alle statuette più ambite del panorama cinematografico mondiale.
Il racconto del redattore
Le candidature piovute sul film di Zemeckis si trasformano in 6 Oscar, a film, regia, sceneggiatura, attore protagonista (a Tom Hanks – filmato in alto – riesce l’impresa di ripetere la doppietta riuscita solo a Spencer Tracy nel 1937-38), montaggio ed effetti speciali. I detrattori di Forrest Gump possono consolarsi con Pulp Fiction del trentaduenne Quentin Tarantino. Del vulcanico regista piacciono il mix sulfureo tra narrativa da b-movie, umorismo e sangue oltre all’abilità nell’intrecciare quattro storie in una struttura circolare che finisce col riportare lo spettature al punto di partenza. Delle sette segnalazioni ricevute il regista di origine italiana vince per la sceneggiatura originale, inaugurando una stagione che conterà negli anni seguenti titoli memorabili, per i quali rimando il lettore alla serie di articoli sul cinema di Tarantino che puoi trovare sul sito. Degli altri 3 film che compongono la cinquina dei finalisti il migliore è senza dubbio Le ali della libertà dell’ex sceneggiatore Frank Darabont. Ambientato nell’immaginario carcere di Shawshank dove Tim Robbins, imprigionato ingiustamente per omicidio, stringe amicizia con il nero Red (uno straordinario Morgan Freeman) e si batte per migliorare le condizioni dei detenuti; egli riesce anche, dopo vent’anni, ad evadere in modo rocambolesco. Classico esempio di film garantista, condito da una storia di amicizia interrazziale, è stato inserito dalla rivista ‘Empire’ al quinto posto tra i 100 migliori film girati negli USA ma la sua corsa agli Oscar finisce con sette candidature che sfumano. Non va meglio al didascalico Quiz Show di Robert Redford, il quale affronta la storia vera di uno scandalo televisivo che coinvolse negli anni ’50 la NBC e il programma televisivo Twenty-One: il film funziona presso il pubblico, anche per merito di John Turturro e Ralph Fiennes, ma è troppo lungo e il regista si lascia prendere la mano, vedendo nell’episodio le avvisaglie di pagine nere della storia americana come il Watergate: termina la serata con 4 nomination andate a vuoto. Ancora peggiore se possibile è il risultato dell’inglese Quattro matrimoni e un funerale che lancia, un po’ a sorpresa, Hugh Grant come sex symbol, due segnalazioni infruttuose e via. Notevoli sono i titoli che regalano la statuetta agli attori non protagonisti: Ed Wood di Tim Burton, biografia romanzata di uno dei peggiori produttori cinematografici di tutti i tempi vede Martin Landau premiato per la parte del leggendario Bela Lugosi, mentre Pallottole su Broadway riporta Woody Allen alla ribalta e regala a Dianne West il secondo Oscar da non protagonista della carriera. Attrice protagonista dell’anno è Jessica Lange in un ruolo cucito su misura per lei da un Tony Richardson giunto al suo ultimo film. Due Oscar al suono e agli effetti sonori vanno all’adrenalinico Speed. Tra i film stranieri l’Academy rifiuta di candidare il secondo film della trilogia di Kieslowski sui colori della bandiera francese: Tre colori – film Rosso segue la stessa sorte capitata l’anno precedente a Tre colori – film Blu e solo grazie alle lettere di protesta recapitate dagli iscritti all’Academy viene risarcito con tre inutili nomination nelle categorie principali; a vincere è Sole ingannatore di Nikita Michalkov requisitoria fuori tempo massimo contro la crudeltà del regime sovietico. Grazie ad una campagna stampa sostenuta da Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e Quentin Tarantino l’Oscar alla carriera va all’italiano Michelangelo Antonioni. A bocca asciutta rimangono i blockbuster dell’annata come l’ironico e pirotecnico True Lies di James Cameron e il gotico Intervista col Vampiro col duo di adoni formato da Tom Cruise e Brad Pitt.