Il film si apre con delle immagini potenti ma apparentemente senza senso e contesto: un bagnasciuga al tramonto con delle meduse riverse sulla spiaggia, un oggetto non identificato e avviluppato da fiamme che si sta schiantando al suolo. Il tutto condito ed incorniciato da una batteria di sottofondo, che con le sue note ci accompagnerà come unica, e deliziosa, colonna sonora per tutto il film. Quella stessa batteria fungerà da termometro per la tensione, in continuo mutamento e sempre crescente, al punto da diventare quasi assordante in alcuni frangenti. Riuscire a comporre una colonna sonora utilizzando un singolo strumento lo trovo strabiliante, considerando che riesce a toccare una vastissima gamma di emozioni, tramite le vibrazioni che si propagano per tutto il teatro, e sembrano seguire Riggan ovunque, come se quelle vibrazioni le sentisse solo lui, una psiche che viene lentamente logorata, fino ad avere dei spaventosi picchi che spesso sfociano in violenza, soprattutto verbale. Parole e discorsi che pesano come macigni, ma vengono scagliate con una leggerezza disarmante, quasi vomitate in faccia al malcapitato di turno. In questa pellicola non c’è spazio per la gentilezza, l’altruismo o altre smancerie, ci sono piccoli dettagli, rari gesti in un fiume in piena di violenza, paura, responsabilità. Viviamo queste atmosfere in pieno, il regista propone un unico, falso, piano sequenza che ci fa passare da un personaggio ad un altro con disinvoltura, lasciando scorrere ore, adoperando pochissimi stacchi difficili da percepire. Un moto perpetuo di grandissimo impatto e completamente avvolgente, quasi claustrofobico tra gli stretti corridoi del teatro. Il tutto inquadrato magistralmente dalla fotografia di Immanuel Lubezki, che regala primi piani pregni di emozioni che accentuano ancora di più lo spessore e la profondità dei personaggi.
Dopo pochi minuti di pellicola Iñárritu ci sbatte in faccia il suo odio profondo per i cinecomics, anche tramite il protagonista Riggan, il quale lotta contro se stesso, il suo demone, ancora meglio la sua ombra. Mi riferisco al concetto Junghiano: la faccia oscura di sé inaccettabile. Ma la stessa ombra è qualcosa che esiste solo in presenza di luce. L’unica cosa che “illumina” il protagonista è il suo spettacolo teatrale, lo dirige, lo interpreta come personaggio principale, eppure non riesce ad averne il controllo, forse è un’opera troppo ambiziosa per lui. Nei momenti di delirio, Riggan regredisce in Birdman, il quale continua a ripetergli di smetterla di affannarsi tanto, e tornare sulla cresta dell’onda con il quarto capitolo del supereroe pennuto. Non è mai lui in prima persona a parlare, ma sempre quella voce gutturale che gli ronza nella testa. Ricordi la batteria? Ecco, appunto. Quando torna con i piedi per terra, si scontra irrimediabilmente con la figlia Sam, i due, spesso e volentieri, si scannano verbalmente. Sam denuncia il padre assente sia nella vita familiare che nella vita digitale, non ha un profilo Facebook o Twitter, quindi risulta inesistente come padre e come personaggio, il che lo rende molto ironico dato il totale egocentrismo che Riggan mostra senza ritegno durante tutta la durata della pellicola. Sam, interpretata da una splendida Emma Stone, appena uscita da una clinica di disintossicazione, vestiario per nulla appariscente, e completamente snobbata dal padre, riesce ad avere una potenza immane, affascinante, magnetica e con un carattere da leonessa. Funge da coscienza per il padre, proprio come noi che, spesso e volentieri, non l’ascoltiamo. S’innamora di Mike Shiner, alias Edward Norton, famoso attore teatrale dal talento indiscutibile e dal carattere spigoloso. Lui rappresenta l’essenza del teatro, totale dedizione di anima e corpo allo spettacolo, ma completamente svuotato nel privato. Funge da sprono per Riggan, con il suo comportamento esuberante, e da prima donna, diventa la nemesi del protagonista, cercando un realismo esasperante sul set. I due si beccano continuamente, arrivano alle mani, ma il buon Mike resta sempre sulla cresta dell’onda, come se nulla lo scalfisse. Ma durante una chiacchierata al bar, Shiner si deve arrendere alla popolarità di Riggan, ma c’è comunque ammirazione nei suoi confronti date le parole al vetriolo che utilizza, prima di uscire di scena, per annichilire una famosa critica che sarà presente alla prima dello spettacolo. Possiamo ammirare il vero Mike quando sale sul tetto, per fare compagnia a Sam, dove mostra tutta la sua fragilità e malinconia in un dialogo da far perdere il fiato.
Arriviamo alla scena madre. La corsa di Riggan, in mutande, per tornare in teatro dove si sta svolgendo l’atto finale dello spettacolo. Migliaia di persone cercano di fermarlo per un autografo, messosi a nudo di fronte al pubblico, lui rimane Birdman. Tutti lo riprendono con il cellulare, ed è qui che si interfacciano i tre capisaldi della comunicazione umana trasformata in arte: Teatro, Cinema, Internet.Questi rappresentano anche le tre generazioni che si sono susseguite: Passato, Presente, Futuro. Per quanto mi riguarda trovo questa scena la migliore in assoluto, perché racchiude tutta l’essenza del film. Un passante che pubblica il video di questa camminata e, in poche ore, raggiunge migliaia di visualizzazioni su Youtube. Riggan si deve arrendere all’avanzare della tecnologia e dei mass media. Resta dunque il grande dilemma sull’arte, cosa si può definire arte, ciò che piace al pubblico? Ciò che piace alla critica? O ciò che che ottiene più visualizzazioni?
D’altronde il fascino dell’arte è proprio l’alone di mistero che riesce a creare intorno ad essa stessa.