Attrice svedese naturalizzata statunitense, Ingrid Bergman è stata forse una delle attrici più amate quanto controverse della storia del cinema. Una donna che viveva per recitare, estremamente coraggiosa, libera ed avventurosa, che si è sempre cimentata in ruoli diversi dimostrando la propria versatilità e naturalezza davanti l’obiettivo. Ancora oggi, Ingrid Bergman resta un’importante icona di femminilità.
L’infanzia, un importante archivio storico
Ingrid Bergman nacque a Stoccolma il 29 agosto 1915, dal padre Justus Samuel Bergman, pittore e fotografo svedese, e dalla tedesca Frieda Henriette Auguste Louise “Friedel” Adler. L’infanzia della Bergman è stata molto travagliata, funestata da una serie di tragici lutti che hanno colpito la sua intera famiglia: terza figlia dopo due bambini, di cui uno nato morto ed il secondo venuto a mancare dopo una sola settimana, la bambina perse sua madre quando aveva soli due anni. L’attrice ha più volte dichiarato di non avere memoria di sua madre e tutto ciò che le restava erano le sue fotografie. Rimasta sola con il padre, il legame tra i due divenne particolarmente intenso. Justus Samuel Bergman era un uomo incredibilmente amorevole verso la sua unica figlia e, in quanto fotografo, era solito fare numerosi scatti della propria bambina. L’uomo era inoltre in possesso di una Super 8, concessagli in prestito. All’epoca era particolarmente raro che una famiglia possedesse una videocamera, di fatto ad oggi restano poche testimonianze di vita privata di quegli anni.
Proprio grazie al padre, ancora oggi, è possibile vedere degli spaccati di vita quotidiana di una Ingrid Bergman ancora bambina, di cui inoltre sono conservate numerose fotografie. L’attrice infatti, crescendo, ha sempre conservato tutto, costruendo un archivio visivo di grande importanza storica, con fotografie, Super 8 del padre ed anche girati dalla stessa attrice, che aveva ereditato le stesse passioni ed abitudini del padre. La Bergman inoltre, sin dall’età di 10 anni, era solita tenere più diari in cui trascriveva spaccati della propria vita, i propri sentimenti ed i propri pensieri, e sui quali ha scritto per oltre 30 anni; ulteriori documenti della sua vita sono poi gli scambi epistolari con le sue amiche, il tutto accuratamente conservato e che ad oggi ci permette di conoscere l’attrice da un punto di vista totalmente inedito e che esula dalla visione del pubblico e della critica cinematografica dell’epoca.
Ingrid Bergman era solita conservare ogni cosa, ogni memoria della propria vita e della propria famiglia, forse proprio per la solitudine che in realtà ha caratterizzato la sua vita, per cui tutti quei ricordi le consentivano in qualche modo di portare sempre la sua famiglia con sé. Peraltro si tratta di importanti testimonianze non solo sulla vita dell’attrice ma proprio di stampo storico, è infatti attraverso tali documenti che possiamo osservare l’evoluzione delle differenti epoche storiche e lo svolgimento di numerosi avvenimenti che hanno connotato quell’era.
All’età di 12 anni, Ingrid Bergman perse anche il padre a causa di un tumore e, rimasta sola, venne affidata ai suoi zii, anche questi però morti in un incidente insieme con uno dei suoi cugini. La ragazza venne poi cresciuta dagli zii paterni Otto e Hulda.
Gli esordi
Sin dalla sua prima infanzia, Ingrid Bergman era stata abituata a stare davanti agli obiettivi, di cineprese e macchine fotografiche, è quindi semplice comprendere il motivo per cui, sin da giovanissima, la ragazza avesse una forte propensione per la recitazione. Nel 1931, alla giovane età di soli 16 anni, Ingrid Bergman fece la sua prima comparsa in un film svedese: Landskamp, 1932, scritto e diretto da Gunnar Skoglund. Seppur fosse solo una semplice comparsa, una ragazza tra tante che attendeva in fila, è incredibile il modo in cui il suo viso spiccasse più degli altri, catalizzando tutta l’attenzione su di sé.
Dopo quest’esperienza, Ingrid Bergman si iscrisse preso la Scuola di Teatro Reale e d’Arte Drammatica a Stoccolma, nel 1933. Terminato il primo anno di scuola, durante la pausa estiva, la ragazza si cimentò nella recitazione di alcune poesie di Karin Swanström, nota regista e produttrice svedese. La donna notò immediatamente Ingrid e così presentò la ragazza ad un dirigente di un’importante industria cinematografica svedese (la Svenskfilmindustri). Grazie a questi contatti, Ingrid Bergman ottenne il suo primo ruolo in un film: Il conte della città vecchia (il cui titolo originale è Munkbrogreven), film del 1935 diretto da Sigurd Wallén e Edvin Adolphson che rappresentò il debutto cinematografico della giovane attrice.
Nello stesso anno, Ingrid Bergman decise di lasciare definitivamente la scuola di teatro per dedicarsi completamente al cinema, già dall’età di 19 anni. Dopo il suo primo ruolo, l’attrice venne notata dal regista svedese Gustaf Molander, con il quale realizzò numerosi titoli tra il 1935 ed il 1939, tra cui spiccano film quali Verso il sole, Inquietudine, ma soprattutto Intermezzo (1936, distribuito in Italia con il titolo La sposa scomparsa), che la consacrò definitivamente come una delle maggiori attrici svedesi, contesa tra i diversi studi cinematografici. In soli cinque anni, Ingrid Bergman aveva recitato in ben dieci film, di cui spesso era proprio la protagonista.
Nel 1937 Ingrid Bergman sposò Petter Aron Lindström, neurochirurgo con il quale, il 22 settembre 1938, ebbe la sua prima figlia: Pia Lindström, il cui nome deriva dalla combinazione delle iniziali dei due genitori (Petter, Ingrid, Aron).
Nonostante il matrimonio e la maternità, la carriera d’attrice proseguiva per Ingrid, che nel 1938 si recò in Germania, a Berlino, per recitare in Senza Volto. Già nei primi ruoli la Bergman riusciva ad imporsi verso registi e sceneggiatori, manifestando grande determinazione e forza e decidendo lei stessa quale fosse il ruolo più adatto per lei, spesso optando per parti nuove e diverse, per dimostrare il proprio talento e la propria versatilità. In Germania l’attrice colse l’occasione di interpretare la protagonista in Quattro ragazze coraggiose (1939) di Carl Froelich e, grazie ad un’ottima padronanza del tedesco, non fu necessario ridoppiarla. Da molti venne criticata la scelta della Bergman di recitare fuori dalla propria patria, in particolare alcuni l’accusarono di sostenere il partito nazista. Tuttavia l’attrice seguiva la politica soltanto distrattamente e la scelta di recitare in Germania fu puramente lavorativa, tant’è che dopo quel ruolo non vi fece più ritorno.
L’arrivo ad Hollywood
Grazie ad Intermezzo l’attrice venne notata anche all’estero, ad Hollywood. Nel 1939 il produttore David O. Selznick (celebre in particolare per aver prodotto Via col vento) contattò Ingrid Bergman per il mezzo della talent scout Kay Brown, chiedendole di recarsi in America. Il produttore stava infatti lavorando ad un remake del film svedese Intermezzo e, per l’occasione, decise che la protagonista sarebbe stata interpretata dalla stessa attrice del film originale. Così, all’età di 23 anni, Ingrid Bergman si imbarcò in un volo per Hollywood, per stipulare un contratto della durata di 5 anni per la casa produttrice Selznick International Pictures. L’adattamento statunitense di Intermezzo venne diretto da Gregory Ratoff. Naturalmente l’attrice svedese non aveva grandi conoscenze della lingua inglese, per cui, durante le riprese del film, Ingrid venne affiancata da un’insegnate, Ruth, con la quale stringerà un importante rapporto d’amicizia durato negli anni grazie ad una regolare corrispondenza epistolare.
Al termine delle riprese di Intermezzo in America, Ingrid Bergman fece ritorno in Svezia. L’attrice venne però richiamata da Selznick per un altro ruolo. La chiamata giunse durante la guerra e così Ingrid portò con sé sua figlia Pia, mentre suo marito Petter rimase in Svezia in caso di chiamata alle armi. Fortunatamente la Svezia non entrò in guerra così Petter raggiunse sua moglie e sua figlia in America nel 1940. Petter e Pia vivevano a New York in quanto l’uomo stava svolgendo lì i propri studi di medicina, vivendo così a distanza da Ingrid che invece lavorava prevalentemente a Los Angeles e che dunque mancava da casa spesso e per lunghi periodi.
Ad Hollywood Ingrid Bergman riuscì ad affermarsi immediatamente e, sin da subito, venne affiancata da grandi attori. Dopo alcuni ruoli molto simili tra loro, in cui l’attrice interpretò la parte della dolce ragazza innamorata, Ingrid decise di dare una svolta alla sua carriera e alla sua immagine. Era il 1941 quando le venne proposto di interpretare una parte nella trasposizione cinematografica di Il dottor Jekyll e Mr. Hyde, in cui lei avrebbe avuto la parte della fidanzata di Spencer Tracy. L’attrice si oppose, stufa dei soliti personaggi melensi, e riuscì invece ad ottenere la parte di Ivy, la frivola cameriera vittima del mostro.
Casablanca, il cult per eccellenza
Furono gli anni d’oro per Ingrid Bergman che, in corrispondenza con il declino ed il successivo ritiro dalle scene di Greta Garbo, riuscì ad imporsi come una delle dive più popolari al mondo. L‘attrice venne consacrata definitivamente dal ruolo della controparte femminile, affiancata dal grande Humphrey Bogart, in Casablanca, film del 1942 diretto da Michael Curtiz e destinato a diventare uno dei più grandi classici di tutti i tempi. Il film, basato sull’opera teatrale Everybody Comes to Rick’s di Murray Burnett e Joan Alison, segue la storia di Rick Blaine che, durante la Seconda Guerra Mondiale e a seguito della caduta di Parigi, si rifugia in Marocco, nella città di Casablanca, dove apre un fortunato locale notturno. Un giorno giungeranno presso quel luogo l’ungherese Victor Laszlo e la moglie Ilsa. Si riapre così una ferita che non si era ancora rimarginata: Rick ed Ilsa avevano vissuto in passato, a Parigi, un’intensa quanto breve storia d’amore ed il loro incontro non fa che far riemergere quei sentimenti che erano rimasti sopiti per tutto quel tempo.
Casablanca ricevette ben 8 candidature ai premi Oscar, aggiudicandosi le statuette per miglior film, miglior sceneggiatura e miglior regia.
Ingrid Bergman ricorda il set di Casablanca come particolarmente confusionario, date le grandi incertezze riguardo alla trama. L’attrice ha infatti dichiarato che non c’era alcun copione e che lo script è stato steso man mano che procedevano le riprese. Nessuno sapeva come il film sarebbe finito: i due amanti sarebbero rimasti insieme o alla fine lei sarebbe tornata dal suo marito francese? Gli stessi attori non sapevano che direzione avrebbe preso il film ed addirittura si pensò di girare ben due finali alternativi, per poi decidere il più convincente in fase di post-produzione. Tuttavia, dopo aver girato il primo finale, si decise che quello sarebbe stato il definitivo, ovvero quello che noi tutto oggi conosciamo e che restituisce un sapore di verità e realismo, molto più vicino alle vite degli spettatori.
L’anno successivo Ingrid ottenne la sua prima candidatura all’Oscar per la miglior attrice per il film Per chi suona la campana (1943), girato per la Paramount in Technicolor. La prima scelta per quel ruolo era in realtà caduta su Vera Zorina, nonostante lo scrittore Ernest Hemingway, di cui il libro era l’oggetto dell’adattamento cinematografico, non fosse d’accordo. Successivamente fu la stessa attrice a ritirarsi, in quanto non adatta al ruolo, così venne a sostituirla Ingrid Bergman.
Angoscia, il primo premio Oscar
Nel 1944 Ingrid Bergman prestò il suo volto alla protagonista femminile di Angoscia (Gaslight), diretto da George Cukor. La straordinaria ed intensa interpretazione le valsero la vittoria della prima statuetta d’oro come miglior attrice protagonista. L’incredibile performance dell’attrice è frutto di uno studio approfondito svolto dalla stessa che, per prepararsi al ruolo, frequentò per un certo periodo un istituto di igiene mentale ed osservò attentamente alcune pazienti, carpendone le sfumature comportamentali e delle espressioni facciali. Angoscia si aggiudicò ben due statuette, non soltanto per la Bergman, ma anche per la miglior scenografia.
Angoscia parla di Paula (interpretata da Ingrid Bergman), una ragazza che ha vissuto il trauma della morte della zia che l’aveva cresciuta. La zia è stata brutalmente assassinata in casa, dove era presente anche la giovane ragazza. Rimasta ormai sola, si trasferisce in Italia per studiare canto e fa la conoscenza di un pianista, con cui si sposa frettolosamente e si trasferisce poi presso la vecchia casa a Londra. Il ritorno presso la casa della zia fa però riemergere dei fatti oscuri rispetto al caso d’omicidio rimasto irrisolto.
Il titolo originale è Gaslight e, rispetto all’adattamento italiano, si tratta di un nome molto più eloquente che favorisce dei piani di lettura basati su giochi di parole, che dalla traduzione naturalmente non emergono. È proprio da questo film che deriva il termine gaslighting, utilizzato in ambito psicologico per indicare il modus operandi dei manipolatori, che in modo più o meno intenzionale, agiscono ai fini di colpevolizzare la vittima: minano alla sua sicurezza, facendola sentire in errore, non adatta, fortunata a stare con lui perché altrimenti sarebbe sola e dovrebbe soltanto essergliene grata, accusandola di soffrire di problemi per cui ha necessariamente bisogno di lui. Questa è la condotta che per tutto il film tiene il protagonista maschile, Gregory, che sin da subito spicca per il suo modo di fare alquanto sospetto, di cui lei è succube. Naturalmente si tratta di un gioco di parole laddove la donna è tormentata dalle luci a gas della casa, che sembrano affievolirsi ogni sera senza che vi sia un motivo apparente. Viene così descritta una donna che vive una condizione miserevole, costantemente tormentata dalle “preoccupazioni” del marito riguardo alla sua salute mentale sino a quando non si lascia convincere dalle sue parole, decadendo in uno stato di reale follia e, appunto, d’angoscia.
Angoscia è il remake di una pellicola dallo stesso titolo (Gaslight) prodotta nel 1940, con Anton Walbrook e Diana Wynard, diretto da Thorold Dickinson. Il film è stato completamente girato in un teatro di posa, comprese le scene esterne, così da poter ricreare gli ambienti di una Londra vittoriana. Ingrid Bergman venne affiancata da Charles Boyer, l’attore era però più basso della Bergman e così, per alcune scene, Boyer dovette recitare su un piedistallo, per apparire più alto.
Successivamente Ingrid ottenne un ruolo in Le campane di Santa Maria (1945), diretto da Leo McCarey, che le valse nuovamente una nomination per l’Oscar come miglior attrice, questa volta però senza vincerlo.
Nello stesso anno Ingrid si recò in Europa. Era in corso la Seconda Guerra Mondiale e l’attrice fu chiamata ad intraprendere una tournée volta ad intrattenere le truppe americane in guerra, esibendosi in spettacoli il cui accesso era vietato ai soldati tedeschi. Gli spettacoli si svolsero in Italia, in Francia ed in Germania. Fu proprio in Germania, a Berlino, che Ingrid Bergman fece la conoscenza di Robert Capa, fotografo di guerra ungherese con il quale nacque da subito un’intesa che portò l’attrice ad intraprendere una breve relazione extramatrimoniale. Non è un caso che la scintilla nacque nei confronti di un fotografo che, forse, in qualche modo, ricordava la figura paterna della Bergman.
“Scrivimi che sarai gentile e bella in modo straziante, e che hai messo lo champagne in fresco per il 15 marzo. Non firmare contratti che inevitabilmente ti renderanno più un’azienda che un essere umano. Fa attenzione: il successo, a volte, è più pericoloso di una sventura e può corromperti. Ti ho cercato al telefono, mia amata ragazza svedese a Hollywood. Ti amo veramente”
Così cita una lettera che Robert Capa indirizzò alla sua amata, sottolineando già dagli inizi della sua carriera come la Bergman fosse totalmente dedita al proprio lavoro, a volte persino trascurando la propria vita privata.
L’incontro con Alfred Hitchcock
Successivamente le varie produzioni hollywoodiane, Ingrid Bergman si recò in Inghilterra, dove fece l’incontro del grande Alfred Hitchcock per la realizzazione di due film importantissimi per la carriera dell’attrice: Io ti salverò (Spellbound, 1945) e Notorious – L’amante perduta (1946), in cui l’interprete ha dato prova di sé. L’attrice ed il regista hanno poi collaborato nuovamente in Il peccato di Lady Considine, conosciuto in Italia anche con il titolo Sotto il capricorno (1949), tratto dal romanzo Under Capricorn dell’autrice australiana Helen Simpson (1937).
Io ti salverò
Il primo film che nacque dalla collaborazione Bergman – Hitchcock fu Io ti salverò (Spellbound), capolavoro del 1945 prodotto da David O. Selznick, produttore con il quale Ingrid aveva stipulato un contratto pluriennale grazie al quale ottenne la parte anche in questo titolo.
Il tema portante di Io ti salverò è la psicoanalisi. Ingrid Bergman interpreta il ruolo di una psichiatra ed è affiancata da Gregory Peck, che giunto presso la clinica in veste di nuovo dottore, si scopre in realtà affetto da amnesia e probabilmente collegato ad un reato consumatosi poco tempo prima. La dottoressa s’innamora di lui e tenterà di applicare le sue competenze e la psicoanalisi per curare il suo amato e svelare il mistero che si cela dietro il delitto.
Ciò che più resta impresso di questo capolavoro è forse la meravigliosa sequenza del sogno di Gregory Peck, in cui osserviamo l’effetto della repressione di un’esperienza traumatica attraverso i meccanismi di difesa, intesi quali strategie inconsce volte alla rimozione di esperienze particolarmente traumatiche e dolorose, causando però delle nevrosi. Proprio l’interpretazione dei sogni nella psicoanalisi riveste un ruolo fondamentale per la cura del paziente. Chi meglio di Salvador Dalì avrebbe potuto raffigurare la celebre e meravigliosa sequenza onirica?
Ebbene, la realizzazione di Io ti salverò ha visto la straordinaria collaborazione di uno dei più grandi pittori dell’epoca. Nella scena vediamo uno splendido fondale di tendaggi ed occhi, i quali vengono tagliati (forse rinviando a Un chien andalou, primo film della corrente surrealista realizzato da Dalì e Luis Buñuel) da grandi forbici, quasi come se fosse necessaria tale rottura per accedere alla dimensione inconscia. Dalì realizzò cento schizzi e cinque dipinti a olio da consegnare allo scenografo. Le immagini furono rese realtà da Rex Wimpy, storico collaboratore di Hitchcock che ricordiamo anche in Psycho, esperto di effetti speciali.
Le idee di Dalì erano però troppo grandi ed ardue da realizzare. La scena avrebbe dovuto avere una durata di ben venti minuti ma, per esigenze di montaggio e soprattutto per difficoltà tecniche, la sequenza finì per durare soltanto tre minuti, a fronte dei venti iniziali.
Hitchcock definì il film “una storia di caccia all’uomo presentata in un involucro di pseudo-psicanalisi”. Durante la lavorazione il regista venne affiancato dalla psichiatra di David O. Selznick per alcuni consigli tecnici, tuttavia erano più che frequenti gli scontri tra la donna ed Hitchcock, che resero abbastanza tormentata la realizzazione del film.
Il film si rivelò un grande successo, ampiamente apprezzato dal pubblico e dalla critica e nominato a ben 6 premi Oscar, per poi aggiudicarsi la statuetta per la migliore colonna sonora, composta da Miklós Rózsa.
Notorious – L’amante perduta
Venne poi la volta di Notorious – L’amante perduta (1946), secondo film in collaborazione con Hitchcock e Selznick. Il film ad oggi è un vero e proprio cult, a tal punto che nel 2001 l’American Film Institute lo ha inserito al 38º posto nella lista dei 100 migliori thriller e horror di tutti i tempi e nel 2002 lo ha inserito all’86º posto nella lista dei 100 migliori film sentimentali di tutti i tempi. Questa volta fu lo stesso regista a richiedere che Ingrid interpretasse la protagonista, in quanto ne era rimasto fortemente colpito dalla loro precedente collaborazione. L’attrice venne affiancata da Cary Grant, con il quale strinse un grande e duraturo rapporto d’amicizia.
Devlin (Cary Grant), agente dei servizi segreti americani, è incaricato di contattare la bella Elena Huberman (Ingrid Bergman), figlia di una spia tedesca, per proporle una missione in Brasile.
Un vero e proprio film di spionaggio tratto dal racconto The Song of the Dragon di John Taintor Foote (1921). Dal racconto era già stato tratto un precedente film, Convoy, diretto nel 1927 da Joseph C. Boyle e Lothar Mendes. Naturalmente il racconto fu soltanto una base che venne poi ampiamente rielaborata dal regista e dallo sceneggiatore Ben Hecht, con il quale aveva già collaborato per lo script di Io ti salverò.
Notorious ha acquisito la propria fama soprattutto perché si tratta di un film straordinario e ricco di suspense, definito da Truffaut come uno dei migliori film in bianco e nero di Alfred Hitchcock. Ampiamente apprezzato dal pubblico, il film acquisì una certa notorietà anche per la sequenza del bacio tra i due protagonisti, che per anni ha detenuto il record per il bacio più lungo della storia del cinema, sino a quel momento. All’epoca la censura aveva imposto delle specifiche limitazioni riguardo ai baci che, sullo schermo, non avrebbero potuto avere una durata superiore ai 3 secondi. Così Hitchcock, per aggirare queste restrizioni, girò un bacio che però veniva costantemente interrotto, durante la preparazione della cena ed una telefonata di Devlin.
Gli ultimi anni a Hollywood
Notorious fu l’ultimo film prodotto da David O. Selznick in cui recitò Ingrid Bergman. Petter Lindström, il marito, da tempo aveva tentato di convincere la Bergman a recedere dal contratto, sottolineando come l’attrice fosse stata soltanto sfruttata dal produttore, il quale aveva incassato milioni di dollari a fronte del compenso di Ingrid di soli 80.000 dollari annui. Dopo tale rottura, la Bergman firmò per una nuova casa produttrice e recitò in Arco di trionfo (1948) affianco a Charles Boyer (con il quale aveva già lavorato in Angoscia), dall’omonimo romanzo di Remarque. Il film, tuttavia, non riscosse grande successo.
Dopo quest’esperienza Ingrid Bergman decise di istituire una propria casa di produzione indipendente per realizzare uno dei suoi più grandi sogni: interpretare Giovanna D’Arco. Ingrid, da prima di divenire un’attrice, aveva sempre nutrito un profondo interesse verso questo personaggio storico. Ne era una grande appassionata sin da giovane, ne aveva letto molto, la interpretò a teatro e si recò in Francia visitando tutti i luoghi in cui era stata Giovanna D’Arco. Ciò che più l’affascinava era il fatto che si trattasse di una giovane donna che in cuor suo sentiva una voce, una chiamata a fare delle cose straordinarie. In questo Ingrid Bergman si rivedeva molto, non tanto per la connotazione religiosa legata al personaggio storico, quanto per il fatto di sentire dentro di sé una spinta innata a fare grandi cose che, nel caso dell’attrice, riguardavano naturalmente il mondo della recitazione, come se la Bergman sin da subito avesse consapevolezza di voler diventare qualcuno di grande.
“Sono una delle persone più timide al mondo, ma dentro di me sento di avere un leone che difficilmente si addomesticherà”
Così Ingrid Bergman decise di produrre da sé il film dei suoi sogni, interpretando Giovanna D’Arco. Il film del 1948 venne diretto da Victor Fleming (con il quale l’attrice intrattenne una breve relazione sentimentale per tutta la durata delle riprese) e costò ben 5 milioni di dollari, che per l’epoca erano tantissimi. Ne derivò una produzione ricca di costumi sfarzosi, di personaggi e di scenografie spettacolari. Giovanna d’Arco, tratto dal dramma di Broadway Joan of Lorraine di Walter Wanger, fu ampiamente apprezzato dalla critica e riuscì a candidarsi per ben otto premi Oscar, vincendone tre per migliori costumi, migliore scenografia ed un premio onorario per Walter Wanger, che produsse il film.
Anche se per la critica si trattò di un successo, gli incassi di Giovanna D’Arco furono insoddisfacenti, così come accadde anche per il film successivo, Sotto il capricorno (1949) di Alfred Hitchcock. Dopo i diversi insuccessi Ingrid Bergman iniziò ad essere particolarmente delusa da Hollywood, una vera e propria industria che dava maggiore importanza agli incassi piuttosto che alla portata artistica dei propri lavori.
Lo scandalo italiano
Sprezzante verso l’industria hollywoodiana, Ingrid Bergman nutriva fortemente l’esigenza di discostarsene, preferendo film che si allontanassero il più possibile dagli sfarzi di Hollywood e ricercando un cinema nuovo, diverso, nel quale entrare a far parte per dare una svolta alla propria carriera, fatta di oculate scelte puramente artistiche e di valore.
Fu grazie all’amante Robert Capa che Ingrid Bergman venne introdotta al cinema neorealista italiano, corrente che iniziò ad affermarsi dopo la Seconda Guerra Mondiale e che era totalmente contrapposta ai lustri hollywoodiani. Fu così che l’attrice vide per la prima volta un film di Roberto Rossellini, uno dei maggiori registi italiani neorealisti dell’epoca. Il film in questione era Roma città aperta (1945), una delle pellicole simbolo del neorealismo italiano e che fece acquisire fama internazionale alla protagonista Anna Magnani, all’epoca compagna del regista Rossellini.
Ingrid Bergman rimase letteralmente folgorata dalla visione di questo film, così diverso da ciò a cui era sempre stata abituata, così reale e fatto di persone vere, dove veniva meno la finzione, tant’è che gli interpreti erano spesso non professionisti. Ingrid lo aveva scoperto quasi casualmente, presso un piccolo cinema di New York. Nonostante ne fosse rimasta affascinata, inizialmente non vi diede troppo peso, pensò che in fondo potesse trattarsi di quel colpo di fortuna di un regista che non sempre sarebbe stato in grado di realizzare capolavori come Roma città aperta. Poco dopo Ingrid Bergman vide anche Paisà (1946), il successivo film di Rossellini e secondo della cosiddetta Trilogia della guerra antifascista.
Dopo la visione del secondo film Ingrid Bergman si convinse: comprese che davanti aveva un vero e proprio artista e, desiderosa di nuove e stimolanti esperienze lavorative, decise di scrivere una lettera da indirizzare allo stesso Roberto Rossellini. Naturalmente l’attrice non sapeva come poter contattare il regista italiano. Fu un caso fortuito che, per le strade di New York, venne fermata da un fan italiano e così lei ebbe modo di chiedergli come risalire ad un indirizzo. È rimasto celebre il telegramma che Ingrid scrisse a Roberto:
“Caro signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho amati. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, non ha dimenticato il tedesco, si fa capire in francese e in italiano sa dire solo “ti amo”, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei”
Roberto Rossellini ricette il telegramma e rimase fortemente colpito dall’intraprendenza della donna. Il regista inizialmente non sapeva chi fosse Ingrid Bergman ma bastò poco per scoprire che si trattava di una delle più grandi attrici del momento, vincitrice di un premio Oscar e nominata per altri quattro, protagonista di numerosi grandi film.
In quel momento Ingrid era a Parigi per le riprese di Il peccato di Lady Considine (1949, Alfred Hitchcock). Tramite alcuni telegrammi, l’attrice ed il regista si misero d’accordo: Rossellini si recò personalmente a Parigi per prendere Ingrid Bergman e portarla con sé in Italia, dove ebbe inizio una delle più chiacchierate storie d’amore dei tempi.
Dopo il loro primo incontro, Ingrid venne direttamente scritturata per il ruolo di protagonista del prossimo film di Rosselini, Stromboli, Terra di Dio (1950). Sin dall’inizio la lavorazione del film ebbe non pochi problemi. Innanzitutto l’aver scelto Ingrid come protagonista determinò una rottura tra Rossellini e Anna Magnani che, prima della Bergman, avrebbe dovuto essere lei la protagonista del suddetto film. Il regista tentò di giustificarsi asserendo che la presenza di una star di fama internazionale avrebbe certamente assicurato la possibilità di ottenere un cospicuo finanziamento per la produzione della pellicola. Ed infatti il danaro non tardò ad arrivare: Stromboli (Terra di Dio) venne finanziato da Howard Hughes, produttore aviatore che forse noi oggi conosciamo grazie al biopic diretto da Martin Scorsese, The Aviator, con protagonista Leonardo DiCaprio. Anna Magnani non accolse tuttavia la giustificazione dell’amante e, quasi in contemporanea, prese parte ad una produzione di un film davvero simile: Vulcano, girato sull’omonima isola vulcanica.
Nel frattempo Ingrid Bergman sembrava vivere l’idillio italiano sulla splendida isola siciliana. Per la prima volta era coinvolta in una produzione italiana, così diversa da ciò a cui era abituata ad Hollywood. Nonostante ciò che si diceva in giro, la produzione di Stromboli non fu affatto idilliaca come si credeva, anzi fu particolarmente difficoltosa. Innanzitutto perché il modo di lavorare di Rossellini era totalmente diverso da quello degli altri registi, l’attrice non aveva alcun copione, doveva quasi improvvisare il proprio ruolo e già questo la metteva abbastanza in difficoltà, non essendo effettivamente capace di improvvisare, data la timidezza ed incertezza che la caratterizzavano. Ingrid Bergman, riguardo alla lavorazione di Stromboli, ha dichiarato:
“Ero sorpresa di non aver spento il vulcano con i fiumi di lacrime che ho versato”
Nonostante lo stress, l’attrice ricorda con piacere le atmosfere sul set: l’intera isola di Stromboli era diventata il set del film ed ancora oggi alcuni angoli dell’isola vengono preservati quasi come se si trattasse di monumenti storici. Com’era solito fare Rossellini, inoltre, gli attori nel film non erano professionisti, ma semplici abitanti dell’isola. Ingrid Bergman racconta che, durante il viaggio in auto con il regista, i due si fermarono alla vista di alcuni pescatori. L’attrice inizialmente pensò che il regista stesse scegliendo qualcuno per fare da comparsa ma presto si rese conto che Rossellini si stesse assicurando che il pescatore fosse più alto di Ingrid Bergman, per affiancarla nel ruolo di protagonista maschile.
Fu proprio durante questo periodo che iniziarono a circolare maldicenze sul conto di Ingrid Bergman. I giornalisti sono stati particolarmente spietati nei suoi confronti, e di conseguenza anche il pubblico iniziò a vedere la donna sotto una luce diversa. Durante la lavorazione di Stromboli, Ingrid Bergman rimase incinta di Roberto Rossellini, con il quale intraprendeva ormai una relazione extramatrimoniale che non era sfuggita agli occhi dei più assetati rotocalchi. L’evento creò uno scalpore immenso e presto Ingrid si sarebbe trovata al centro di uno dei più grandi scandali della storia del cinema sino a quel momento: l’attrice si era allontanata da casa “abbandonando” il marito e la propria figlia, non nascondeva l’amore per Roberto Rossellini né il fatto che fosse rimasta incinta.
All’epoca era assolutamente inconcepibile che una donna potesse intrattenere relazioni extramatrimoniali, peraltro quella con Rossellini non era la prima e si vociferava che fossero numerosi gli uomini con cui era stata, tra cui sicuramente Robert Capa ed il regista Victor Fleming, seppur per breve tempo. Ingrid veniva meno al ruolo di brava moglie e di brava madre, distruggendo quell’immagine di purezza che Hollywood ed il resto del mondo avevano di lei. Il pubblico fu estremamente severo nel giudicare la condotta dell’attrice tanto che ormai i produttori statunitensi volevano impedirle di girare altri film, considerata come un vero e proprio pericolo per le altre donne, che avrebbero potuto prenderla come un modello da seguire e che le avrebbe condotte sulla via della perdizione. La stampa la definì Hollywood’s apostle of degradation (apostolo della degradazione di Hollywood) e persino un politico di Washington si permise di esprimere un commento sullo scandalo della Bergman:
“Dalle ceneri di Ingrid Bergman nascerà una Hollywood migliore”
La notizia giunse presto al marito Petter Lindström che non esitò a chiedere il divorzio, ottenendo inoltre l’affidamento della figlia Pia. Nel frattempo, l’enorme scandalo attorno alla figura di Ingrid Bergman non fece che affossare qualsiasi film in cui lei fosse presente. Stromboli (Terra di Dio) fu un vero e proprio fallimento: con un discreto successo in Italia, il film non venne affatto apprezzato all’estero. Soltanto di recente il film è stato riscoperto come un vero e proprio capolavoro neorealista ma, all’epoca, il mondo era completamente acciecato dagli scandali per comprendere la bellezza della pellicola. Nonostante Ingrid Bergman si sia sempre mostrata forte dinanzi al pubblico, alla critica e ai giornalisti, in realtà gli aspri giudizi non facevano che tormentarla.
Inutile dire che la mentalità della donna fosse davvero moderna: Ingrid infatti riteneva che gli altri non avrebbero dovuto giudicarla per la sua vita privata, per la sua condotta, che non riguardava nessun altro all’infuori di lei e di chi le stava attorno. Il pubblico avrebbe dovuto apprezzare esclusivamente il suo lavoro, considerarlo in modo distaccato rispetto alla persona dell’attrice, per cui non aveva senso, per lei, che i suoi ultimi film fossero così tanto disprezzati soltanto perché era in corso uno degli scandali maggiori dell’epoca e su cui sono scorsi fiumi d’inchiostro.
Ottenuto il divorzio sia Ingrid Bergman che Rossellini dai rispettivi coniugi, i due si sposarono nel 1950 e dalla loro unione nacquero ben tre figli: Roberto Rossellini jr. (1950) e le due gemelle Isabella e Isotta Rossellini (1952). Durante il periodo della maternità Ingrid Bergman venne spesso ritratta dalle riviste come madre casalinga, riconquistando lentamente le simpatie dell’opinione pubblica. Nel frattempo continuava a lavorare come attrice esclusivamente sotto la direzione di Roberto Rossellini, dalla cui unione ricordiamo Europa ’51 e Viaggio in Italia, che però non ebbero grande successo.
Ben presto però Ingrid Bergman iniziò a sentirsi stretta in quel ruolo di madre casalinga, che non le apparteneva. Secondo un’antiquata concezione patriarcale di famiglia, infatti, la donna venne invitata a lasciare il proprio lavoro per dedicarsi alla famiglia e lo stesso Roberto Rossellini le aveva più volte impedito di lavorare con altri registi all’infuori di lui. Si trattava però di una situazione troppo opprimente per l’attrice ed i litigi con Rossellini divennero sempre più frequenti.
Presto Ingrid Bergman tornò a recitare, dapprima in teatro, portando sul palco, ancora una volta, la sua amata Giovanna d’Arco, tra Parigi, Napoli e Milano. Successivamente, nel 1956, ottenne il consenso di suo marito per recitare in un film che finalmente non fosse diretto da lui, ma da un suo stimato collega: Jean Renoir. Il film era Eliana e gli uomini, si trattò di una commedia, in cui Ingrid Bergman non era solita recitare. L’impatto di Renoir su Ingrid Bergman fu davvero notevole: se infatti in precedenza Alfred Hitchcock affermava che l’attrice prendeva i film più seriamente della propria vita, con Renoir la Bergman comprese che i film avevano certamente un impatto sociale e non si trattava esclusivamente di prodotti artistici, ma anche di semplice intrattenimento, insegnandole così una maggiore leggerezza in ambito lavorativo.
Poi, nel 1957, Ingrid Bergman fece ritorno ad Hollywood, contattata dalla Fox per il ruolo da protagonista in Anastasia (diretto da Anatole Litvak), una pellicola ad alto budget sulla superstite dell’eccidio della famiglia dello zar di Russia. Si trattò di un ritorno trionfale, infatti l’interpretazione le valse la seconda statuetta d’oro come miglior attrice. Tuttavia, dato che la stampa ancora non aveva dimenticato lo scandalo italiano, Ingrid Bergman non presenziò personalmente alla cerimonia degli Oscar ed il suo premio venne ritirato dal caro amico e collega Cary Grant.
Nel 1958, dopo otto anni di matrimonio con Roberto Rossellini, fu quest’ultimo a chiedere il divorzio dall’attrice. Rossellini non era mai stato un marito particolarmente fedele e infatti il divorzio era dovuto al fatto che, durante le riprese di un film in India, l’uomo aveva messo incinta una donna del posto. Tuttavia anche Ingrid Bergman non era una moglie modello ed anzi, sul finire della relazione con Rossellini, aveva iniziato a frequentare un altro uomo: Lars Schmidt, un impresario teatrale svedese con il quale rimase legata per i successivi anni della sua vita.
È interessante notare come, a parte il primo marito neurochirurgo, gli altri uomini della vita di Ingrid fossero tutti accomunati da mestieri pertinenti il settore lavorativo dell’attrice: Robert Capa era un fotografo, Victor Fleming e Rossellini registi, e da ultimo Schmidt che lavorava in ambito teatrale. Alcuni ipotizzano che in qualche modo l’attrice rivedesse in loro la figura paterna che in primis l’aveva abituata a posare e a stare davanti ad un obiettivo.
Per quanto riguarda invece il rapporto con i figli, questi ultimi l’hanno sempre descritta più come un’amica che come una mamma. La prima figlia Pia ha sempre avuto un rapporto davvero debole con Ingrid Bergman, che era sempre stata una madre abbastanza assente. Pia raggiunse la madre in Italia quando compì 18 anni, per trascorrere l’estate con lei, che non vedeva da anni. Per quanto riguardava invece i fratelli Rossellini, in interviste recenti hanno più volte dimostrato di essere realmente comprensivi verso la Bergman. Isabella Rossellini ha deciso di ripercorrere la stessa carriera di attrice e modella e ad oggi è un personaggio di fama internazionale che ha collaborato con grandi registi, tra cui David Lynch. Isabella, come anche i fratelli, hanno sempre affermato che Ingrid semplicemente si annoiava con la famiglia, non era fatta per quel tipo di vita, era piuttosto una persona avventurosa che non era in grado di rimanere in un unico posto, era una donna che si definiva senza radici, come un uccello migratore.
“Senza recitazione, smetterei di respirare”
Così affermava Ingrid Bergman, totalmente innamorata del proprio lavoro: non lavorava per vivere ma viveva per lavorare e nulla la rendeva più felice della recitazione. Per cui tornava a casa dai figli soltanto per brevi periodi, tanto che questi ultimi più che come madre la consideravano un’amica divertente con cui trascorrere dei bei momenti, seppur brevi.
Il ritorno ad Hollywood e gli ultimi anni di vita
“Sono passata da santa a puttana e poi di nuovo a santa in una vita sola”
Così Ingrid Bergman sintetizzò la propria vita, così condizionata dall’opinione pubblica. Di fatto, se dapprima era una santa, la donna acqua e sapone e modello per ogni donna americana, è stata successivamente additata come una donna di facili costumi a causa dei differenti tradimenti e così venne allontanata dalle scene dello spettacolo, per poi farvi ritorno e riconquistando l’affetto del pubblico con ulteriori interpretazioni che le valsero degli Oscar.
Tra i ruoli più importanti interpretati durante quegli anni ricordiamo Indiscreto (1958) di Stanley Donen e La locanda della sesta felicità (1958) di Mark Robson. Tuttavia furono pochi i ruoli di spessore che le vennero assegnati in quegli anni e Ingrid Bergman fu molto più attiva sul fronte degli spettacoli teatrali, complice anche la sua nuova fiamma, l’impresario Schmidt.
Con la volontà di rimanere però più vicina ai suoi figli, l’attrice recitò soltanto saltuariamente negli Stati Uniti, stabilendosi prima a Parigi e poi a Londra e dedicandosi dunque alla recitazione in prodotti europei, dai film alla televisione al teatro. L’attività recitativa venne sospesa poi per due anni a causa di una grave operazione alla schiena subita dalla figlia Isabella, così, per starle accanto, Ingrid Bergman si dedicò alla figlia durante la lunga e dolorosa riabilitazione.
Nel 1967 ricevette una proposta di lavoro in Svezia, dove fa ritorno dopo anni di assenza, intimorita dall’accoglienza che avrebbe ricevuto dal pubblico. Di fatto non si trattò di un’accoglienza particolarmente calorosa, sempre a causa dello scandalo italiano nonché per l’abbandono della madre patria. In Svezia recitò in un film a puntate, Stimulantia. L’episodio con Ingrid Bergman venne diretto da Gustaf Molander, il regista con cui esordì l’attrice: Molander si era ritirato dalla propria carriera ormai da anni ma, pur di lavorare con l’attrice, decise di tornare dietro la macchina da presa. Il film non ebbe grande successo, tuttavia i critici ritengono che l’episodio migliore fosse proprio quello con Ingrid Bergman.
Nel 1973 le venne diagnosticato un tumore al seno ma Ingrid Bergman riuscì ad affrontarlo senza che ciò interferisse col lavoro. E così nel 1975 Ingrid vinse il suo terzo e ultimo Oscar come miglior attrice non protagonista, per il ruolo nel film Assassinio sull’Orient Express. È passato alla storia il discorso che l’attrice fece una volta ritirato il premio, dichiarando con quella schiettezza e onestà che la contraddistinguevano, che lei non meritava affatto quella statuetta e che l’Oscar l’avrebbe meritato l’amica Valentina Cortese, candidata per Effetto notte di François Truffaut.
Sinfonia d’autunno
Successivamente, nel 1978, ricevette nuovamente una proposta di lavoro in Svezia, da parte di uno dei più prestigiosi registi svedesi dell’epoca e della storia in generale: Ingmar Bergman. Ingrid non era più giovane e, come lei stessa asseriva, difficilmente venivano scritti ruoli per donne più mature e della sua età, per cui, specie durante gli ultimi anni di vita, l’attrice faticava a trovare ancora posto nell’industria cinematografica. Come con Rossellini, anche per Ingmar Bergman l’attrice scrisse una lettera in cui dichiarò di essere interessata ad una collaborazione con il regista che, più di altri, era in grado di realizzare opere estremamente introspettive. Dopo qualche anno il regista accettò la collaborazione e scrisse un ruolo appositamente pensato per Ingrid nel celebre film Sinfonia d’autunno (1978), affiancata dalla giovane Liv Ullmann, altra musa di Ingmar Bergman.
Le donne hanno il costante desiderio di rimanere per sempre giovani e belle e, quando i segni dell’età iniziano a presentarsi, sono vari i tentativi di nasconderli. La stessa Ingrid affermava che in teatro era molto più semplice celare la sua età, addirittura poteva apparire 10 o 15 anni più giovane grazie ai riflettori, al trucco e alla distanza dal pubblico. Ma davanti la cinepresa le cose cambiano, specie durante i primi piani, dove la pelle è completamente messa a nudo. Dimostrando la sua reale età, nonché reduce da un intervento chirurgico e da una pesante chemioterapia, temeva che avrebbe perso i propri fan. Ingmar Bergman riuscì però a rassicurarla, dicendole che se avesse perso dei fan, ne avrebbe certamente guadagnati di nuovi grazie a lui.
Sinfonia d’autunno racconta del rapporto madre-figlia come solo Bergman avrebbe potuto illustrare: un rapporto complesso dove la madre è tormentata dal senso di colpa per essere stata assente durante l’infanzia della figlia, perché troppo dedita alla carriera da pianista.
La lavorazione del film fu molto travagliata. Innanzitutto per le condizioni di salute dell’attrice, ma anche per il complesso ruolo che le era stato assegnato, interpretato con sofferenza laddove Ingrid si rivedeva in quella madre assente che era stata cucita su di lei dallo stesso regista. Ingrid, come la madre di Sinfonia d’autunno, è infatti sempre stata dedita alla propria carriera, sacrificando più volte la famiglia. In particolare, Ingrid rivide in Liv Ullmann la sua primogenita Pia, abbandonata da bambina in America per seguire i suoi sogni lavorativi. A complicare ulteriormente le riprese furono gli scontri continui tra l’attrice ed il regista. È ormai risaputo che Ingrid Bergman voleva avere potere sulle sceneggiature da lei interpretate e perciò varie sono state le discussioni con il regista per la stessa ragione.
L’attrice Liv Ullmann ha raccontato in diverse interviste qualche aneddoto sul rapporto tra Ingrid e Ingmar Bergman. In particolare, ha raccontato di come il regista prestasse particolare attenzione agli sguardi e ai pensieri dei suoi personaggi. Nell’iconica scena in cui la madre guarda sua figlia suonare, il regista chiese ad Ingrid cosa stesse pensando in quel momento. L’attrice rispose che stava pensando che sua figlia non fosse brava a suonare ma era carina nel provarci e per cui provava compassione e tenerezza. Il maestro Bergman le diede allora una nuova chiave di lettura per interpretare la scena, le diede i pensieri che lei avrebbe poi dovuto esprimere attraverso il proprio sguardo: la madre non provava compassione per la figlia, in realtà non la stava nemmeno ascoltando e piuttosto la rivede da bambina, quando la lasciava sull’uscio per andare a lavorare.
Tra alti e bassi venne fuori un capolavoro, un’opera di grande intensità come intense sono state le interpretazioni delle due attrici protagoniste. Sinfonia d’autunno è stato l’ultimo film destinato al grande schermo in cui prese parte Ingrid Bergman, candidata al settimo Oscar per quella che dai critici viene considerata come una delle sue migliori interpretazioni, una vera e propria prova d’attrice.
Nel 1980 la malattia tornò a manifestarsi e, forse proprio per questo motivo, nello stesso anno Ingrid Bergman pubblicò un libro di memorie, scritto a quattro mani con Alan Burgess: Ingrid Bergman – La mia storia. Nello stesso anno fu presentatrice del Lifetime Achievement Award ad Alfred Hitchcock, conferito dall’AFI, di cui ricordiamo l’esilarante discorso dedicato ad uno dei registi che ha contribuito a renderla l’icona che noi tutti oggi ricordiamo.
L’anno seguente, nel 1981, recitò per la televisione nel suo ultimo ruolo, una biografia del primo ministro israeliano Golda Meir, per il quale, nel 1982, ricevette un Emmy postumo come migliore attrice. Il 29 agosto 1982, il giorno del suo sessantasettesimo compleanno, Ingrid Bergman si spense a Londra.
Sono tanti gli aggettivi che possono essere utilizzati per descrivere l’attrice: affascinante, divertente, appassionata, umile, portatrice di una forza immensa e di un coraggio silenzioso nel cambiare la propria vita in continuazione, una donna forte che è stata in grado di imporsi e di cambiare le regole dello show business. Ingrid Bergman è stata una donna avventurosa, libera e moderna.
“Non ho rimpianti. Non mi dispiaccio per ciò che ho fatto ma per ciò che non ho fatto”.