Amleto (Hamlet)
Regia: Laurence Olivier; soggetto: dall’omonima tragedia (1600) di William Shakespeare; sceneggiatura: Laurence Olivier, Alan Dent (con Reginald Beck e Anthony Bushell, non accreditati); fotografia (B/N): Desmond Dickinson; scenografia: Roger K. Furse (e Carmen Dillon); costumi: Roger K. Furse e Elizabeth Hennings (non accreditata); effetti speciali: Henry Harris, Paul Sheriff, Jack Whitehead; colonna sonora: William Walton; montaggio: Helga Cranston; interpreti: Laurence Olivier (Amleto), Jean Simmons (Ofelia), Eileen Herlie (regina Gertrude), Basil Sydney (re Claudio), John Gielgud (lo spettro), Felix Aylmer (Polonio), Norman Wooland (Orazio), Terence Morgan (Laerte), Peter Cushing (Osric), Anthony Quayle (Marcello), Esmond Knight (Bernardo), John Laurie (Francesco), Stanley Holloway (il becchino), Niall MacGinnis (capitano), Cristopher Lee (non accreditato); produzione: Laurence Olivier, Filippo Del Giudice, John Gossage, Phil C. Samuel per Two Cities Films; origine: Regno Unito – 1948; durata: 154′.
Trama
Il Re di Danimarca è stato assassinato dal fratello Claudio, che ne ha usurpato il trono e ne ha sposato la vedova Gertrude. Uno spettro compare sul terrapieno del castello. Coloro che assistono allo spaventoso fenomeno sono le guardie di stanza in quel momento: Bernardo, Francesco, Orazio e Marcello. Lo spettro è il padre di Amleto (Olivier), di cui costoro sono fedeli amici. I quattro lo informano per farlo poi partecipe della visione che si ripete. Ad Amleto, figlio del defunto Re, appare lo spettro del padre, che denuncia il delitto, ne precisa le circostanze e chiede vendetta. Amleto, sconvolto dall’improvvisa rivelazione, promette di vendicare il padre. Per dedicarsi completamente alla sua tragica missione, rinuncia all’amore di Ofelia (Simmons) e si finge pazzo per sfuggire ai sospetti. Fa recitare al cospetto del Re un dramma, che riproduce le circostanze dell’assassinio: il nuovo monarca non può dominare la propria agitazione. Decide, per disfarsi del nipote, di inviarlo in Inghilterra come ambasciatore, assoldando il capitano della nave affinchè il principe trovi la morte durante il viaggio; ma egli sfugge al tranello tesogli e ritorna in Danimarca, per compiere la sua vendetta con spietatezza e abilità, lasciando una scia di distruzione che investirà anche la sua innamorata Ofelia. Quest’ultima, impazzita per l’uccisione del padre Polonio, consigliere del re, si suicida gettandosi nel fiume. Laerte, fratello di lei, vuol vendicare la morte del padre ucciso per errore. Il Re invita Amleto e Laerte ad una partita d’armi, ma a Laerte viene affidata una spada affilata e avvelenata, con la quale trafigge Amleto. Questi, prima di morire, ferisce Laerte e uccide il Re, mentre la Regina beve il veleno destinato al figlio. Orazio rimane testimone della storia: il corpo del principe danese viene condotto dai suoi amici sul terrapieno più alto e bruciato su di una pira funebre.
William Shakespeare e Laurence Olivier, dal teatro al cinema
Delle tre trasposizioni cinematografiche delle tragedie del bardo di Stratford dirette e interpretate dal grande Laurence Olivier, Amleto è la seconda, la più famosa e senza dubbio la più premiata. Olivier aveva precedentemente interpretato questa versione del dramma all’Old Vic (storico teatro londinese), ricevendo critiche assai negative, nonostante il favore del pubblico. Il motivo maggiore delle stroncature risiede proprio nella caratterizzazione del personaggio del principe di Danimarca, che sembra soffrire di un complesso di Edipo nei confronti della madre Gertrude, accentuato dall’interpretazione di Olivier. Se comunque il rifacimento non è il migliore (L’ Enrico V di due anni prima, con la commovente morte di Falstaff e la scena della battaglia di Azincourt, è a mio giudizio insuperabile per tensione drammatica e intensità) resta il più innovativo grazie all’uso consapevole da parte dell’ Olivier regista della profondità di campo, che gli consente di riprendere le scene con una vivacità insolita per un film di impianto e origine teatrale. Giova dal punto di vista squisitamente visivo il rifiuto del Technicolor a favore di un bianco e nero pieno di contrasti (l’autore della fotografia Desmond Dickinson ha imparato la lezione dal collega Gregg Toland, che in Quarto Potere aveva esplorato le potenzialità espressive del contrasto tra luci ed ombre), degna espressione esteriore dei dubbi laceranti che dilaniano il protagonista.
Riguardo alla sceneggiatura poi, Olivier e i suoi collaboratori alleggeriscono il testo, in modo da renderlo comprensibile a tutti, pur rispettandone la sacralità dovuta a un capolavoro. Durante la preparazione il regista raccomanda agli scrittori di considerare ‘Gertie’, una sorta di paradigma immaginario dello spettatore medio. Qualunque dialogo o monologo va eliminato, se sorge il dubbio che Gertie non possa comprenderlo.
Grazie a tali accorgimenti non deve stupire che negli Stati Uniti il film britannico rastrelli oltre 3 milioni e mezzo di dollari al botteghino: davanti ad un’opera tanto grande spettatori e critici sono in soggezione La recitazione di Olivier è potente, coadiuvata da una splendida Jean Simmons/Ofelia e da un’intensa Eileen Herlie/Gertrude che gli tengono testa egregiamente in dialoghi sferzanti e drammatici. Ai Golden Globe Amleto vince come miglior film straniero e Olivier conquista il premio al miglior attore. In una nazione sempre più preoccupata dallo spettro del Comunismo il film ottiene sette candidature e ha buone possibilità di affermarsi, nonostante la concorrenza. Quando il futuro è incerto e si ha paura, rifugiarsi nei classici è una soluzione rassicurante.
Il racconto del redattore
Nella ‘Notte delle Stelle’ del 1949 infuriano le polemiche; giornalisti e addetti ai lavori sono preoccupati dalla British Invasion che temono possa nuocere al mercato cinematografico americano. A contendersi la statuetta per il miglior film – in grado di garantire incassi supplementari, oltre che un certo prestigio – sono infatti due opere provenienti dall’ Inghilterra: oltre ad Amleto nella cinquina dei finalisti figura Scarpette rosse, capolavoro di Michael Powell ed Emeric Pressburger. Ispirato alla favola di Andersen narra la storia della prima ballerina Moira Shearer, costretta a scegliere tra amore e carriera. Il film vince due meritati Oscar per la scenografia a colori e la colonna sonora. Osannato dal pubblico e amatissimo da registi della New Hollywood quali Francis Ford Coppola e Martin Scorsese , sarà il modello con cui si misurerà il successivo Un americano a Parigi di Vincente Minnelli.
A difendere i colori statunitensi altre tre pellicole notevoli, come il dramma psicanalitico La fossa dei serpenti di Anatole Litvak con Olivia De Havilland malata mentale a causa dei traumi dell’infanzia: delle sei nomination ottenute manda all’incasso solo quella per il sonoro. Quotati per il premio più ambito sono i due vincitori ex-aequo del Golden Globe al miglior film drammatico: con ben dodici segnalazioni, Johnny Belinda di Jean Negulesco e con quattro nomination Il tesoro della Sierra Madre di John Huston entrambi prodotti dalla Warner Bros. Tra i due il primo vede evaporare tutte le segnalazioni, eccetto quella per la migliore attrice protagonista Jane Wyman, mentre al secondo va decisamente meglio con tre Oscar di peso su quattro possibilità: John Huston trionfa per la regia e la sceneggiatura e si toglie la soddisfazione di portare al trofeo di migliore attore non protagonista suo padre Walter, alla prima nomination della carriera.
La vittoria di Jane Wyman sbarra la strada a Barbara Stanwyck (per l’imitatissimo thriller Il terrore corre sul filo)a Irene Dunne, protagonista in Mamma ti ricorda! di George Stevens ma soprattutto a Ingrid Bergman, Pulzella d’Orleans in Giovanna d’Arco di Victor Fleming (due miseri Oscar alla fotografia a colori e ai costumi). Costato nove milioni di dollari, il film ne incassa uno, mandando quasi sul lastrico il produttore Walter Wanger. Tra i film quasi ignorati meritano una citazione L’isola di Corallo, ancora di John Huston, con Humphrey Bogart, Edward G. Robinson e Lauren Bacall (i protagonisti restano a bocca asciutta e non vengono neanche nominati, mentre l’Oscar arriva alla comprimaria Claire Trevor) e Odissea tragica di Fred Zinneman, che vince per il soggetto e frutta un Oscar speciale all’esordiente Ivan Landl. La serata termina con la vittoria del britannico Amleto, primo film straniero a imporsi nella categoria principale, ricevendo per di più altri tre riconoscimenti alla scenografia, ai costumi – premio istituito quell’anno- e al migliore attore protagonista Laurence Olivier che si tiene a distanza, per evitare polemiche con i sostenitori del protezionismo americano. A ritirare l’Oscar invia il suo amico Douglas Fairbanks Jr. che prova a difenderlo, ma viene interrotto quando la sala inizia a svuotarsi per protesta. L’esterofilia non è mai stata ben vista in America.
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