Braveheart – Cuore Impavido (Braveheart)
Regia: Mel Gibson; soggetto e sceneggiatura: Randall Wallace; fotografia (Colore): John Toll; scenografia: Peter Howitt; costumi: Charles Knode; trucco: Peter Frampton, Paul Pattison, Lois Burwell; colonna sonora: James Horner; montaggio: Steven Rosenblum; interpreti: Mel Gibson (William Wallace), Sophie Marceau (Principessa Isabella di Francia), Brendan Gleeson (Hamish Campbell), James Cosmo (Campbell senior), Sean McGinley (MacClannough), Catherine McCormack (Murron), Patrick McGoohan (Re Edoardo I d’Inghilterra), David O’Hara (Stephen, combattente irlandese), Angus Macfadyen (Robert Bruce / voce narrante), Ian Bannen (Padre di Robert Bruce, il lebbroso), Tommy Flanagan (Morrison), Peter Hanly (Edoardo Principe di Galles); produzione: Mel Gibson, Alan Ladd, Jr., Bruce Davey, Stephen McEveety per Paramount Pictures; origine: USA – 1995; durata: 178′.
Trama
Sul finire del XIII secolo, sul trono di Scozia siede Edoardo I Plantageneto, re d’Inghilterra. Lo scozzese William Wallace (Mel Gibson), la cui famiglia è stata massacrata dagli inglesi quando era solo un bambino (crescendo è diventato un uomo colto ma legato alle tradizioni rurali della terra natia) torna dopo molti anni nel suo villaggio, dove vorrebbe creare una famiglia con la bella Murron che, per eludere lo jus primae noctis imposto dal feudatario inglese, sposa in segreto. Poi deve difenderla da un tentativo di stupro, ma la giovane viene barbaramente uccisa. Adirato, William suscita una rivolta che estromette gli inglesi dal territorio dopo averli sconfitti a Stirling. Con la sua armata, formata da volontari provenienti da tutta la Scozia, Wallace conquista York. Edoardo I, preoccupato, invia a negoziare con lui la principessa Isabella di Francia (Sophie Marceau), moglie dell’inetto principe Edoardo, suo figlio, la quale rimane favorevolmente colpita dallo scozzese, innamorandosene. Wallace rifiuta ogni trattativa e scende nuovamente in campo a Falkirk contro gli inglesi, guidati da Edoardo in persona. Le sorti della battaglia sembrano in equilibrio, ma il tradimento di due nobili scozzesi e dei loro uomini, lasciatisi corrompere dall’oro inglese, rovescia le sorti del conflitto. Il condottiero si vendica giustiziando i traditori e, pur ferito, insegue il re ma viene fermato dalla sua scorta, di cui fa parte Robert Bruce (Macfayden), che decide di salvargli la vita e lo lascia fuggire. Nel 1305, sebbene sconsigliato dagli amici, decide di recarsi a Edimburgo per una discussione politica sul futuro della Scozia ma cade in un’imboscata, progettata dal padre di Bruce, che aveva tradito il figlio, il quale era realmente intenzionato ad aiutare lo scozzese. I nobili lo consegnano quindi al malato Edoardo e a poco valgono le lacrime e la disperazione di Robert Bruce. A Londra Wallace viene torturato, incontra nuovamente Isabella, che aspetta da lui un figlio, ma non si piega e viene decapitato. Il suo corpo viene fatto a pezzi, la testa viene esposta sul Ponte di Londra mentre braccia e gambe vengono inviate ai quattro estremi del regno come monito per i ribelli. Robert Bruce intanto, divenuto Re di Scozia alla morte del padre, si presenta coi suoi soldati al cospetto dell’esercito inglese per sottomettersi ma, improvvisamente si rivolge ai suoi uomini: “Vi siete battuti per Wallace! Ora battetevi per me!”. Alla richiesta del sovrano, Hamish estrae la spada di Wallace e la scaglia con tutte le sue forze verso gli inglesi: la spada si conficca nel terreno e al grido “Wallace!” gli scozzesi partono all’attacco, più furiosi che mai, cogliendo di sorpresa gli inglesi. Manterranno l’indipendenza per quasi 400 anni.
Il coraggio di osare
Mel Gibson, classe 1956, è ormai un divo, grazie alla reputazione costruitasi nei film d’azione come la trilogia di Mad Max nei primi anni ’80 e i tre film di Arma letale. L’attore australiano ha recitato in alcuni titoli d’autore del connazionale Peter Weir (Gli anni spezzati e Un anno vissuto pericolosamente) e, dopo un esordio alla regia piuttosto convenzionale con L’uomo senza volto, sente che il momento è giunto per giocare le sue carte con un kolossal. Avverte che il cuore dell’Academy batte per gli attori che si cimentano con la regia, soprattutto se scelgono un soggetto d’ampio respiro dal carattere epico e grandioso. Il suo eroe, William Wallace è un uomo pacifico che, vistosi uccidere la moglie, guida gli Scozzesi alla rivolta contro il dominatore inglese, conquista il cuore di una regina, ma viene tradito dai nobili, catturato e giustiziato. Con il volto dipinto di Blu e la bandiera con la croce di Sant’Andrea, il condottiero dal cuore impavido guida un cast di oltre 1700 comparse in scene di battaglia dall’indubbio fascino spettacolare che convincono il pubblico garantendo un incasso di 75 milioni di dollari negli USA e di 210 milioni in tutto il mondo. Meno benevola è la critica, che punta il dito contro le inesattezze storiche del copione scritto da Randall Wallace con più di qualche licenza: ad esempio la regina Isabella sposò Edoardo II solo nel 1308, all”epoca dei fatti aveva appena 10 anni e non avrebbe certo intrattenuto una relazione amorosa con il condottiero scozzese. I guerrieri poi indossano il kilt che però sarà inventato solo 4 secoli più tardi. Ai Golden Globe le quattro candidature si sgonfiano e solo Gibson viene premiato per la regia. Diversa è la sorte che lo attende a Hollywood dove Braveheart – Cuore Impavido è il film da battere, forte di ben 10 nomination.
Il racconto del redattore
Nel 1996 a Los Angeles la critica è allibita: nella lista degli attori protagonisti mancano Robert De Niro e Al Pacino, per la prima volta a confronto diretto (ne Il Padrino – Parte II non erano mai nella stessa inquadratura, appartenendo a due linee temporali diverse) nel classico Heat – La Sfida di Michael Mann; viene ignorato Clint Eastwood regista e interprete di grande sensibilità de I ponti di Madison County (che candida la sola, inossidabile Meryl Streep) nonchè John Travolta, notevole nel ruolo del mafioso cinefilo in Get Shorty di Barry Sonnenfeld, per tacere del sobrio detective Denzel Washington de Il diavolo in blu e della rivelazione Kevin Bacon, premiato dai colleghi per l’intensa prova fornita in L’isola dell’ingiustizia – Alcatraz di Marc Rocco. Sul ‘New York Times’ una furiosa Janet Maslin commenta sarcastica: “Solo un folle può aspettare con ansia una serata in cui un attore potrebbe vincere come spalla di un maiale” . Oggetto dei suoi strali è James Cromwell, fattore di buon cuore nell’australiano Babe – Maialino coraggioso, la vera sorpresa della stagione: fiaba orwelliana popolata di animali parlanti, prodotta da George Miller, già demiurgo della saga di Mad Max, che ha investito nel film 25 milioni di dollari. Babe non piace solo ai bambini ma anche agli adulti e l’autorevole David Ansen, dalle pagine di ‘Newsweek’ sogna per il film una pioggia di Oscar. Il suo augurio si realizza in parte: 7 nomination (compresa quella per il miglior film) si trasformano in una statuetta per gli effetti visivi. Nella cinquina, oltre alle campali battaglie di Wallace troviamo Apollo 13 di Ron Howard, film sulla sfortunata missione della navicella del titolo, lanciata verso la luna nel 1970 e messa fuori uso dall’esplosione di un serbatoio di’ossigeno; miracolosamente essa torna sulla terra grazie al lavoro degli ingegneri della NASA e dei piloti. La battuta “Houston, abbiamo un problema” pronunciata in tono sommesso dal protagonista Tom Hanks diventa subito parte del linguaggio comune, ma il film è prolisso e le sue nove candidature si riducono a due Oscar tecnici per il suono e il montaggio: a farne le spese è soprattutto il sottovalutato Ed Harris, che avrebbe meritato miglior fortuna. Così come il taiwanese Ang Lee che, con Ragione e Sentimento, inaugura il filone aureo che riproporrà negli anni i romanzi di Jane Austen in chiave cinematografica (nel 1995 esce anche Persuasione di Roger Mitchell, seguito nel 1996 da Emma con la giovane Gwyneth Paltrow, nel 1999 da Mansfield Park e nel 2005 da una frizzante versione di Orgoglio e Pregiudizio, con Keira Knightley). Le avventure sentimentali delle sorelle Dashwood sono narrate con grande perizia e animate da attori bravissimi (Hugh Grant, Emma Thompson e la promettente Kate Winslet) ma in modo convenzionale: di 7 nomination viene premiata solo la sceneggiatura, scritta dall’attrice britannica. Se come interprete della diciannovenne protagonista la Thompson, trentaseienne, è passata di cottura, come autrice fredda e anestetizzata secondo i malevoli, è perfetta. A completare il quintetto un piccolo miracolo all’italiana: Il Postino, estrema prova dell’attore napoletano Massimo Troisi, il cui cuore malandato ha ceduto poco dopo la fine delle riprese. Acquistato dalla Miramax per soli 300.000 dollari, il film viene distribuito in versione originale sottotitolata, incassando ben 12 milioni: è il primo film in lingua non anglosassone a entrare nel novero dei pretendenti all’Oscar più ambito dopo Sussurri e grida di Ingmar Bergman e s’impone per la colonna sonora dell’argentino Luis Bacalov, mentre Troisi (terzo attore a ricevere una nomination postuma dopo James Dean e Peter Finch) viene battuto da Nicholas Cage, che si impone come miglior attore protagonista per Via da Las Vegas. Due Oscar di consolazione per il film in costume Restoration – Il peccato e il castigo di Michael Hoffman, mentre Pocahontas della Disney incassa le consuete statuette per la colonna sonora originale e la canzone. Distribuiti i premi secondari il palco è tutto per l’impavido ribelle Mel Gibson: Braveheart (filmato in alto) trionfa come miglior film dell’anno e riceve in totale 5 Oscar (completano la bacheca il premio per la regia, la fotografia, il trucco e il montaggio sonoro). Decisamente è un anno d’oro per l’Australia.