Mario Monicelli si è suicidato a 95 anni per sottrarsi al dolore della sua malattia fatale, questo dice la cronaca. Secondo me è stato perché continuavano a dire che i Vanzina, De Sica figlio e altri facevano commedia all’italiana. Marione nostro sarebbe stato felice di vedere Figli, una commedia senza grandi pretese, ma ben diretta (il regista è Giuseppe Bonito), ben recitata e, soprattutto, ben scritta (sceneggiatura di Mattia Torre).
La trama è semplice:
descrive i problemi che ha una famiglia comune, né ricca, né povera, alla nascita del secondo figlio. I due genitori sono Valerio Mastandrea, Nicola, e Paola Cortellesi, Sara, quindi due attori bravi e simpatici, oltre che brave persone (e Mastandrea lo ha dimostrato col suo primo film da regista).
L’Italia cinematografica ha avuto almeno quattro momenti di gloria a livello mondiale: il neorealismo, la commedia all’italiana, la cinematografia di Federico Fellini e quella di Sergio Leone. La commedia all’italiana aveva il pregio di fare ridere e insieme di fare critica sociale: i personaggi spesso grotteschi delle commedie denunciavano i vizi della nostra società, mettendoli in ridicolo. Figli sceglie un’altra strada, forse più didascalica, ma abbastanza efficace: le cose le dice chiare e tonde. Forse si crede che lo spettatore medio di oggi sia meno arguto di quello di sessant’anni fa. Comunque sia, i protagonisti non sono gli sbruffoni della commedia tradizionale, attraverso i cui difetti si rideva dei difetti di tutti; sono due brave persone che ce la mettono tutta, ma il mondo nel quale vivono, che per l’appunto è il nostro, non li aiuta, anzi crea mille problemi che mettono a repentaglio la loro stessa relazione. Alla fine (è una commedia, quindi non faccio chissà che rivelazione), la loro intesa si dimostra abbastanza forte da permettere loro di farcela, nonostante tutto quello e tutti quelli che hanno intorno, ma è stata dura. E quello ce lo dicono chiaramente. La scena coi genitori di Sara è esemplare e dà un’immagine nettissima di come sia cambiata la vita in appena due generazioni.
Nonostante molte scene sembrino stare spesso sul piano della tragedia questo film non fa sorridere, fa proprio ridere e, al contrario della nuova “commedia all’italiana” alla quale si accennava dianzi, senza bisogno di essere volgare. Può sembrare strano questo apprezzamento da una persona nata e cresciuta in Toscana, però in Toscana, è vero, siamo sboccati come nessun altro, ma non volgari: chiamiamo le cose col loro nome, senza allusioni, ammiccamenti, doppi sensi. Senza contare che si può essere volgari senza dire nemmeno una parolaccia. Benigni è un vero maestro del turpiloquio, ma non è mai volgare perché dice le parolacce come le dice un bambino, senza malizia, solo perché fanno ridere o perché i grandi non vogliono.
A proposito della tradizione del miglior cinema italiano, ci sono anche molte scene morettiane. In attesa del musical sul pasticcere troskista nell’Italia conformista degli anni ’50, promesso in Caro diario, promessa mai mantenuta, possiamo figurarci che, se Moretti finalmente girasse una commedia non sarebbe molto diversa da Figli. Inutile dire che è un gran complimento.
Abbiamo già elogiato gli attori. Forse non era un film difficile da interpretare, ma ho trovato straordinari i due protagonisti, soprattutto Mastandrea che, con la sua recitazione “per sottrazione”, alla fine risulta esilarante. La Cortellesi è brillante come sempre e ne è una partner perfetta. L’unico rimpianto è che Mattia Torre non potrà più scrivere sceneggiature e speriamo che questo non significhi continuare a scambiare per commedia all’italiana o film di dubbia comicità o brutte copie di belle commedie francesi.