(Da Wiki: Zero Day è una qualsiasi vulnerabilità di sicurezza informatica non espressamente nota allo sviluppatore).
La morning routine di George Mullen, ex Presidente USA ormai ritirato nella tenuta di Hudson, pareva procedere regolarmente. Sveglia, con il sole già a lambire le finestre, pilloline Big Pharma, qualche vasca a stile libero, jogging col golden retriever, colazione da campione…
E poi, sì, chiaro, il giornale, rigorosamente cartaceo, con un articolo in prima pagina sulla moglie Sheila (Joan Allen), l’ex First Lady che, dopo l’uscita dalla scena pubblica del marito, punta dritta alla nomina in Corte d’Appello.

L’unica preoccupazione per il personaggio interpretato da Robert De Niro, insomma, è la scrittura delle memorie, il testamento politico per cui la casa editrice di Anna Sindler (Hannah Gross), giovane ma affermata ghostwriter, ha già versato una cospicua somma di anticipo.
Apprezzato sia dai democratici che dai repubblicani (parole impronunciabili nella serie, dato che il gradimento è semplicemente “bipartisan”…), il nostro Presidente emerito, se dovessi azzardare un parallelo, è un Bill Clinton con la popolarità di Ronald Reagan, con, ahimè, delle suggestioni da Joe Biden, data una lucidità mentale a corrente alternata, la cui causa effettiva non sarà chiarita financo all’epilogo.
Zero Day, cyber-attacchi e turbo commissioni

Blackout. Tutto cambia in un minuto. Un massiccio attacco informatico, infatti, per 60 secondi mette fuori gioco ogni apparecchiatura elettronica sul suolo americano. Semafori, metropolitane, passaggi a livello, computer. E ovviamente smartphone, su cui ciascun cittadino a stelle e strisce riceve l’inquietante messaggio “THIS WILL HAPPEN AGAIN”. Bilancio: oltre 3000 morti, nonché il panico generale nella popolazione.
A seguito dell’evento, la Presidente in carica Evelyn Mitchell (Angela Bassett) istituisce la cosiddetta Commissione Zero Day, dotata di poteri da stato di eccezione. Per risalire ai responsabili e risolvere la crisi, appunto, essa è sciolta dai tradizionali vincoli costituzionali, tra cui, in primis, l’habeas corpus, con la possibilità di arresto e detenzione lasciata al completo arbitrio della stessa.
(Viva i diritti, abbasso il totalitarismo, faccinaribelle…).
E per guidare un organo così delicato, quale personalità migliore di un ex Presidente tanto stimato, l’ultimo in grado di raccogliere ampi consensi in entrambi gli schieramenti?
(Vorrei contare le volte in cui è pronunziata la parola “bipartisan”…).
Elemento essenziale del thrilling, poi, ecco dal nulla l’innominabile Conflitto d’Interesse™, con la deputata Alexandra Mullen (Lizzy Caplan) a presiedere il Comitato di Vigilanza della turbo commissione guidata dal padre, la quale, pure, si concede una liaison con Roger Carlson (Jesse Plemons), assistente personale dell’illustre genitore.
Zero Day, distopie contemporanee

Un tema chiave dei 6 episodi della miniserie, tuttavia, è senza dubbio l’attuale spaccatura del tessuto sociale made in USA (e non solo). Da un lato, quindi, l’aggressivo cospirazionismo (lemma scivoloso, ma è per capirci…) di certuni, parte del becero bacino elettorale che ha permesso a Donald Trump di insediarsi alla Casa Bianca, dall’altro coloro che, più che proporre, tentano di imporre asterischi e pronomi, oltre a inveire sui social per smantellare la polizia, con annessi isterismi woke vari e assortiti.
A ciò si contrappongono i famigerati moderati, di sinistra e di destra, di cui il Nostro, figlio di un’epoca non più attuale, sarebbe ideale rappresentante, pur nell’ingrato compito di dirigere una commissione che nega gli stessi principi democratici che vorrebbe tutelare, in nome della sicurezza nazionale.
Senza voler fare spoiler, la Commissione, però, è appena tangenziale a un discorso decisamente più pregnante sul cosiddetto “radicalismo di centro“, moderato sì in astratto, ma che in caso di percepita emergenza può giungere a qualsiasi soluzione pur di “proteggere” lo status quo dalle spinte antisistema (o, in termini maggiormente scettici, dalle forze ritenute tali).
Non scoprirei l’America se sottolineassi la dipendenza delle società moderne dall’apparato informatico tecnologico, rappresentato per l’occasione da Monica Kidder (Gaby Hoffmann), una magnate della Silicon Valley sotto indagine anti-trust, assimilabile ai CEO le cui aziende forniscono prodotti e servizi usati con malcelata soddisfazione da tutti noi (o quasi).
Zero Day, thriller di atmosfera dal cast di grido

Ma politologia da Baci Perugina a parte, com’è sto cavolfiore di Zero Day? È davvero la più grande serie di tutti i tempi, migliore persino di quelle di Bellocchio?
No, ovviamente. Non rispetto a Bellocchio, su cui non mi esprimo, ma, considerato lo standard dei prodotti Netflix, Zero Day è certamente un thriller valido, con un cast importante, che fa buona impressione dietro la cinepresa.
A partire dall’81enne Robert De Niro, ancora in ottima forma, con bracciate in piscina degne di Baywatch, unite all’espressività che lo ha reso un’icona del cinema da oltre mezzo secolo, con tanto di Oscar per Il Padrino – Parte II e Toro Scatenato, nonché di numerose candidature, una su tutte quella per Taxi Driver.
Si percepisce per l’intera durata, inoltre, la tensione di quanto accade a schermo, con sequenze anche dure, alternate da quelle stranianti date dall’annebbiamento psicologico di George.
Un ritmo convincente, incalzante, ma che sa anche prendere respiro, con dialoghi ben scritti, al netto di qualche scelta di sceneggiatura opinabile, in particolar modo nell’episodio finale.
Ma tant’è, non importa. D’altronde si sa. Alla facciazza di Bellocchio, come dicono i latini, fuck the system and rock&roll.