The Reunion, la multirecensione di iCrewPlay

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The Reunion di Anna Odell nelle sale dal 25 ottobre

Vi avevo parlato in un articolo di pochi giorni fa di The reunion dell’artista svedese Anna Odell, film vincitore del premio FIPRESCI all’ultimo Festival di Venezia che noi redattori di Icrewplay abbiamo potuto visionare in anteprima. Prima di presentarvi le nostre opinioni, ecco a voi la trama del film:

Una riunione di ex alunni. Una stanza imbandita pronta a ricevere un gruppo di amici che non si vedono da vent’anni ed entusiasti nel rievocare i bei tempi passati insieme, quasi un decennio passato a condividere gite e lunghe giornate a scuola. Tutti i partecipanti conversano allegramente tra loro, fanno discorsi commemorativi, mentre una ragazza dai grandi occhi azzurri e lunghi capelli scuri resta in disparte silenziosa ad osservare, ma soprattutto ascoltare. Quando, anche aiutata da qualche bicchiere di vino, decide di alzarsi e parlare, il discorso di Anna cambierà il corso della serata. Anna era la ragazzina che veniva bullizzata, esclusa dagli altri durante i lunghi nove anni di scuola, presa di mira per scherzi e pesanti incitamenti al suicidio e quella sera decide di dire quello che non ha mai avuto il coraggio di dire da piccola. E qui il film finisce, ovverosia l’opera messa in atto dall’artista Anna Odell che ha girato questa pellicola per poterla mostrare ai reali ex compagni per metterli di fronte a quelli che erano secondo la sua prospettiva, a quello che le facevano provare quando era vittima delle loro cattiverie, per cercare di trovare una spiegazione da loro di quel comportamento. Non basta la giustificazione “eravamo bambini”, Anna vuole andare oltre, scoprire alla fine se i compagni sono maturati e se riescono a fare i conti con quello che erano. Purtroppo rimarrà assai delusa…

Ecco le recensioni dei redattori di iCrewPlay

Lara

Un film che ho trovato geniale ed eccezionale e, personalmente, adatto ad essere mostrato nelle scuole per insegnare ai giovani bulli, che fanno oggigiorno notizia sui giornali, che alla fine arriverà il conto da pagare con la propria coscienza, e alle volte sarà salato. Durante la visione di The reunion è facile immedesimarsi in Anna e provare per lei un misto di compassione e solidarietà, mentre cerca nei suoi ex compagni delle risposte per il loro comportamento e che loro spesso non vogliono nemmeno dare, o che non riescono neppure a giustificare. Falsità e bugie che si ripetono anche da adulti, rivelando che l’essere umano alla fine è un eterno bambino quasi mai in grado di fare i conti con se stesso, ma nemmeno di affrontare una piccola ma grande donna in cerca di una spiegazione al motivo per cui quella gente l’ha fatta sentire invisibile agli occhi degli altri e persino di se stessa. Prima di approcciarvi a The reunion rammentatevi che quello che state per guardare non è un film, bensì un’opera d’arte nel senso stretto del termine di un’artista coraggiosa e controcorrente, ma anche un’abile indagatrice dell’animo umano. Anna ha costruito la propria idea su se stessa e sulla sua esperienza personale, che in molti forse possiamo condividere.

Sofia

Anna Odell vuole andare in profondità, parlare del vero, dove l’imperativo categorico è divertirsi a tutti i costi, che significa divergere da sè! Il suono ovattato ci riporta ostinatamente  dentro, in tutte le scene in cui risuona, sordo, il dolore di lei. La sua storia è un j’accuse che resta sospeso nella reiterazione dell’indifferenza e della mancata assunzione di responsabilità di chi, ormai adulto, ha ferito ed umiliato per prepotenza o codardia. Molto bella e affatto scontata la struttura narrativa, per quanto avvezzi alla narrazione nella narrazione, questo insospettabile Sliding doors riesce a stupire e a sfuggire ad una definizione unica. Insomma quest’artista svedese, dallo sguardo attento, sgranato, evidentemente teso a cogliere l’al di là della pura apparenza, mette in scena il senso stesso del fare artistico. Elaborare, stare dentro ad un dolore per poterlo guardare da ogni angolazione e poi trasformarlo. Perché la vera rivincita è proprio questa: il dolore diventa occasione creativa! E allora l’autobiografismo sfugge all’autoreferenziale, arricchendo d’intuizioni lo spettatore cui, con generosa apertura, si concede di stare lì dove l’atto creativo riscatta la vittima dalla sua condizione.

Giorgio

Dopo aver visto questo film posso dire di averlo trovato davvero molto originale, mai visto nulla di simile. La tematica del bullismo è qualcosa che si vede spesso, ma l’idea di trattarla da questo punto di vista non è la prima cosa che viene in mente. Forse è proprio per questo motivo che il film nel complesso mi è piaciuto.
Sicuramente ci troviamo di fronte ad una situazione completamente inverosimile che non siamo abituati a vedere, difficilmente potrà capitare in un contesto reale con persone reali.
Scavando più a fondo scopriamo che in realtà il film non si concentra propriamente sul bullismo o di quanto sia presente oggigiorno, ma piuttosto su quanto esso tenda a morire con gli anni, rimanendo insoluto anche nell’età adulta.

Ma perché questo? Nella maggior parte dei casi probabilmente non vi è interesse da ambo le parti. La parte lesa non vuole più avere a che fare con certe persone, mentre i prepotenti la considerano una cosa di poco conto e allo stesso tempo non vogliono porre interrogativi su se stessi. Ogni possibile dubbio viene risolto con “Eravamo bambini, ora siamo diversi”.
Le persone con il tempo cambiano e hanno la possibilità di maturare, ma spesso dimenticano i propri errori del passato che hanno causato gravi danni ad altri. L’idea del rimediare non passa per la testa quando essa non è parte integrante della propria vita, ma solo un ricordo lontano.

Ma ora parliamo di realizzazione, come è riuscita la pellicola dal punto di vista tecnico?
La prima parte sicuramente molto bene, sulle inquadrature e sui dialoghi non si può dire proprio nulla. Alcune delle scene proposte sono molto forti e riescono a colpire lo spettatore nel profondo senza mai cadere nel banale.
Per quanto riguarda il resto forse ho trovato un po’ noioso il momento delle telefonate, in cui avevamo davanti le immagini dei corridoi della scuola. Ma in ogni caso anche queste inquadrature danno un’atmosfera più da documentario e rendono il tutto molto più credibile.
Il finale insoluto è una cosa che ho apprezzato molto, nessuno può sapere come andrà a finire la storia. Ognuno dei suoi compagni ha reagito in modo diverso: chi si è rifiutato di incontrarla, chi ha messo al primo posto la propria figura e chi si è scusato. Probabilmente Anna ha vissuto un infanzia terribile e sono in pochi a capire veramente come sono stati per lei quegli anni. Ma per capirlo e provare a capire occorre sempre un po’ di umiltà, una dote che si vede sempre meno.

Irene

Se iniziassi dicendo che The Reunion è un film sul bullismo, metà di voi smetterebbero di leggere questa recensione. E io sarei tra quelli. Inoltre, sarebbe incredibilmente riduttivo e semplicistico.

Il bullismo è stato affrontato in tutte le salse, solitamente cattive; di esempi potrei farvene a bizzeffe, a partire da Cyberbully per arrivare a Odd girl out. Film che rimpinzano la testa di idee stereotipare e ridicole, con il solo obiettivo di tratteggiare la classica situazione cliché da scuola americana. Possibile che del bullismo si riesca a parlare solo in questi termini? O forse vale il principio che basta che se ne parli, anche se male?

Eppure ce ne sarebbero di modi per parlarne, senza risultare mortalmente noiosi e di infima qualità. Uno l’ha trovato Stephen King, che in quasi tutti i suoi libri, da It Carrie, ci infila un bambino o un gruppo di “losers” (come dice lui) che vengono perseguitati dai bulletti di turno. Un altro modo, invece, l’ha trovato l’artista e regista di questo film, Anna Odell.

The Reunion è un film che lascia spaesati, intontiti, quasi indolenziti, come fossimo tornati da una lunga corsa. Un film che tocca molti nodi scoperti, in tutti noi.

Ricollegandomi a quello che dicevo prima, la cosa che subito si nota è come i protagonisti non siano ragazzini, bensì adulti. Adulti che ricordano il loro passato da studenti. Il che non è la stessa cosa. Anna Odell non ha fatto un film sull’immediato, mostrando la vittima che viene bullizzata e le dinamiche che di conseguenza entrano in gioco. Ha voluto, invece, mostrare il dopo, i venti anni dopo, come sono stati vissuti da lei e come vengono ricordati da tutti gli altri compagni di classe. E il risultato è interessante, nonché inquietante.

La prima parte è un film nel film, quello che potremmo considerare il suo personale esperimento sociale. Anna si presenta a una cena di classe di ex compagni, tra la sorpresa e l’imbarazzo di tutti. Tolto l’impaccio iniziale, la situazione sembra normale; chiacchiere, risate, discorsi da brindisi, ricordi di quei felici anni passati. Ma non è questo ciò che Anna ha provato, che ha vissuto negli anni con quei ritrovati compagni di classe. E tutto quello che sente, che non ha mai potuto dire, finalmente esce fuori. Le reazioni sono tra le più disparate: risolini, occhiate complici e derisorie, imbarazzo, battute sulla sua sanità mentale, “non siamo a una terapia di gruppo, è una festa Anna“, fino alle lacrime. Sono bastate poche parole da parte di Anna per riattivare quei meccanismi che da bravi adulti e da rispettosi cittadini attribuiamo a scherzi da ragazzi, comportamenti da relegare agli anni scolastici, da ricordare o con imbarazzo o con superficialità. Eppure basta così poco per notare come le gerarchie e le dinamiche intragruppo non siano affatto cambiate; vi sono sempre gli stessi leader, vi sono sempre gli stessi losers.  Poi la situazione sfugge di mano, dagli abusi verbali si passa a quelli fisici. E questa è la prima parte, che lascia un senso di vertigine, quasi di orrore. Però, contemporaneamente, tiriamo un sospiro di sollievo. Ci viene detto che è una finzione, un’esagerazione, con una fine quasi distopica.

Ma la seconda parte dà una risposta molto diversa. I pochi compagni di classe che accettano di incontrare Anna Odell e di guardare il suo film sono adulti a tutti gli effetti; nascondono il loro imbarazzo dietro una falsa cortesia, si mostrano condiscendenti e quasi interessati a questo progetto. Ma, di nuovo, basta poco per far crollare questa facciata di rispettabilità e maturità dell’Adulto. Non si arriva alla violenza disumana mostrata nel finale della prima parte, ma siamo poi così sicuri che l’indifferenza, le sottili derisioni, l’ostinarsi a negare un passato, non siano una forma di violenza altrettanto potente? Cosa è cambiato da quegli anni del liceo per Anna e per i compagni? Lei ci risponde: niente. Nessuno riesce ad ammettere i propri sbagli, chi ci prova rimane col dubbio di essere stato in qualche modo provocato. E, soprattutto, nessuno si sente tanto forte da poter chiedere scusa ad Anna Odell.

Un messaggio potente, che forse solo l’unione di cinema e arte può riuscire a dare.

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