The Feud 2 : Capote vs. The Swans, disponibile su Disney Plus, parla di una rivalità che ha fatto epoca nei salotti americani tra anni sessanta e settanta: quella tra il grande scrittore Truman Capote e quel circolo esclusivo di donne di alto borgo della crème di New York, chiamato le Swans. Il pomo della discordia un libro, Answered Prayers, il capolavoro incompiuto del grande scrittore americano, nel quale svelerà, nelle parti che usciranno, il lato più intimo e scandaloso di questa cerchia di donne che ne vedrà chi più chi meno macchiata per sempre la propria reputazione, oltre che a distruggere irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra Capote e le Swans.
The Feud 2: La trama
Il sottile confine tra realtà e finzione è una questione puramente creativa
Il tema della fiducia tradita è uno dei temi dominanti in questo nuovo capitolo della saga ideata e prodotta tra gli altri da Ryan Murphy (Glee, Ahs).
Per sviscerare questo tema tanto spinoso si sceglie lo scrittore perfetto, Truman Capote (un bravissimo Tom Hollander), grande scrittore e autore di successi internazionali come Breakfast at Tiffany’s (Colazione da Tiffany) nel 1958, e In Cold Blood (A sangue freddo) nel 1966, che però come l’Ulisse di Dante non seppe fermarsi alle colonne d’Ercole posizionate alla fine del mondo mondano newyorkese e con la sua terza opera incompiuta, Answered Prayers, e naufragò malamente perdendo la rotta di quel paradiso a cui aveva tanto aspirato arrivare, il salotto delle Swans, ma che per un eccesso di zelo creativo perdette per sempre.
Infatti un tema fondamentale della serie è il seguente: fin dove uno scrittore può spingersi e dove si dovrebbe fermare? Esistono dei limiti che la creatività umana non dovrebbe valicare? In linea di massima, la risposta sarebbe certamente no, ma quando si affronta il tema di un salotto raffinato di nobildonne in cui l’apparenza è l’unica cosa che conta, la questione ridiventa complessa e spinosa.
La realtà vera e propria infatti, in tutti gli 8 episodi di cui è composta la serie, si mischia al passato, in cui c’è anche un cambiamento visivo a testimoniarlo, visto che si passa anche nello stesso episodio dal bianco e nero al colore, tra passato e presente, tra finzione e realtà, tutto si intersica costantemente in questa serie.
Non dimentichiamoci che Truman Capote essendo comunque uno scrittore è una mente creativa, quindi lui spesso ci imbocca con narrazioni particolari di alcune vicende che in realtà sono avvenute soltanto nella sua immaginazione, una visione perciò personale e superficiale dell’evento, e che senza la mediazione di un evento raccontato da entrambe le parti, ci riporta alla fine dei conti una sola verità distorta e fallace dataci dal pregiudizio che ha lo scrittore sulla vicenda.
Il caso di Ann Woodward (una Demi Moore decisamente brava in questo piccolo, ma decisivo ruolo) è emblematico da questo punto di vista. Una delle prime rivelazioni scottanti di Capote sulla rivista maschile The Esquire nel 1975, tratterà proprio del caso della Woodward, in cui Truman Capote si sentirà di dare la sua non richiesta e romanzesca opinione tra finzione e realtà.
Ann infatti ha ucciso il marito, e questo evidentemente provoca un dolore di non poco conto per la vedova, ma non si tratterebbe però di un efferato e volontario omicidio ma di un terribile incidente. La Woodward infatti ha sparato si al marito, ma solo perché malauguratamente lo ha scambiato per un ladro introdotto durante la notte nella loro lussuosa casa.
La Woodward quando compare in scena la vediamo costantemente fragile e sconnessa, cerca di sopravvivere al senso di colpa per l’accaduto, ma tutti oramai la evitano, perché volontariamente o no, ha macchiato per sempre la sua fedina mondana. Mentre gli altri la trattano solo con malcelato disprezzo, Capote cinicamente non perde l’occasione per affrontarla e umiliarla andando spesso oltre con parole estremamente velenose. Perché realtà e finzione spesso sono armi pericolose da maneggiare, specialmente se finiscono nelle mani di uno scrittore di eccezionale talento come Truman Capote.
Babe, Truman e Jack: una tenera storia d’amore e tradimenti
Altra questione decisamente interessante di tutta la serie è il delicato tema dell’amore vero visto da diverse prospettive.
Profondo e fedele sarà, almeno dal punto di vista spirituale, l’amore tra Capote e il collega scrittore e compagno di vita tra alti e bassi, Jack Dunphy (un profondo ed efficace Joe Mantello) l’unico, a parte alcune eccezioni, che proverà a suo modo a sostenerlo per tutta la vita e ad aiutarlo nelle difficoltà.
Sotterranea è però un’altra storia d’amore: quella tra Barbara “Babe” Paley (una bravissima Naomi Watts) e lo stesso Capote, che ovviamente non potrà mai trovare uno sfogo romantico pratico, essendo lei una donna sposata con il miliardario William S. Paley (interpretato molto bene dal compianto Treat Williams, scomparso poco dopo le riprese e a cui è stato dedicato il quinto episodio della serie), ma soprattutto lui, il grande scrittore americano, un acclarato e convinto omosessuale.
Ci sono tratti nella loro relazione però di estrema tenerezza, mai macchiata in apparenza da doppi fini, è infatti nel tradimento delle rivelazioni di Capote ad Esquire nel 1975, sarà proprio lei a rimanerne più ferita di tutti, anche perché tra di loro sembrava esistere realmente un rapporto d’amore platonico molto profondo; meravigliosi alcuni riferimenti che la regia ci offre e che ci fanno pensare su come Truman Capote abbia trovato in lei la sua Holly Golightly, indimenticabile protagonista del suo Colazione da Tiffany, e divinamente interpretata da Audrey Hepburn nel leggendario e omonimo film del 1961 di Blake Edwards.
Un legame unico quello che si svilupperà però ben oltre il tradimento, anche perché la malattia di Barbara Paley, farà si di rivalutare lei stessa in primis, ma anche implicitamente noi, sulle cose che contano davvero e su quanto il rancore possa essere spesso più deleterio che altro, e come forse proprio il bizzarro e chiacchierone Truman, sia stato forse l’amore più importante della sua vita, e che come tutti gli amori impossibili, citando Ozpetek, non siano mai destinati a finire.
Una complicata figura materna
Altra interpretazione notevole e figura decisamente ben inserita all’interno della serie, è la madre di Truman Capote, Lillie Mae Faulk (una sontuosa Jessica Lange) che funge all’interno delle otto puntate una sorta di ponte tra la vita e la morte, tra finzione e realtà, perché solo a lei il devoto figlio Truman rivelerà le proprie intenzioni, impossibili da raccontare a persone vive, ma a lei si, essendo un tramite solamente suo a cui poter rivelare senza paura praticamente tutto.
Una figura quella della madre, anche attraverso l’uso sapiente dei flashback, che sembra essere l’origine di tutti i mali di Truman; una ragazza madre dalla vita promiscua e poco attenta all’esigenze del figlio, che in altre condizioni avrebbe voluto magari entrare in un circolo simile come quello delle Swans, ma visto il suo status popolare e di ragazza madre, non avrebbe mai potuto aspirarci.
L’adorazione di questo figlio verso la madre è totale, e lo porta spesso ad immaginarsi un discorso onirico con lei e da un certo punto con quelle dichiarazioni ad Esquire, vendicarne l’esclusione da quel mondo tanto snob, a cui è lui stesso è riuscito ad arrivare, ma che allo stesso tempo condanna, ma di cui fatualmente ne rimane attratto e per sempre legato.
Le Swans, un club esclusivo con diverse personalità
Per finire, ma non per ultimo, è impossibile non dire qualcosa sul resto del perfetto cast di cui fanno parte il circolo delle Swans, anche perché ognuno degli elementi al suo interno sembra avere una propria funzione narrativa, come se Ryan Murphy e i suoi collaboratori avessero voluto creare un puzzle su vizi e virtù personali di donne, viste però all’interno di una dinamica di gruppo.
Abbiamo Lee Radziwill (Calista Flockhart) che si può dire sia l’elemento del gruppo simbolo del disprezzo fatto di gesti, di sguardi e al massimo di qualche freddura verso coloro che ne mettono in dubbio lo status; Nancy “Slim” Keith (Diane Lane) invece è l’elemento vendicativo del gruppo, colei che non perdona e aizza la fiamma dell’odio quando c’è da infierire; CZ. Guest (Chloë Sevigny) è invece la mediatrice del gruppo, e cerca sempre una soluzione che vada bene per tutti e non offenda nessuno, e a capo di tutto, Babe Paley, il collante del gruppo tra sofferenza e responsabilità di quella che è divenuta con Capote, una spiacevolissima situazione da gestire.
Abbiamo poi più defilati elementi come Joanne Carson (Molly Ringwald) che è l’elemento misericordioso del gruppo, e forse anche per questo il meno coinvolto nelle attività delle Swans, e la già citata Ann Woodward che invece vorrebbe entrarci in quel circolo esclusivo, ma che l’omicidio del marito, le malelingue, la depressione e la pazzia dopo il drammatico evento, di fatto la esclude senza pietà da quel circolo di donne così apparentemente perfette e immuni dal peccato.
The Feud 2: La regia, tra flashback, dettagli e colonne sonore di grande impatto emotivo
La regia raggiunge, in alcuni episodi, momenti di gran livello, in particolare negli episodi girati da un maestro del cinema come Gus Van Sant (Milk, Belli e Dannati e Will Hunting).
C’è un uso a dir poco maniacale da una parte dei dettagli immediati e ben visibili, come passaggi nel giro di qualche secondo di elementi apparentemente diversi e distanti tra loro, come il liquido blu della chemioterapia di Babe a quello della penna di Truman Capote che scrive, parallelismo geniale per farci comprendere implicitamente, come le due cose siano in realtà strettamente legate alla sofferenza che sia le parole scritte, come la chemioterapia, abbiano provocato sulla fragile signora Paley.
Ma ci sono dettagli decisamente meno evidenti, fuori campo e che solo chi conosce un po’ il contesto al di fuori della serie può comprendere, su tutti i i riferimenti a Colazione da Tiffany: dal gioiello di Audrey Hepburn, al ballo con sotto una Moon River adattata ad un ballo leggero togliendo così in parte il romanticismo della scena originale, oppure la già ricordata scena di Babe Pailey che si sporge verso la vetrina, antico e dolce ricordo della Holly del film che compie il medesimo gesto.
Straordinario anche l’uso della telecamera nel film, perché risulta esserci un film dentro il film. Truman Capote infatti insieme ad un suo assistente, a molte feste portano una loro cinepresa che servirebbe per i loro scopi documentaristici, ma che ci aiuta a capire a noi come la telecamera, negli elementi mondani, venga ben accettata dalle Swans per dare una certa immagine di se, ma quando si verificano elementi poco gratificanti nella loro sfera privata, desiderino spegnerla, cacciarla a parole o con gesti violenti.
A tutto questo si aggiunge il finto buonismo di Capote, che da una parte risulta essere affabile e comprensivo, ma d’altra parte, con il suo fedele scudiero, furbescamente continua il suo segreto lavoro di smascheramento di quel mondo finto che sarebbe poi dovuto finire nel monumentale e proustiano Answered Prayers.
Altro elemento registico interessante è il passaggio dal colore al bianco nero, tra presente e passato e le splendide colonne sonore in sottofondo da It’s Impossible a Moon River, da Perfect Day alla musica spagnola da ballo popolare, tutte canzoni e accompagnamenti musicali legati sapientemente alla funzione narrativa del racconto.
Conclusioni
Una serie certamente ben girata e fatta apposta per coloro che vogliono approfondire la conoscenza della New York degli anni cinquanta-ottanta, e vogliano conoscere la contraddittoria figura di Truman Capote, l’uomo dietro il letterato di successo, interpretato da un ottimo Tom Hollander che, ricalcando la grande interpretazione di Capote del compianto Philip Seymour Hoffman in A sangue freddo del 2005, riesce a coglierne molto bene sia l’anima un po’ frivola del personaggio, ma anche quella assai fragile e malinconica del grande scrittore americano.
Ottimo anche il resto del cast, con soprattuto le interpretazioni di Naomi Watts, Jessica Lange e Diane Lane da sottolineare per bravura e perfetta aderenza al ruolo da loro interpretato.
Unica pecca che potremmo imputare ad alcuni episodi di questa serie, e che sono stati inseriti dei personaggi, forse troppo poco sfruttati, come per esempio la giovane figlia di una degli amanti di Truman, Kate Harrington (Ella Beatty), la quale poteva avere un ruolo più importante dell’intreccio narrativo, approfondendo magari il rapporto con quello che è stato il suo maestro per diversi anni, altri personaggi inseriti in corso d’opera invece, si sono rilevati poi al contrario sopravvalutati nella loro funzione narrativa.
A parte questo, si può dire che sia una serie certamente da vedere, per capire come spesso il confine tra una confidenza e la creatività possa non collimare in maniera positiva, soprattutto quando se ne abusa in maniera impropria, e che anzi possa distruggere in realtà tutto ciò che ha intorno, che siano verità nascoste o lampanti, certe cose se si vuole vivere ad un certo standard in alcuni casi è meglio seppelirle sotto un tappeto e andare avanti, come Woody Allen insegna, Capote e le Swans, ognuno dal proprio fronte questa dura lezione la impareranno duramente sulla loro pelle.