Il colore viola (The Color Purple)
Regia: Steven Spielberg; soggetto: dal romanzo omonimo di Alice Walker; sceneggiatura: Menno Meyjes; fotografia (colore): Allen Davlau; scenografia: J. Michael Riva, Bo Welch, Linda DeScenna; costumi: Aggie Guerard Rodgers; trucco: Ken Chase; effetti speciali: Matt Sweeney; colonna sonora: Quincy Jones; montaggio: Michael Kahn; interpreti: Whoopi Goldberg (Celie Harris), Danny Glover (Albert Johnson), Margaret Avery (Shug Avery), Oprah Winfrey (Sofia), Willard E. Pugh (Harpo), Akosua Busia (Nettie Harris), Desreta Jackson (Celie da giovane) Adolph Caesar (vecchio Mr. Johnson), Rae Dawn Chong (Squeak), Dana Ivey (Miss Millie), Philip Strong (sindaco), Leonard Jackson (Alphonso ‘Pa’ Harris), Bennet Guillory (Grady), James Tillis (Henry ‘Buster’ Broadnax), Laurence Fishburne (Swain), Lelo Masamba (Olivia Johnson), Howard Starr (Harpo da bambino); produzione: Steven Spielberg, Kathleen Kennedy, Quincy Jones e Frank Marshall per Warner Bros; origine: USA – 1985; durata: 154′.
Trama
Georgia, 1909. La quattordicenne Celie (Goldberg) viene violentata dal patrigno e resta incinta di due gemelli, che le vengono strappati appena nati e dati in adozione. In seguito il padre la costringe a sposare Albert Johnson (Glover), vedovo con quattro figli e uomo violento che la picchia e la umilia. Intanto la sorella minore di Celie, Nettie, crescendo inizia ad attirare le attenzioni indesiderate del padre e, per salvarsi, scappa e viene accolta in casa da Celie. Quest’ultima però è succube del marito e non riesce a proteggere Nettie, che rischia di essere stuprata dal cognato. Reagisce e viene scacciata, quindi decide di partire e promette a Celie che le scriverà.
Passano sette anni e Celie, ormai adulta, non riesce ad avere notizia della sorella perchè il marito le nasconde le sue lettere. Nel frattempo Harpo, il figlio maggiore di Albert, sposa contro il parere del padre la fiera Sofia, una donna dal carattere forte. Dominato dalla moglie, Harpo chiede consiglio al padre che gli dice di picchiarla ma egli non vorrebbe, quindi si rivolge a Celie che, avendo sempre subito violenze e non conoscendo altro comportamento, concorda con Albert. Sofia, aggredita dal marito, gli fa un occhio nero. Nonostante le liti la famiglia di Harpo si allarga in fretta e i due hanno quattro figli.
Un giorno la moglie del sindaco ingiunge sgarbatamente a Sofia di diventare la sua cameriera. La donna rifiuta sprezzante finchè è il sindaco stesso a intervenire per insegnare l’educazione a quella screanzata, che gli tira un pugno. Per l’aggressione la donna viene condannata a otto anni di carcere, dal quale uscirà annientata e zoppa, finendo per accettare di lavorare come cameriera nella casa del sindaco.
Albert arriva a portare in casa la sua amante, una cantante di colore di nome Shug Avery, che però diventa amica di Celie. Harpo mette su un modesto locale in cui talvolta si esibisce cantando i suoi “spiritual”, la bella Shug. Celia e Shug trovano un giorno le lettere della sorella e scoprono che Nettie si è fatta missionaria e vive in Africa del Sud presso la famiglia del pastore che, a suo tempo, aveva adottato i figli di Celie. La donna finalmente intravede un mondo nuovo, nel quale poter ritrovare la propria dignità e accetta la proposta di Shug di partire con lei per Memphis, nonostante le proteste di Albert, che viene maledetto dalla moglie, finalmente liberatasi dal suo giogo.
Davanti alla ribellione di Celie anche Sofia ritrova il suo antico spirito e, approfittando del fatto che la nuova amante di Harpo ha deciso di partire anche lei per il Tennessee, riprende le redini della famiglia e torna con Harpo.
Rientrata in Georgia nel 1937 per la morte del patrigno, Celie scopre di aver ereditato dal suo vero padre la casa dove abitava, il terreno circostante e una sartoria. Diventata proprietaria, finalmente può essere indipendente, mentre Shug, che ha accompagnato Celie, si riconcilia con il padre, il pastore locale, che da giovane l’aveva scacciata ritenendola una libertina, cantando insieme coi fedeli un inno religioso.
Albert è rimasto solo e, col tempo, si è pentito di come ha trattato Celie. Trova il modo di redimersi quando nella posta trova una lettera dell’immigrazione che richiede il rientro in Georgia di Nettie e dei due figli di Celie, Adam e Olivia. Impiega segretamente il suo denaro per pagare loro il viaggio e finalmente Celie può ricongiungersi con la sorella e rivedere i suoi figli.
Il colore della disfatta
Steven Spielberg finalmente decide di cimentarsi con un film drammatico e, per farlo, sceglie il romanzo della vincitrice del Premio Pulitzer Alice Walker, parzialmente autobiografico e intitolato Il colore viola. Il film ottiene una buona accoglienza e, a fronte di un budget di 15 milioni di dollari, nelle prime settimane di programmazione supera i cinquanta milioni di incasso, finendo per sfiorare il muro dei cento milioni.
Il cast ‘All Black’ capeggiato dalla straordinaria Whoopi Goldberg – vincitrice del Golden Globe come miglior attrice drammatica – e l’appoggio produttivo di Quincy Jones, che accetta anche di arrangiare le musiche della pellicola, fanno ben sperare. Nonostante le recensioni positive però le associazioni e gli attivisti afro-americani si defilano, perchè i personaggi maschili hanno tratti negativi: la NAACP afferma che gli uomini di colore sono dipinti come esseri brutali e sadici (salvo protestare, dando prova di rara coerenza, perchè nessuno degli interpreti è stato premiato agli Oscar) e lo scrittore Ishmael Reed accusa il regista di razzismo, paragonando il suo modo di vedere i neri a quello in cui i nazisti vedevano gli ebrei (!) Un insulto ancora più velenoso in quanto la famiglia di Spielberg è ebrea.
Ai Golden Globe Il colore viola ottiene cinque nomination (film drammatico, regia, sceneggiatura, attrice protagonista, attrice non protagonista per la futura signora della TV Oprah Winfrey e per la colonna sonora di Quincy Jones) mandando all’incasso quella per Whoopi Goldberg, ma lo scandalo scoppia quando vengono annunciate le candidature agli Oscar. Il film ne conquista ben undici, ma Spielberg è escluso dalla cinquina dei registi. I colleghi Peter Bogdanovich e Brian De Palma insorgono in sua difesa. In particolare De Palma spara a zero sugli iscritti all’Academy che hanno deciso l’esclusione, sostenendo: “Quei signori sono rosi dall’invidia nei confronti di un genio che, a soli trentotto anni, è il padrone del cinema”.
A parlare d’invidia il sospetto è più che legittimo. Nel 1985 Spielberg ha prodotto il campione d’incassi dell’annata, Ritorno al futuro e ha ceduto a Richard Donner il soggetto di un film di culto come I goonies, anch’esso prodotto dalla Amblin, casa di produzione di sua proprietà, con la quale ha finanziato anche il riuscito Piramide di paura, diretto da Barry Levinson, con protagonista un giovane Sherlock Holmes che ricorda da vicino Indiana Jones. In sintesi tutto ciò che Spielberg tocca si trasforma in oro. Dalle voci raccolte in giro pare che all’Academy abbiano pensato:“Stia a casa a contare i soldi e lasci il vero cinema e i premi ad altri”.
Il racconto del redattore
Se conosci la nostra rubrica sulla storia dei premi Oscar e hai letto l’articolo su La mia Africa sai già come è andata. IL 26 marzo 1986, giorno in cui il presidente Reagan ordina il bombardamento della Libia, il film di Sydney Pollack vince sette Oscar. Parte con lo stesso numero di nomination de Il colore viola che non vince niente ed eguaglia il record negativo di Due vite, una svolta. Altro record poco invidiabile eguagliato dal film è la mancanza di Spielberg tra i nominati alla regia: solo Sam Wood nel 1943 mancò la nomination pur ottenendo undici candidature per L’idolo delle folle. Il regista si consola col premio del sindacato registi, ma dovrà aspettare Schindler’s List per prendersi la sua rivincita.
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