L’ultimo spettacolo è infine arrivato anche per Peter Bogdanovich, critico prima ancora che regista di straordinaria sensibilità che all’inizio degli anni ’70 fu uno di coloro che aprirono la strada alla New Hollywood; un movimento artistico e cinematografico questo, capace di salvare dal declino il cinema americano, grazie ad una nuova generazione di registi e autori finalmente capaci di comprendere il pubblico e guardare negli occhi la modernità.
Cinefilo e scrittore, arriva dietro la macchina da presa al momento giusto, dopo essersi occupato per anni di film in veste di studioso e giornalista, ruoli che non abbandonerà mai e che lo portarono a scrivere molti articoli, monografie e un capolavoro: quella lunga conversazione con Orson Welles, a metà tra biografia e saggio critico, che ancora oggi incanta ogni appassionato di cinema. Un rapporto che andava al di là della semplice stima, se è vero che gli fu affidato, su mandato della compagna del maestro Oja Kodar e secondo i desideri del defunto, l’ultimo film incompiuto del geniale demiurgo di Quarto Potere: The other side of the wind (1972-2017 in basso il trailer), completato e distribuito da Peter Bogdanovich su scala mondiale grazie a Netflix, dopo essere stato presentato alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia.
Quest’ultimo è un vero e proprio testamento di Welles, nel quale Bogdanovich appare anche come attore: quasi una carriera parallela quest’ultima che non gli è mai dispiaciuto interpretare con ironia e classe, anche in serie tv di grande successo: come dimenticare infatti le sue apparizioni, spesso nel ruolo di se stesso, in The Good Wife o in How I met your mother (foto accanto) e in ben quindici episodi de I Soprano.
Non bisogna però dimenticare il suo contributo da regista: lanciato alla fine degli anni ’60 dal leggendario regista, produttore e talent-scout Roger Corman (scopritore tra gli altri dei primi lavori di talenti come Scorsese, Coppola, George Lucas, fino a Ron Howard) il suo primo film Bersagli è un thriller aspro e polemico, girato nello stile un po’ folle di tanti film del periodo. Da grande appassionato della Hollywood classica e ammiratore di John Ford, cui dedicherà anche un riuscito documentario, il giovane Peter Bogdanovich ne ripropone lo stile e alcune tematiche nei suoi lavori successivi, quelli più noti ancora oggi, premiati dal pubblico come dalla critica.
Parliamo de L’ultimo spettacolo (1971, 8 nomination e due Oscar), poetico dramma in bianco e nero, ambientato negli anni ’50 alla vigilia della guerra di Corea, che segnerà la fine della giovinezza dei protagonisti proprio come negli anni ’70 la guerra in Vietnam avrebbe distrutto l’innocenza di un’altra generazione di giovani americani. Senza dimenticare l’esilarante commedia Ma papà ti manda sola? (1972) e il commovente Paper Moon – La Luna di carta nel quale l’imbroglione Ryan O’Neal duetta con Tatum O’Neal (sua figlia di 10 anni nella realtà) premiata con l’Oscar (guarda il trailer qui sotto) .
Dopo la trasposizione del romanzo di Henry James Daisy Miller (1974) e l’omaggio al cinema muto di Vecchia America (1976) Peter Bogdanovich si dedicò soprattutto ai documentari, senza resistere alla tentazione di tornare nei luoghi de L’ultimo spettacolo con Texasville (1990), riproponendo quasi lo stesso cast – Jeff Bridges compreso – del suo primo successo a 30 anni di distanza: fuori tempo massimo.
I suoi ultimi film (Quella cosa chiamata amore e i più recenti Hollywood confidential e Tutto può accadere a Broadway) rappresentano la sua idea nostalgica e crepuscolare di cinema, uno sguardo pieno d’amore alla Settima Arte, della quale resta uno dei massimi cultori.
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