Emilio Zola (The Life of Emilé Zola)
Regia: William Dieterle; soggetto: Matthew Josephson, Heinz Herald, Geza Herczeg; sceneggiatura: Norman Reilly Raine, Heinz Herald, Geza Herczeg; direttore dei dialoghi: Irving Rapper; fotografia (B/N): Tony Gaudio; scenografia: Anton Grot e Albert C. Wilson; costumi: Milo Anderson, Ali Hubert; colonna sonora: Max Steiner; montaggio: Warren Low; interpreti principali: Paul Muni (Emilé Zola), Gale Sondergaard (Lucie Dreyfus), Joseph Schildkraut (capitano Alfred Dreyfus), Gloria Holden (Alexandrine Zola), Donald Crisp (Maitre Labori), Erin O’Brien-Moore (Nana), John Litel (Charpentier), Henry O’Neill (colonnello Picquart), Morris Carnovsky (Anatole France), Louis Calhern (maggiore Dort); produzione: Hal B. Wallis e Jack Warner per Warner Bros; origine: USA – 1937; durata: 116′.
Trama
Parigi, seconda metà del 1800. Emilé Zola (Muni) è uno scrittore di belle speranze, i cui scritti però non trovano il favore delle autorità, che li giudicano pericolosi a causa degli argomenti trattati. Egli condivide una mansarda con l’amico pittore Paul Cézanne, vorrebbe sposarsi ma la mancanza di denaro lo affligge. I due amici un giorno salvano da una retata della gendarmeria una giovane prostituta: dal racconto della sua triste storia Zola trae ispirazione per il suo primo romanzo, Nana che riscuote un immediato successo.
Da quel momento la sua vita cambia, diventa un autore acclamato e prolifico, protagonista dei salotti della buona società, sempre avida di storie scabrose. Le sue frequentazioni spiacciono all’amico pittore, il quale ritiene che la ricchezza e il successo possano nuocere alla sensibilità dell’amico, che si è sempre distinto per lo spietato realismo e la salace critica sociale dei suoi scritti. A Zola viene anche richiesto di unirsi alla prestigiosa Académie de France.
A questo punto irrompe nella sua vita la signora Dreyfus (Sondergaard), che gli chiede di salvare il marito, militare di carriera condannato ingiustamente all’esilio per spionaggio. La sua innocenza era successivamente emersa, ma i vertici militari avevano deciso di insabbiare la questione. Restio a votarsi ad una causa che potrebbe compromettere la sua adesione all’Académie e il prestigio così faticosamente raggiunto, lo scrittore si fa convincere dalla documentazione riservata consegnata dalla moglie del capitano e soprattutto dal rimprovero sul suo imborghesimento dal suo amico pittore. Pubblica in prima pagina sul quotidiano L’Aurore un perentorio e appassionato atto d’accusa (J’accuse) contro le istituzioni militari, in forma di lettera al Presidente della Repubblica.
Lo Stato maggiore dell’esercito risponde con una campagna diffamatoria contro Zola, le cui opere vengono persino bruciate sulla pubblica piazza. Zola viene chiamato a rispondere delle proprie accuse e, nonostante l’appassionata difesa dell’avvocato Labori, lo scrittore viene condannato ad un anno di prigionia e scappa a Londra, città dalla quale continua a battersi per la verità. Finalmente col cambio della guardia al Ministero della guerra i frutti della sua lotta maturano: il nuovo ministro avvia un’attenta indagine nella quale emerge l’innocenza di Dreyfus, il cui nome viene riabilitato e richiamato dall’esilio. Proprio il giorno prima della cerimonia di riabilitazione del capitano, Emilé Zola muore per avvelenamento da monossido di carbonio, a causa delle esalazioni di una stufa che teneva in casa. Egli viene celebrato dagli amici, nel corso del funerale, come esempio di rettitudine.
L’affaire Dreyfus e il cinema
Il caso Dreyfus al centro della vicenda è stato spesso affrontato al cinema ed è ancora vivo nella memoria di storici e studenti, che lo considerano a tutt’oggi un esempio da manuale di persecuzione politica. Roman Polanski nel recente L’ufficiale e la spia ha potuto confrontarsi col caso e con tutte le sue motivazioni, analizzate in modo molto più profondo. Il film di Dieterle fu proibito dalla censura fascista a causa delle sue idee libertarie e proiettato in Italia solo nel 1946 alla Mostra del Cinema di Venezia. Esso risente della volontà della produzione di glissare quasi completamente sul problema dell’antisemitismo che invece fu una componente importante del complotto ordito dai vertici militari contro il capitano. In tutto il film la parola ‘ebreo’ non viene mai pronunciata, anche se in un breve fotogramma della versione integrale di 116 minuti la si può leggere su uno dei dossier (merito forse del direttore dei dialoghi e futuro regista Irving Rapper, la cui famiglia era di origine ebraica: il suo apporto nella direzione degli attori fu fondamentale perchè Dieterle parlava un inglese rudimentale), accanto al nome del capitano ingiustamente accusato, interpretato con grande dignità da Joseph Schildkraut, cui tiene testa nel ruolo di Emilé Zola un Paul Muni in stato di grazia. Agli Oscar 1938 Emilio Zola, prodotto dalla Warner Bros, si presenta con dieci candidature e buone possibilità di vittoria.
Il racconto del redattore
I rivali di Emilio Zola al Biltmore Hotel di Los Angeles dove si tiene la premiazione degli Oscar sono molti e certamente validi. Si parte con un classico della commedia brillante del calibro de L’orribile verità di Leo McCarey, con la coppia Cary Grant– Irene Dunne che tenta invano di divorziare: il film strappa l’Oscar per la regia raffinata e briosa dell’americano McCarey, nato a Los Angeles e una volta tanto profeta in patria. Non manca il musical, grazie alla prima versione di È nata una stella (A Star Is Born), di William A. Wellman, che vince solo il premio al miglior soggetto originale, ma entrerà nell’immaginario collettivo e verrà portato sul grande schermo altre tre volte, l’ultima delle quali da Bradley Cooper con la cantante Lady Gaga nel ruolo che fu di Janet Gaynor.
Altri concorrenti accreditati sono l’ispirato Capitani Coraggiosi, che regala a Spencer Tracy il primo Oscar come miglior attore protagonista, lo spettacolare L’incendio di Chicago (due trofei per l’attrice non protagonista Alice Brady e per l’aiuto regista Robert D. Webb) e il costoso La buona terra, estremo sforzo produttivo di Irving G. Thalberg, il quale morirà d’infarto prima di portarlo a termine; il film è dedicato alla sua memoria e conquista il riconoscimento all’attrice protagonista Luise Rainer (che batte Greta Garbo, superba in Margherita Gaultier) e alla fotografia di Karl Freund. Alla fine della serata Emilio Zola è il trionfatore: vince più di tutti e oltre all’Oscar per il miglior film porta a casa anche i premi all’attore non portagonista Joseph Schildkraut (un eccellente capitano Dreyfus) e alla sceneggiatura.