Il caso Spotlight (Spotlight)
Regia: Tom McCarthy; soggetto: articoli ed inchiesta del The Boston Globe; sceneggiatura: Tom McCarthy & Josh Singer; fotografia: Masanobu Takayanagi; scenografia: Stephen H. Carter; costumi: Wendy Chuck; trucco: Teresa Young; colonna sonora: Howard Shore; montaggio: Tom McArdle; interpreti: Michael Keaton (Walter ‘Robby’ Robinson), Mark Ruffalo (Michael Rezendes), Rachel McAdams (Sacha Pfeiffer), Liev Schreiber (Marty Baron), John Slattery (Ben Bradlee Jr.), Stanley Tucci (Mitchell Garabedian), Brian d’Arcy James (Matt Carroll), Jamey Sheridan (Jim Sullivan), Billy Crudup (Eric MacLeish), Paul Guilfoyle (Peter Conley), Len Cariou (cardinale Bernard Francis Law); produzione: Michael Sugar, Steve Golin, Nicole Rocklin, e Blye Pagon Faust per Anonymous Content, Participant Media, Rocklin / Faust; origine: USA – 2015; durata: 129′.
Trama
Boston, 2001. Al Boston Globe l’équipe di giornalisti investigativi chiamata Spotlight, perché deputata a far luce sui casi difficili, si è un po’ adagiata nella routine quotidiana quando da Miami arriva un nuovo direttore editoriale, Marty Baron (Schreiber), deciso a indagare su un caso di pedofilia per rilanciare le vendite del quotidiano. Un prete cattolico, padre John Geoghan, ha abusato di un gran numero di ragazzini della parrocchia e l’autorevolissimo cardinale e arcivescovo di Boston Law, pur se al corrente, ha messo il silenziatore alla cosa. La squadra di Spotlight, composta da Walter “Robby” Robinson (Keaton), Mike Rezendes (Ruffalo) e Sacha Pfeiffer (McAdams) si mette al lavoro, trova testimoni tra le vittime degli abusi, raccoglie dati e documenti; mentre, intorno a loro, crescono l’omertà e l’ostilità di una Boston che vorrebbe tenere ben inchiodato il coperchio sui propri sepolcri imbiancati. A forza di ostinazione, Rezendes convince a collaborare Mitchell Garabedian, l’avvocato delle parti lese. Quello che sembrava un singolo caso si allarga a macchia d’olio: vi risultano coinvolti prima tredici sacerdoti, poi un’ottantina. Fino a una terribile evidenza: la pratica degli abusi sessuali su minori è sistematica e negli anni è stata accuratamente celata dalla Chiesa Cattolica, nella persona del cardinale Law. Malgrado tutti gli ostacoli, inclusa la tragedia dell’11 settembre che mette temporaneamente in pausa il caso, il Boston Globe pubblicherà il primo di una serie di articoli epocali, sconvolgendo l’opinione pubblica e dando voce ai tanti bambini abusati, ridotti al silenzio dalla colpevole ignoranza delle autorità e dei media, controllati dall’influente arcivescovo di Boston.
Un’inchiesta clamorosa
Partendo dall’inchiesta che ha portato alla luce i numerosi casi di abusi su minori da parte di preti, vincitrice del meritato Premio Pulitzer, la sceneggiatura scritta dal regista in collaborazione con Josh Singer scava nella ferita ancora aperta della pedofilia all’interno della Chiesa, un tema scabroso e particolarmente sentito nella città di Boston, dove la comunità Cattolica è molto numerosa. Il film funziona alla perfezione, sorretto da un cast ispiratissimo, nel quale spiccano il ritrovato Michael Keaton (che conferma la resurrezione artistica di Birdman) e gli incisivi Mark Ruffalo e Rachel McAdams (candidati all’Oscar come migliori attori non protagonisti): il responso del pubblico è sufficiente – gli incassi negli USA ammontano a 34,7 milioni di dollari – quello della critica caloroso. L’appuntamento coi Golden Globe fallisce, ma la tematica delicata, trattata con efficacia drammatica e il realismo nella descrizione del lavoro del giornalista investigativo sempre in cerca di fatti da confermare, bussando alle porte delle vittime, esaminando ponderosi dossier negli archivi e nelle biblioteche risultano convincenti. Alla Notte delle Stelle, Il caso Spotlight arriva con sole sei nomination, presentandosi come outsider rispetto ad altri titoli molto più quotati: vediamo quali.
Il racconto del redattore
La sera del 28 febbraio 2016, al solito Dolby Theatre di Los Angeles, il presentatore Chris Rock ha buon gioco nell’ironizzare. Colpisce la totale assenza di interpreti di colore tra i candidati che non è certo sfuggita all’opinione pubblica:tentano di spegnere le polemiche il discorso della presidentessa dell ‘Academy Cheril Boone Isacs a favore dell’inclusione razziale e persino del vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, che stigmatizza gli abusi sui minori e ringrazia Papa Francesco per il suo impegno contro questa piaga. La politica è dunque in primo piano ma gli spunti di discussione non mancano. Confermando le previsioni della vigilia Leonardo Di Caprio conquista il suo primo Oscar (e lo accetta perorando la causa ecologista a lui tanto cara, vedi il filmato in alto) con The Revenant di Alejandro González Iñárritu, miglior regista per il secondo anno consecutivo (!). Il film vince anche anche per la splendida fotografia di Emmanuel Lubezki. Ben 6 statuette costituiscono il cospicuo bottino della dispendiosa e spettacolare co-produzione del quarto episodio della saga australiana che negli anni ’80 ha lanciato come attore Mel Gibson: Mad Max: Fury Road mantiene come regista George Miller e sostituisce Gibson con Tom Hardy (che quest’anno è anche antagonista di DiCaprio in The Revenant): il risultato è un film adrenalinico e spettacolare che esalta pubblico e critica. L’Academy ne premia soprattutto la confezione con i riconoscimenti al montaggio, al suono, al montaggio sonoro, alla scenografia, ai costumi e al trucco. il geniale Inside Out della Disney-Pixar vince a mani basse come miglior film d’animazione, mentre Il figlio di Saul è premiato come miglior film in lingua straniera. Unica vera sorpresa della serata può essere considerata la sconfitta di Sylvester Stallone, candidato come attore non protagonista per Creed – Nato per combattere, spin-off della fortunata saga di Rocky Balboa, nel quale (finalmente) lo stallone italiano appende i guantoni al chiodo e allena il figlio del suo antico rivale Apollo Creed per portarlo al titolo di campione del mondo. La stampa estera gli ha conferito il Golden Globe che lo rende favorito, ma la preziosa statuetta finisce nelle mani di Mark Rylance per Il ponte delle spie di Steven Spielberg. Attrice protagonista dell’anno è incoronata la giovane Brie Larson per il claustrofobico Room. Contro i pronostici della vigilia l’alloro di migliore attrice non protagonista è vinto da Alicia Vikander, consorte innamorata di una donna intrappolata nel corpo di un uomo nello struggente The Danish Girl. L’ottavo film di Quentin Tarantino, il western invernale The Hateful Eight ottiene un solo premio per la colonna sonora e l’Italia esulta per il Maestro Ennio Morricone, (in basso il filmato originale) che fa centro al sesto tentativo, alla tenera età di 87 anni. Una statuetta alla frizzante sceneggiatura non originale, scritta dal regista Adam McKay e Charles Randolph, anche per La Grande Scommessa, storia della bolla immobiliare scoppiata nel 2008 che diede inizio alla crisi economica. La miglior canzone è Writing’s on the Wall, cantata da Sam Smith e tratta da Spectre, nel quale James Bond torna in azione per combattere una potente organizzazione criminale. Non vincono nulla due film molto diversi tra loro: The Martian – Sopravvissuto di Ridley Scott, con un Matt Damon ingegnoso e ostinato che riesce a sopravvivere sul pianeta rosso e Brooklyn, educazione sentimentale di una giovane donna tra l’America e l’Irlanda che rivela il talento di Saoirse Ronan (ne risentiremo parlare). Il caso Spotlight chiude la cerimonia con due Oscar di peso, al miglior film e alla migliore sceneggiatura, confermando per l’Academy la tendenza a premiare gli argomenti seri, invece del puro intrattenimento.