(Questo articolo non lo volevo fare, ma i vari polveroni nati attorno a Io Capitano sono stati troppo invitanti).
La Notte degli Oscar l’avevo passata in modo relativamente tranquillo. Certo, un paio di volte mi ero alzato (prima avevo sete, poi ho sentito un rumore strano in garage), ma avevo resistito alla tentazione di accendere la televisione per sintonizzarmi sull’evento che tutto il pianeta attendeva (e no, non intendo la Maratona Mentana sulle elezioni in Abruzzo).
La consegna delle statuette su Rai 1, quindi, era proceduta senza di me, senza il mio preziosissimo dato Auditel che l’Amministratore Delegato Roberto Sergio tanto bramava (perdonami Mamma Rai, ogni scarrafone è bell’a mamma soja, ma non vale il contrario). E così avevo dormito, che era anche l’opzione 1 nel mio articolo su cosa fare di alternativo la Notte degli Oscar, avevo dormito e di conseguenza avevo schivato tutto quell’inutile chiacchiericcio che arrivava da oltreoceano. Un vero sollievo la disconnessione dal mondo, almeno per un poco, almeno per errore (con tutto il rispetto per Irene Grandi ho fatto citazioni migliori di questa, ma non importa).
Era arrivato il mattino, e io non sapevo nulla. Non sapevo dei successi di Oppenheimer (Nolan, vecchia roccia), e manco di quello di Marsilio (ma a qualcuno interessano realmente le elezioni in Abruzzo, a parte a Mentana?). Avrei tanto voluto continuare a non saperne nulla, avrei tanto voluto fare colazione con il mio tè allo zenzero, e poi avrei tanto voluto procedere con la recensione di Supersex, la serie Netflix appena uscita liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi (ho davvero speso 6 ore della mia vita per vedere ‘sta roba? Rocco, dalle interviste sei una persona squisita, ma la tua serie è noiosa in modo direttamente proporzionale alla lunghezza della tua proverbiale “mazza”).
Ma poi sono arrivate le 9.31, e la situazione è precipitata.
Io Capitano e il Televideo
A quell’ora, infatti, quell’adorabile serpeverde della mia Direttrice (ha fatto il test “a quale casata di Harry Potter appartieni?” con risultati inoppugnabili) ha inoltrato nella chat di redazione la foto del Televideo incriminato.
Qualche scienziato di Mamma Rai all’1.35 del mattino (qualcuno difenda i lavoratori notturni), inebetito dal sonno, ha attribuito all’opera di Matteo Garrone (in nomination per l’Oscar al miglior film straniero, vinto poi da La Zona d’Interesse) il trattare la vicenda di Schettino e del naufragio della Costa Concordia.
Io Capitano, chiaramente, non parla di Schettino e della Costa Concordia, ma della vicenda dei giovani Seydou e Moussa, i quali scappano da Dakar per giungere in Europa tra traversate del deserto, centri di detenzione in Libia e superamento dei pericoli nel Mediterraneo.
Vero però che ne La Grande Bellezza c’è la scena della Costa Concordia capovolta (con Jep Gambardella che in giacca bianca guarda il relitto dopo la morte di Ramona aka Sabrina Ferilli, e con in sottofondo la splendida Everything Trying di Damien Jurado), e La Grande Bellezza è l’ultimo film italiano ad aver vinto l’Oscar. Vuoi vedere che quella vecchia volpe della Rai ha provato la mossa del secolo per far trionfare Io Capitano?
Secondo me, palesemente sì. Il perché poi tutto ciò si sia rivelato infruttuoso ce lo spiegherà il prossimo “eroe” di questo articolo.
Io Capitano e Ceccherini
Massimo Ceccherini, uno degli sceneggiatori del film di Garrone, era ospite da Francesca Fialdini a Da noi… a ruota libera (sempre su Mamma Rai) quando si è lanciato nel suo pronostico sintetizzabile così: Io Capitano non trionferà perché a vincere saranno sempre gli ebrei.
Le comunità ebraiche si sono infuriate (basta con i soliti stereotipi infamanti), lui si è scusato, ma no, intendevo dire vincono gli ebrei per l’argomento del film (La Zona d’Interesse, poi vincitore, parla della vita della famiglia del comandante di Auschwitz), ha detto, e anche la moglie lo ha sgridato, pare più di tutti, almeno secondo le dichiarazioni dello stesso Ceccherini.
Ma ciò che rende le scuse di Ceccherini degne di un geniale film dei Fratelli Coen (altri ebrei, povero Massimo) è che adduca a motivo della sua gaffe il fatto di essere “un imbianchino”.
Effettivamente è figlio di un imbianchino, e lui stesso poteva tranquillamente diventarlo seguendo le orme paterne se non avesse sfondato nel mondo dello spettacolo. Ma anche l’Adolf più famoso del Novecento è sempre stato considerato un imbianchino (anche se era un pittore, mediocre, ma pittore). Tra le due cose, ovviamente, non vi è alcuna correlazione (meglio specificarlo nell’epoca di Internet, non si sa mai), ma certe piccole beffe del caso possono essere sempre curiose.
Dopodiché, al netto della sgradevolissima uscita in questi termini, il foro interno di Massimo Ceccherini è difficilmente sondabile, e quali fossero le sue reali intenzioni non è dato saperlo (probabilmente è solo uno scapestrato, ma chissà). Di certo, in buona fede o meno, dichiarazioni del genere attraverso un mass medium strizzano l’occhio a odiosi pregiudizi secolari mai del tutto sopiti, che peraltro si sono andati a esacerbare nell’attuale dibattito sul conflitto israelo-palestinese e sul dramma umanitario che questo ha prodotto (e sta ancora producendo).
In ogni caso, è bene anche ricordarsi che tipo di personaggio sia Ceccherini, per non prendere mai troppo sul serio le sparate (a volte pessime) che dice. Ceccherini è uno che pare bullizzasse in gioventù nientepopodimeno che Matteo Renzi (con riferimenti, probabilmente fantasiosi, a presunte frustate con le ortiche), Ceccherini è uno ancora sconvolto dal non avere avuto la possibilità di dare “due colpetti di lingua” a Elisabetta Canalis in un film per colpa di quegli “str… degli sceneggiatori” (povero Massimo per la seconda volta, magari sabotato proprio da fantomatici sceneggiatori ebrei), Ceccherini è uno, comunque la si pensi, molto più serio di me, che sguazzo in questo genere di contenuti trash per passione.
Sabrina Ferilli contro il Kitsch furbo
Ma poi, dal nulla ecco che risbuca Sabrina Ferilli (ma allora Ramona sei ancora viva, lo vado a dire a Jep), che in una storia su Instagram afferma che se dovesse vincere l’Oscar La Zona d’Interesse lei, Sabrina, saprebbe il perché, e non certo perché il film di Glazer sia migliore di Io Capitano.
E qui altre polemiche, con David Parenzo che chiede alla Ferilli di chiarire cosa intenda (ci conosciamo e mi sei simpatica Sabrina, ma vuoi vedere che sotto sotto sei un po’ antisemita? l’implicito dell’intervento della “Tigre” de La Zanzara nonché conduttore de L’aria che tira, ovvero l’unica altra persona al mondo a cui importa qualcosa delle elezioni in Abruzzo, oltre che a Mentana), ma la Ferilli (che è meno imbianchina di Ceccherini) cita (sempre su Instagram) il critico Paolo Mereghetti, collega di testata al Corriere della Sera di quel Massimo Gramellini che l’aveva attaccata nella sua rubrica Il caffè con la stessa accusa precedente.
Sabrina Ferilli, quindi, ha fatto sue le parole di Mereghetti che aveva definito La Zona d’Interesse come un film “più furbo che davvero bello, tutto costruito sulla banalità piuttosto che sul male e molto abile a sfruttare il senso di colpa dello spettatore occidentale di fronte a una tragedia che il film si preoccupava di rendere rarefatta ed elegante senza davvero farci i conti. E senza quello sguardo morale che invece Garrone aveva cercato con Io capitano“.
E allora la discussione si sposta sul piano dell’estetica (e del rapporto che questa ha con l’etica), facendo dell’attrice romana non più un’antisemita in incognito (ma qualcuno davvero lo ha pensato?) (obiezione alla parentesi precedente: se non si può valutare il foro interno di Ceccherini non si può farlo nemmeno con la Ferilli), ma solo una persona che, a torto o a ragione, ha visto del Kitsch furbo acchiappa consensi nell’opera di Glazer.
Opinione discutibile ma assolutamente lecita in questi termini quella della Ferilli, a proposito della quale io non ho la più pallida idea di cosa dire dal punto di vista contenutistico non avendo (mea maxima culpa) ancora visto La Zona d’Interesse (un giorno la smetterò di parlare di cose che non conosco, giuro, ma questa volta sono stato colto alla sprovvista, io volevo recensire Supersex).
Bonus: John Cena e il suo birillo
Sarò brevissimo, sono stanco e si è già parlato fin troppo di “mazze” in questo articolo (maledetto Rocco).
Pongo solo una domanda: ma che diamine ci faceva John Cena (di cui ho già parlato a proposito di Barbie) con il birillo al vento sul palco degli Oscar e con solo la busta del vincitore per i migliori costumi a coprire il biscione?
(Il fatto che non fosse nudo ma indossasse un perizoma color carne rende solo molto più trash la situazione).
Bah, lo show biz.