C’era una volta in Bhutan (The monk and the gun), è il nuovo film del regista bhutanese Pawo Choyning Dorji che torna a raccontare il suo paese dopo l’enorme successo di Lunana: Il villaggio alla fine del mondo, con il quale si era addirittura guadagnato una prestigiosissima candidatura all’Oscar per Miglior Film Internazionale nel 2022.
C’era una volta in Bhutan sarà nei cinema italiani dal 30 aprile e sarà distribuito da Officine UBU, che aveva già precedentemente finanziato e distribuito anche il precedente film di Dorji.
C’era una volta il Bhutan: il complicato passaggio alla modernità
ll nuovo film di Pawo Choyning Dorji ci porta nel 2006: il Bhutan, piccolo stato himalayano che si trova geograficamente e politicamente frapposto tra i due paesi più popolosi della terra, a nord con la Cina, mentre a sud con l’India, si trova all’alba della modernizzazione con tutto ciò che ne consegue.
Il paese si trova ad una vera e propria svolta della sua storia: Il piccolo stato alle pendici dell’Himalaya, deve stare al passo con i tempi moderni, essendo clamorosamente lontani e distaccati dal mondo circostante. E’ stato infatti anche l’ultimo stato al mondo a connettersi ad Internet e al mondo televisivo, ed ora è giunto anche il momento di aggiornarsi politicamente con la democrazia.
La decisione però, non è avvenuta nel sangue come in gran parte dei paesi europei ed occidentali nei secoli precedenti, ma tutto è avvenuto con estrema serenità. Il precedente re, come gesto d’amore per il proprio paese, ha deciso di sua spontanea volontà di abdicare in favore di uno stato più moderno, un annuncio radiofonico che all’improvviso sconvolge la tranquilla ed abitudinaria popolazione himalayana.
Il paese, si sta infatti in quegli anni adeguando al mondo circostante: incomincia a vedere la televisione, a scoprire alcuni leggendari personaggi del piccolo e del grande schermo come 007, ed ora deve anche imparare a votare, perché la grandissima parte della popolazione non sa nemmeno che cosa si intenda con questo verbo, per questo urgono aiuti, anche esterni, per far si che la votazione non si trasformi in qualcosa di grottesco ed assurdo.
Le autorità, per evitare che tutto si trasformi in una magra figura da mostrare al mondo televisivo civilizzato che curioso aspetta questo passaggio storico che condurrà il Bhutan alla democrazia, decide di organizzare delle finte elezioni, anche perché le difficoltà di gran parte della popolazione a gestire questa novità, sono alquanto evidenti fin dal principio.
C’era una volta in Bhutan: La democrazia e il fucile della discordia
Nel frattempo, come logico che sia in situazioni di questo tipo, c’è anche chi perplesso e preoccupato osserva questo cambiamento storico per il proprio paese in maniera tutt’altro che classica.
Nel villaggio di Ura, un anziano Lama, turbato dai possibili esiti dello straordinario cambiamento che sta per travolgere il suo paese, ordina a un giovane monaco di procurargli un paio di fucili. Il giovane monaco è perplesso dall’insolita richiesta, ma soprattutto è all’oscuro della misteriosa cerimonia che l’anziano Lama sta organizzando per il giorno delle elezioni…
Nel frattempo, questo giovane monaco gira con questo fucile per tutto il villaggio e anche quando a questo giovane gli viene chiesto che cosa ha intenzione di farci, vagamente risponde che a che fare con la luna piena, che casualmente però sarà lo stesso giorno delle elezioni.
Ovviamente il primo pensiero di tutti, è quello che il fucile possa essere utilizzato per un qualche fine violento durante il giorno delle elezioni, magari per impedirne la piena realizzazione, essendo però due monaci a gestire questo pericoloso arnese occidentale, traspare nonostante tutto un’apparente serenità, anche se essendo comunque alle porte un grosso cambiamento storico, fatalmente si aspetta quel che sarà in un misto di ansia e voglia di sapere che mondo li aspetterà da lì in poi.
Un fucile, che gira per il paese, che cosa potrebbe significare per noi? Lo si potrebbe interpretare come un minaccioso simbolo del vecchio mondo? Anche perché, provenendo da un collezionista estero, forse è un cattivo presagio che sembra indicarci come insieme alla democrazia, anche la violenza forse è un qualcosa che va strettamente legato ad essa.
La democrazia infatti non convince tutti. Ci sono coloro che, escludendo il vecchio monaco, faticando concettualmente ad accettare il nuovo che avanza, non sono sicuri che la democrazia vada di pari passo alla felicità. E’ giusto quindi che per modernizzare uno stato e per far si che non venga escluso dal mondo, debba adattarsi drasticamente a modelli che possano intaccare quel delicato ecosistema fatto di pace e serenità?
Queste sono le domande che girano intorno alla popolazione, che nel 2007 conoscerà ufficialmente la monarchia costituzionale, ma in quel breve periodo antecedente a questo storico cambiamento, i dubbi inevitabilmente serpeggiavano in seno a questo piccolo angolo di paradiso sull’Himalaya che come le sue vette principali, altrettanto impervie da scalare rimanevano le vecchie convenzioni e tradizioni tra speranze e cattivi pensieri, quindi la democrazia stava arrivando e bisognava accettarlo, ma a costo di che cosa?
Le parole del regista, tra cambiamenti e volontà di non perdere la propria identità
Il regista bhutanese, tra ironia e poesia, affronta il tema del cambiamento in un paese che placidamente per secoli era rimasto intatto nelle sue convinzioni, ma ad certo punto della storia il Bhutan doveva necessariamente spiccare il volo e trovare il suo posto nel mondo, poiché, anche così recita la stessa Costituzione bhutanese:
“Lo scopo di un governo è quello di fornire felicità al suo popolo, e se un governo non può fornire felicità, non ha motivo di esistere”. Il concetto di Felicità Nazionale Lorda è il principio guida del Bhutan, punto fermo imprescindibile anche in un’epoca di transizione e rinnovamento.
Anche il regista ha voluto esprimere la sua opinione a riguardo sul ciiclo dei film che ha deciso di dedicare allo storico cambiamento del proprio paese, ricercando quel vecchio sentimento romantico intrinseco della popolazione bhutanese, scegliendo come attori persone del posto, e come ambientazione un Bhutan rurale, quindi ancora poco avvezzo alle novità di qualunque natura fossero.
Un cambiamento che ha portato si alla democrazia, ma anche alla perdita di certi valori d‘innocenza ed ingenuità predemocratica, decisamente carenti soprattutto nella popolazione cittadina e con questi film il regista sprona, anche grazie all’esempio della semplicità trovabile ancora nelle comunità rurali, a ritrovare quei valori che con la democrazia non devono però andare persi:
“Con entrambi i film ho cercato di toccare il valore e l’unicità della cultura e delle tradizioni bhutanesi. Il Bhutan è alla ricerca incessante di modernità, istruzione e occidentalizzazione.
Molte volte, in questa ricerca, rinunciamo alla nostra cultura e alle nostre tradizioni che ci rendono così unici. Questi valori stanno scomparendo nel Bhutan urbano, e per questo sono andato nel Bhutan rurale per ritrovarli. L’innocenza è un valore e un tema così importante dell’essere bhutanesi e purtroppo in questo cambiamento verso un paese più moderno e più istruito, si sta perdendo, perché sembra che la mente moderna non riesca a distinguere tra “innocenza” e “ignoranza”.
Uno dei motivi principali per cui ho voluto raccontare questa storia è perché volevo condividere con il mondo, e ricordare ai miei connazionali bhutanesi, le circostanze uniche che portano all’apertura e alla modernizzazione del Bhutan” – così afferma Pawo Choyning Dorji.