Bodyguard è una di quelle serie che fin dal principio ha fatto parlare di sé, e nella maniera più positiva del termine. Apprezzatissima fin da subito, da quando è stata trasmessa su BBC One tra l’agosto e il settembre 2018 ha registrato, nel finale di stagione, il record di ascolti degli ultimi dieci anni nel Regno Unito: 10.4 milioni di telespettatori ed uno share pari al 40.9%.
Non bastasse questo per giudicare il successo e la qualità di questa serie, anche i grandi premi delle Serie Tv non sono rimasti immuni al fascino di questa affascinante e adrenalinica spy-story. I Golden Globe del 2019 l’hanno vista candidata a due dei premi più importanti e se non è riuscita a sconfiggere un’altrettanto ottima serie come The Americans tra le migliori serie drammatiche di quell’anno, Richard Madden (Game of Thrones, Citadel, I Medici) con la sua ottima interpretazione è riuscito invece a spuntarla nella combattutissima categoria di miglior attore nella medesima categoria, sconfiggendo, tra gli altri, a sorpresa due ottimi attori come Jason Bateman (Ozark) e Matthew Rhys (The Americans).
Il pubblico poi ha sancito il successo definitivo di questa serie assegnandole anche un ottimo 8.8/10 di voto su Rotten Tomatoes. Da quando Netflix poi ne ha acquisito i diritti (pochi mesi dopo la prima messa in onda) è diventata anche in quel caso, una delle serie più apprezzate dagli utenti della celeberrima piattaforma di streaming americana.
Il motivo di questo clamoroso successo è semplice: è una serie di alta qualità che mescola in modo eccellente i temi della suspense con la tematica sempre attuale dell’allarme terrorismo nelle grandi città ( e il sottinteso dualismo sempre acceso tra il mondo cristiano e quello islamico). Inoltre offre tra i suoi punti forti continui colpi di scena, oltre a una regia e una recitazione molto buona da parte degli attori coinvolti, garantendo in soli sei episodi il giusto carico di adrenalina per gli spettatori costantemente spiazzati e indecisi se prendere le parti del bodyguard-poliziotto, David Budd (Richard Madden), o quelli del mondo circostante che costantemente lo sfida senza esclusione di colpi.
Ma ora vediamo più nel dettaglio i segreti e i punti di forza di Bodyguard.
Bodyguard. La trama: Un uomo complicato contro un sistema corrotto
David Budd (Richard Madden) è un sergente di polizia e un eroico veterano dell’esercito britannico sofferente di disturbo da stress post-traumatico, che ora lavora come agente nel comando di protezione del Metropolitan Police Service di Londra. Il suo incarico sarà quello di proteggere l’ambizioso Segretario di Stato, Julia Montague (Keeley Hawes), segretario degli interni, la cui politica rappresenta tutto ciò che lui disprezza (guerra, violenza, ambizione smisurata…).
David Budd ci viene presentato inizialmente come un uomo apparentemente integerrimo. Lo troviamo ad inizio serie sereno su un treno con i due figli al suo fianco, mentre la moglie Vicky Budd (Sophia Rundle) non è con loro. Infatti, i due sono di fatto separati in casa, poiché Buddy, una volta tornato dalla guerra come scopriremo nel corso della serie, non è più lo stesso e usciranno alcuni tratti che ci fanno capire che sotto l’elegante completo da guardia del corpo (il suo nuovo lavoro), si cela una personalità alquanto fragile.
David infatti beve in maniera eccessiva, fatica a dormire, ha violenti scatti d’ira e, soprattutto, è vittima, in particolari situazioni di forte stress o durante la notte, di crisi nervose e di pianto che lo rendono inaffidabile come compagno e marito e instabile come padre dei propri figli.
L’inizio della serie si apre con un episodio che potremmo dire anticipa gli argomenti successivi delle 6 puntate di Bodyguard: infatti sul treno troviamo chiusa nel bagno una ragazza di origine musulmana, Nadia Ali (Anjli Mohindra), che indossa un giubbotto esplosivo pronto a detonare da un momento all’altro. Tutti sembrano pronti ad intervenire immediatamente con la forza, anche perché potenzialmente, se innescato l’ordigno, potrebbe provocare una strage di non piccole dimensioni.
Così conosciamo David Budd, un uomo di principi e pronto a fare gli interessi di tutte le parti in causa anche in abiti civili: da quelli dei passeggeri innocenti di quel treno (compreso il dettaglio non irrilevante che a bordo ci sono i suoi figli e che crea quindi ulteriore tensione in lui), ma anche quelli dei possibili attentatori, cercando quel margine di trattativa per evitare inutili sprechi di sangue, anche perché David avverte in quella ragazza una sua stessa umana fragilità.
Questo suo atto coraggioso e la gestione di esso verrà di fatto premiato mesi dopo con un incarico di alto prestigio: proteggere il Segretario di Stato, Julie Montague, una donna forte e determinata. Fin dall’inizio vediamo questa donna presa in mezzo tra i servizi di sicurezza nazionale e gli affari interni in costante e pericolosa tensione l’uno contro l’altro, anche perché le minacce per la sicurezza della Gran Bretagna (e più in generale del mondo occidentale) da parte del mondo islamico sono nient’affatto velate in questo caso, ma anzi assai minacciose, violente e quanto mai imminenti.
David Budd si troverà immischiato in queste delicatissime e assai controverse dinamiche di potere: c’è infatti da garantire da una parte la massima sicurezza di Julie, ma dall’altra sente comunque il compito morale di dover vigilare affinché l’operato del Segretario di Stato rientri nella regolarità che spetta al suo delicato ruolo politico.
A complicare il tutto, ci sarà l’ambigua relazione che nel corso del tempo cambierà tra David e Julie: infatti da un rapporto assolutamente professionale che vige all’inizio tra i due, entrerà in gioco anche una pericolosa dinamica sentimentale che di fatto renderà la convivenza tra i due sempre più difficile da gestire, tra un sentimento difficile da spiegare e un ruolo che non permette distrazioni di nessun tipo.
Nel corso di Bodyguard accadranno poi alcuni drammatici eventi che riaccenderanno al più alto grado il pericolo del terrorismo, e dove trovare il colpevole sarà tutt’altro che un compito facile, perché si intrecceranno tra di loro complicate dinamiche che renderanno difficile lo smascheramento della mente dietro questo apparente attacco all’Occidente.
Da una parte, infatti, rientra l’oggettiva prova che riconduce a cellule terroristiche islamiche e che quindi sembrerebbe confinare il tutto al purtroppo annoso e attualissimo tema della difficile convivenza tra cristianità ed Islam.
Dall’altra parte c’è il non meno pericoloso dietro le quinte, in cui rientrano giochi di potere interni in cui tutte le componenti governative entrano in discussione, dalle cariche singole come quella del Primo Ministro inglese a quella del Segretario di Stato, arrivando a vere e proprie ipotesi di congiure interne che passano dalla sicurezza nazionale, agli affari interni e allo staff stesso della Montague.
Da non scordare il ruolo di David, che dopo questi episodi legati al terrorismo, inizierà mentalmente a cedere e ad apparire sempre più fragile, e anche la sua posizione e il suo ruolo cambiano nel corso delle puntate: da bodyguard perfettamente aderente alle regole, impassibile e apparentemente privo di emozioni, diventa una specie di poliziotto di strada vestito casual e pronto a indagare su diversi livelli per scoprire la verità che si cela dietro il fantasma del terrorismo, diventando sempre più una questione personale da dover risolvere a tutti i costi.
Infatti, nemmeno lo stesso Buddy è immune dai sospetti di essere anche lui in combutta contro i poteri forti, anche a causa del suo sempre meno equilibrato sistema nervoso e di una sua presunta avversione al sistema politico vigente. Quindi anche lui dovrà dimostrare la sua innocenza e la sua estraneità agli eventi circostanti in una sorta di continua e contraddittoria caccia al cattivo che da una parte coinvolge lui in prima persona, ma che le ambiguità di fondo dei suoi comportamenti non escludono che possa essere addirittura lui in realtà a nascondere pericolosi segreti che instillano il dubbio (anche nello stesso spettatore) sulla sua reale buona fede.
Perché colpevolezza e innocenza, in questa adrenalinica serie, giocano alle porte girevoli nel giro di brevissimo tempo. Quindi nessuno risulta completamente immune dall’essere totalmente estraneo ai fatti in questa storia, perché tra voltafaccia, segreti e scomode verità nemmeno Buddy stesso risulta completamente esente dal sospetto di essere anche lui responsabile, in maniera diretta o indiretta, sugli eventi circostanti.
Il sergente Budd è infatti sostanzialmente un uomo solo e, seppur nelle sue contraddizioni, appare sempre e comunque genuinamente votato al bene comune, lo vediamo battersi a favore di tutti in prima persona, cercando sempre di fare la cosa giusta e dare a tutte le parti in questione (anche le parti che risultino più difficili da difendere) il beneficio del dubbio.
Dall’altra parte, però, nessuno sembra fidarsi completamente di lui: dalla Segretaria di Stato alla moglie, dai colleghi di lavoro ai servizi segreti, dalla coraggiosa coppia di poliziotti Louise Rayburn (Nina Toussaint-White) e Deepak Sharma (Ash Tandon) incaricati di indagare in prima persona sugli attacchi ai suoi superiori, nessuno sembra dare totalmente fiducia al Sergente Budd chi per validi motivi, chi per semplice opportunismo.
Una ritrosia a fidarsi che diventerà parte dello stesso sergente che nel corso della serie anche lui sempre meno darà cieca fiducia a colui o a colei con i quali entrerà in contatto, vedendo tutti come potenziali nemici, perché uno dei punti forti di questa serie è proprio la terribile sensazione di non potersi fidare di nessuno.
Un uomo che, pur cercando sempre di fare la cosa giusta, rischia costantemente di scontentare qualcuno. Una totale mancanza di fiducia nell’altro (a parte alcuni casi in cui empatizza con il suo interlocutore) che non gli permette quindi di essere mai completamente sincero con gli altri.
Di conseguenza, questo suo a tratti oscuro modo di portare avanti da solo le indagini, non porterà nemmeno le persone con cui più strettamente e costantemente si interfaccia a fugare completamente i dubbi sulla sua condotta, che diventa nel frattempo, puntata dopo puntata, sempre più torbida e ai limiti della legalità.
Bodyguard: La brillante e adrenalica regia di Vincent e Strickland
Tra i punti di forza di Bodyguard ci sono certamente le interessanti scelte registiche del duo Thomas Vincent e John Strickland.
Quando si realizza una serie che punta a raccontare una storia che passa dallo spionaggio al thriller, dal drammatico alla suspense anche i dettagli hanno la loro importanza. Si utilizzano campi più o meno lunghi, utilissimi per mostrarci il territorio d’azione ed eventualmente dettagli per da una parte indicare il luogo dell’azione, ma in alcuni casi utili per indirizzare lo spettatore verso ciò che il regista vuole che osservi con più attenzione.
Ma la regia di Bodyguard non disprezza anche l’uso di campi estremamente ravvicinati.
Abbonda infatti l’uso dei dettagli, magari tagliando l’inquadratura principale per concentrarsi su quel particolare che indirizza lo sguardo dello spettatore e che gli suggerisce a suo modo di fare attenzione a quel dettaglio.
Una scelta ovviamente obbligata da un certo punto di vista in questo genere di serie televisive, ma comunque ben gestita, soprattutto in alcuni momenti salienti della storia: l’imminente o potenziale attacco terroristico e, giusto per fare un esempio pratico, i particolari di una bomba all’interno di un giubbotto esplosivo, con campi e controcampi che ci indicano da una parte i punti di vista di colui o colei che sta per eventualmente far innescare la bomba, mentre dall’altra l’artificiere di turno che si occuperà eventualmente di disinnescarla in piena sicurezza.
Anche gli interrogatori offrono, da questo punto di vista, interessanti scelte di regia: improvvisi avvicinamenti della telecamera al sospettato, mostrandoci, per esempio, il picchiettare delle mani sul tavolo, il tremare delle gambe, sguardi persi nel vuoto, il sudare di colui che sta dalla parte sbagliata della sedia o il tergiversare di quest’ultimo a domande scomode.
Sono questi tutti segnali che non necessariamente indicano una colpevolezza assoluta del sospettato e del suo eventuale e decisivo coinvolgimento negli eventi per cui si è indagati, ma che servono, dall’altra parte, a consegnare allo spettatore interessanti piste, interrogandoci (magari anche sbagliando) sulla sincerità o meno del sospettato.
Molto interessante è anche l’escamotage del ribaltamento dei ruoli: Buddy infatti si sposta costantemente per tutta la storia dall’essere l’eroe di cui la città ha bisogno, a diventare nel giro di pochissimo tempo, anche per un semplice sospetto, all’opposto un pericoloso terrorista (mente dell’intero attentato o semplicemente infiltrato) capace di tenere in scacco una città intera e a cui dare la caccia.
Da persona di totale fiducia a pusillanime traditore, da tranquillo cittadino allarmato a giustiziere privato, o per finire passare per colui che interroga ad essere lui stesso l’oggetto dell’interrogatorio e l’indagato principale, con le ovvie conseguenze psicofisiche che questo ambivalente e scomodo ruolo portano con sé.
Altro aspetto che può certamente incuriosire a livello registico, è che magari c’è un dialogo tra due o più persone e poi, nell’inquadratura successiva, senza che venga esplicitamente nominato, ci si stacca da quella scena e si passa a vedere colui di cui si stava parlando in quella conversazione, per vedere cosa stia effettivamente facendo (il più delle volte è Buddy, ma non solo lui è oggetto di questo espediente registico).
Spesso poi si scopre che queste attività non sono proprio limpidissime e immacolate, mettendo a noi spettatori, che con attenzione osserviamo lo sciogliersi della trama, la pulce nell’orecchio e il conseguente dubbio che inevitabilmente sorge dietro a comportamenti quantomeno, dal nostro parziale punto di vista, sospetti.
Altro dettaglio da attenzionare in Bodyguard sono le modalità in cui avvengono le poche, ma significative, scene di sesso tra Buddy e Julie: dall’essere inizialmente lunghe anche alcuni minuti e ben definite, si passa con l’andare avanti della trama e con il venir meno della fiducia tra i due, a scene sempre più fugaci, meno dettagliate e sempre meno definite, addirittura visivamente sfocate, segno di come anche la fiducia tra i due vada lentamente sfumando con l’intricarsi della trama.
Bodyguard: le conclusioni
Bodyguard è indubbiamente una serie ben realizzata, con una trama ben strutturata e che costantemente vive sul filo del pericolo e del sospetto verso l’altro. Fin dai titoli iniziali arrivando a quelli finali, tutto avviene in un’atmosfera di costante tensione, frammentando la più classica scansione progressiva dei titoli di testa con i nomi degli attori e dei diversi membri della troupe con vere e proprie scene del film o recap necessari di ciò che è avvenuto in precedenza e rilevante per il proseguimento della storia, con un sottofondo acustico ansiogeno, facendoci capire che rilassarsi durante queste sei puntate è assolutamente vietato.
Da sottolineare la sorprendente prova di Richard Madden, davvero molto bravo e intenso nel passare dalla tranquillità assoluta all’isteria più incontrollata, dimostrando come l’attore scozzese dai tempi di Game of Thrones stia regalando sempre più certezze, non mostrando solo muscoli e fisicità nella sua recitazione, ma anche intensità ed emozione, il Golden Globe vinto per la sua interpretazione non è stato certamente un caso
Scelte registiche interessanti, un cast che funziona bene, dualismi interessanti tra il mondo occidentale e il mondo musulmano mettendo in risalto aspetti controversi di entrambi gli emisferi, senza risparmiare critiche e riflessioni sulle difficoltà di convivenza tra questi due mondi. Senza, per finire, dimenticare l’adrenalina e i colpi di scena tipici di una serie spy-thriller come Bodyguard, che per chi non l’ha vista e per gli amanti del genere, diventa una serie assolutamente da recuperare.