Non possiamo fare a meno di proclamare Brad Pitt sovrano indiscusso del box office italiano di questa settimana: dopo C’era una Volta… a Hollywood, ora lo abbiamo ammirato come protagonista anche in Ad Astra, pellicole che occupano rispettivamente la prima e la seconda posizione della top ten. Oltre al pubblico, il film diretto da James Gray sembra convincere anche la critica: sull’aggregatore Rotten Tomatoes, per esempio, riceve l’83% delle recensioni professionali positive con un voto medio di 7,65 su 10 basato su 268 critiche. Seguendo la scia di Gravity, Interstellar e First Man, questo sci-fi narra di un doppio viaggio, attraverso lo spazio profondo e l’ignoto dell’animo umano. Nelle sale cinematografiche statunitensi è stato diffuso dal 20 settembre 2019 da Walt Disney Studios, sotto il logo della 20th Century Fox ed in quelle italiane dal 26 settembre.
Un’altra grande performance per Brad Pitt in Ad Astra, in cui mostra quella fragilità lontana dai modelli maschili da lui spesso rappresentati. Alla 76ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia l’attore ha svelato: “Questo probabilmente è stato il lavoro più difficile della mia vita, un film delicato, una vera e propria sfida. Raccontare una storia tra padre e figlio riuscendo a mantenere il giusto equilibrio in maniera sottile e delicata non è stato facile. Roy è in un momento particolare della sua vita in cui la sua chiusura al mondo non funziona più e ne sta diventano consapevole. E’ insomma vulnerabile. Io e James abbiamo parlato molto di vulnerabilità. Che cos’è la vulnerabilità? Che cos’è la forza in un uomo e da dove viene la forza? E abbiamo concluso che la forza è generata proprio dalla vulnerabilità”.
In Ad Astra interpreta l’astronauta Roy McBride, attento a non far sbalzare il suo battito cardiaco e a compilare la sua valutazione psicologica giornaliera, nascondendo la verità nei suoi pensieri. Proprio per diminuire la pressione psicologica, si auto impone un distacco dagli affetti provocando l’allontanamento della moglie, unica persona cara rimastagli. Dopo esser sopravvissuto a un incidente causato dai picchi che colpiscono la Terra, parte per una missione ai confini del sistema solare per ritrovare il padre disperso e fermare il fenomeno distruttivo. Roy è intenzionato a perdonare quel genitore che lo ha abbandonato da bambino, ossessionato dal suo lavoro e dai misteri della vita, ma forse non si accorge che sta diventando come lui.
D’altronde, il fine regista James Gray ci ha insegnato nei suoi film, come ne I Padroni della notte, che le colpe dei padri ricadono sui figli. Dopo esser scomparso al seguito del Progetto Lima, Clifford McBride (Tommy Lee Jones) è stato ricordato dallo SpaceCom, il Comando Spaziale Statunitense, come un eroe. Qualcosa non quadrava e i suoi colleghi avevano intuito che, in realtà, si stava nascondendo dalla sua famiglia, rifugiandosi nel lavoro: Nettuno è il pianeta più lontano dalla Terra, rappresentando il pieno allontanamento dalla sua casa. Viaggia verso lo spazio profondo incontrando l’ignoto della sua anima: come gli rimprovera Roy, si mette in cerca di altre forme di vita nello spazio dimenticandosi delle persone a lui più vicine.
“Siamo divoratori di mondi”: così il protagonista descrive la società terrestre in Ad Astra che espande il proprio dominio politico ed economico verso tutto il sistema solare. Colpisce come in quel futuro l’uso commerciale dei viaggi diventi interspaziale, con la possibilità di arrivare sulla Luna o su Marte, anche in poco tempo. Proprio sul nostro satellite naturale troviamo centri commerciali simili a quelli delle stazioni ferroviarie odierne, simbolo della globalizzazione che avanza anche nello spazio uniformandolo esteticamente alla Terra. A mio parere, la presenza di foto e di film in bianco e nero risulta anacronistica.
Da lodare il lavoro del compositore Max Richter (Shutter Island, The Leftovers) che cura la colonna sonora con un attenzione maniacale ai dettagli, annullandola in alcuni casi per lasciare il posto all’inquietante silenzio dello spazio profondo. Ciò permette un alternarsi di scene d’azione ricche di suspense ad altre più pacate e riflessive in Ad Astra. Queste ultime alcune volte potevano essere risparmiate per rendere la narrazione più fluida e per non far calare l’attenzione dello spettatore verso il meraviglioso viaggio tra i pianeti.
Il regista James Gray, che ha anche scritto la sceneggiatura di Ad Astra insieme a Ethan Gross, ha svelato liberamente le sue fonti d’ispirazione per il film: ha accompagnato alle letture sul fisico premio Nobel Enrico Fermi, quella del romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad (come per Civiltà Perduta) e l’influenza del film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola; infine, si è servito dei racconti molto realistici delle missioni spaziali Apollo e Mercury. Infatti, sulla piastra commemorativa della missione Apollo 1 della NASA è riportata la frase “Ad astra per aspera”. Il motto latino da cui prende spunto il titolo del film è stata registrato in codice Morse sul Voyager Golden Record, un disco inserito nelle sonde Voyager del 1977, con lo scopo, forse simbolico, di inviare messaggi ad eventuali forme di vita extraterrestri: guarda caso lo stesso scopo del Progetto Lima.
Oltre alle scene meno fluide e ad alcuni elementi anacronistici, altri elementi in Ad Astra non mi hanno convinto. I personaggi interpretati da Ruth Negga, Liv Tyler e Donald Sutherland, pur facendo parte del cast principale, sono relegati a ruoli troppo marginali, senza una giusta caratterizzazione. Il protagonista riesce sempre a cavarsela quasi in modo soprannaturale e incredibile, senza l’aiuto di nessuno per arrivare alla fine della missione.