Il capolavoro crowd pleaser di Peter Farelly si dimostra più di una semplice commedia. Una storia d’amicizia on the road che divora premi in attesa dell’agognato Oscar
Uci Cinemas ha regalato ai possessori della sua skincard la possibilità di vedere il film in anteprima gratuita senza pubblicità il 22 gennaio. Occasione imperdibile per un amante del cinema come me, che non ha esitato ad ammirare l’opera che ha già trionfato ai Golden Globe e ai PGA Awards e che ha ricevuto 5 nomination per gli Oscar. Green Book non ha affatto tradito le mie alte aspettative, anzi le ha persino superate e potrei definirlo come uno dei lungometraggi migliori mai visti.
Il titolo allude a The Negro Motorist Green Book, vademecum per viaggiatori afroamericani, pubblicato in varie edizioni tra il 1936 e il 1964, anno in cui il Civil Rights Act decretò la fine della segregazione razziale negli USA. Victor H. Green, un impiegato delle poste afroamericano, scrisse questi libricini per mostrare ai neri i luoghi in cui potevano accedere, dato che le leggi Jim Crow stabilivano la separazione tra bianchi e neri nei posti pubblici. In un primo momento rivolto alla borghesia di colore che si faceva strada e riguardante le zone del nord, si espanse a tutti e analizzò anche il sud più razzista. “Dare al viaggiatore nero le informazioni di cui ha bisogno per non incappare in difficoltà, imbarazzi e rendere il viaggio più piacevole”: questo era l’intento dell’editore.
Anche il pianista afroamericano Don Shirley ha quest’obbiettivo quando viaggia e per il suo tour nel Sud decide di adottare questa guida, consegnandola al suo autista Tony Lip, un buttafuori italoamericano in cerca di un nuovo lavoro. Il rapporto contrastante tra queste due personalità risulta l’elemento chiave sul quale ruota tutta la vicenda e che cambierà il modo di pensare e le vite di entrambi. L’eleganza, la raffinatezza, la cultura dell’artista nero si scontrano e allo stesso tempo si compensano con la rozzezza, la superficialità, l’ignoranza dello sfaccendato bianco.
Mahershala Ali, premio Oscar per Moonlight, nell’interpretare il dottore afroamericano, indossa una maschera che trasuda umanità e pietà nei confronti di chi non lo accoglie come dovrebbe. “Non basta il talento, per cambiare i cuori delle persone ci vuole coraggio!”: questa la risposta di Oleg, collega del musicista nel trio Don Shirley, alla domanda del suo accompagnatore riguardo al rispetto che provava per chi si esibiva, nonostante il loro razzismo. Dopo diversi equivoci, risolti da Tony Lip in maniera non molto convenzionale, riesce ad esprimere a quest’ultimo il suo malessere: “Se per te non sono abbastanza nero e per loro non sono abbastanza bianco, allora dimmi chi diavolo sono io!”. Da quel momento capirà che non vale la pena stare sempre al gioco delle convenzioni sociali e che bisogna esibirsi anche per gli afroamericani, che vedeva in una condizione lontana dalla sua. L’amicizia lo renderà meno solo, partecipando alla cena della Vigilia di Natale con la famiglia di Tony. La performance sopra le righe dell’attore gli permetterebbe di ricevere nuovamente l’ambita statuetta.
Viggo Mortensen, grazie alla sua grande e simpatica interpretazione anch’egli in corsa per un Oscar nel 2019, veste i panni dell’italoamericano Tony Vallelonga, padre dello sceneggiatore del film, Nick. In cerca di un lavoro dopo la chiusura del Copacabana, dubbioso accetta l’incarico di accompagnare il musicista di colore. Il suo comportamento, la sua dizione faranno spesso arrabbiare il suo datore di lavoro, che però imparerà da lui la lezione dell’amicizia e dello stare insieme: “Il mondo è pieno di persone sole che aspettano di fare il primo passo”. Spesso usa la violenza, come d’abitudine per un buttafuori, ma essa non deve rivelarsi necessaria. “Non vinci quando usi la violenza, vinci quando mantieni la tua dignità!”, in questo magnifico modo Don Shirley ammonisce l’amico per questo suo vizio. Un altro insegnamento dell’artista al buttafuori riguarda la scrittura di lettere: la moglie Dolores (Linda Cardellini), destinataria delle speciali missive, sarà contenta quanto consapevole del cambiamento del suo consorte. Il musicista quasi lo rimprovera per l’ingente quantità di cibo che ingurgita, che, effettivamente, corrisponde a quella vista nel corso del film: la tradizione italiana con spaghetti, pizza e polpette si confonde con quella statunitense del pollo fritto e degli hamburger e colora buona parte del lungometraggio, facendoci salire l’acquolina in bocca.
Il finale può far commuovere, immerso in un’atmosfera natalizia, più adatta all’uscita americana del film a novembre rispetto a quella italiana di questi giorni, ma che non dispiace mai. Ora non ci resta che aspettare la cerimonia di premiazione degli Oscar per il coronamento di una pellicola fantastica, diretta, prodotta e scritta da Peter Farelly (Tutti pazzi per Mary, Scemo & più scemo) che è stato aiutato da Brian Currie e Nick Vallelonga nella sceneggiatura.