“Quando il gioco si fa duro… i duri cominciano a giocare!“
E’ con questa scena mitica di Animal House che voglio inaugurare l’articolo di oggi, dedicato a John Belushi, più che un semplice attore, un fenomeno.
«Cosa? È finita? Hai detto finita? Non finisce proprio niente se non l’abbiamo deciso noi. È forse finita quando i tedeschi hanno bombardato Pearl Harbor? Col cazzo che è finita! E qui non finisce, perché quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.»
https://www.youtube.com/watch?v=H7mO3JxMoek
John Belushi avrà fatto soltanto nove film, ma ne sono bastati due per renderlo indimenticabile: Animal House, ovvero National Lampoon in originale, e The Blues Brothers, entrambi di John Landis. Potrei anche parlarti degli altri sette film, ma su questi due le cose da dire sono già tante, accontentati.
Prima di entrare nel vivo del Belushi attore, non posso non parlare del Belushi uomo
John Belushi, all’anagrafe John Adam Belushi, nasce a Chicago il 24 gennaio 1949. Passa un’infanzia felice e tranquilla insieme ai due fratelli, di cui uno l’attore Jim Belushi, e alla sorella Marian. E’ nel 1963, quando entra alla prestigiosa Wheaton Central High School, che scopre le sue grandi passioni: il football, la batteria e il teatro. Se per gli ultimi due Belushi ha quel che si chiama phisique du role, sono rimasta abbastanza sorpresa di scoprire del primo. Eppure, nonostante le apparenze, sembra che Belushi fosse anche discretamente bravo, tanto da diventare capitano della squadra. Fu, però, al corso di teatro che John venne notato per la sua immensa bravura. A detta di tutti, il suo era un talento naturale, amava far ridere e ci riusciva benissimo. Ogni commedia della scuola lo vedeva come protagonista e il successo era garantito. Il professore Dan Payne, che lavorava anche allo Shawnee Summer Theater di Chicago, rimase impressionato dalla sua bravura e dalla sua straordinaria capacità d’improvvisazione, tanto da consigliare al ragazzo di partecipare a un provino. Inutile dire che Belushi venne accolto a braccia aperte.
Fu solo nel 1967, dopo aver ottenuto il diploma, che John cominciò a dedicarsi seriamente al teatro e, in poco tempo, divenne un attore professionista. Conobbe tutte le sfumature della commedia, imparò l’arte della satira e della parodia e perfezionò quella delle imitazioni, esercitandosi sui familiari, a cominciare dal padre, arrivando poi ai personaggi più famosi. Nel 1972, gli venne offerto da Tony Hendra, editore di New York National Lampoon, di dirigere National Lampoon’s Lemmings, una spassosissima parodia del Festival di Woodstock con lo slogan “tre giorni di musica, pace e morte” (invece che “tre giorni di pace e musica”). Al picco di successo e popolarità si accompagnò anche l’inizio del declino di Belushi, che cominciò a far uso di droghe e sostanze stupefacenti. Nel 1975 lascia la National Lampoon e si trasferisce a Los Angeles per dedicarsi al Saturday Night Live, un grandissimo show innovativo, che ottenne un successo clamoroso e immediato. E’ proprio in quegli anni che Belushi conosce Dan Aykroyd, inaugurando una lunga collaborazione e un’altrettanto lunga amicizia. Insieme portarono sullo schermo più di 60 personaggi, tra cui Joe Cocker, John Lennon, John Travolta, Beethoven, Gandhi, Mussolini, Hitler. Nel 1978, sempre insieme a Dan Aykroyd, fonda la Blues Brothers Band e, nello stesso anno, gli venne offerto il primo ruolo importante in un film: Animal House. Da lì la sua già brillante carriera prende il via, raggiungendo il culmine con Blues Brothers del 1980. Il segreto di questo fulminante successo?
«I miei personaggi dicono che va bene essere incasinati. La gente non deve necessariamente essere perfetta. Non deve essere intelligentissima. Non deve seguire le regole. Può divertirsi. La maggior parte dei film di oggi fa sentire la gente inadeguata. Io no».
Animal House (o National Lampoon)
Sono tante le cose da dire su Animal House. La prima cosa curiosa è da dove è nata l’idea del film. National Lampoon era una rivista cult degli anni ’70, per la quale John Belushi disegnava e scriveva. La rivista, inutile dirlo, possedeva la stessa irriverenza e totale insensatezza del film. La comicità e la satira pungente si sprecavano e venivano prese di mire le tante e ridicole convenzioni sociali dell’epoca e le ipocrisie borghesi.
Di Animal House non si butterebbe via niente, non vi è una sola scena che non faccia ridere o che sarebbe potuta essere fatta meglio.
E la cosa è considerevole, visto anche che il budget che la Universal aveva a disposizione per la realizzazione del film era veramente molto esiguo, meno di tre milioni di dollari, di cui più della metà fu spesa per promuovere il film. Un gruzzoletto più che sufficiente, secondo il produttore, che riteneva il film niente più che un “filmetto e se raccatteremo una manciata di monetine saremo pure fortunati“. Anche per questo motivo e per la totale mancanza di grandi aspettative, gli attori furono lasciati abbastanza liberi e Belushi, fin dal liceo re indiscusso dell’improvvisazione, si trovò completamente a suo agio in quello che per lui era un habitat naturale. Si devono alla mente geniale di Belushi alcune tra le scene più comiche di tutto il film; una tra tutte quella della mensa, dove Bluto si ingozza di cibo, per poi sputarlo in faccia ai Beta, esclamando “sono un lancia cibo!“. Probabilmente è anche per questo che la scena risulta ancora più comica, fosse solo per le reazioni sbalordite degli altri attori, presi completamente alla sprovvista.
Ad Animal House dobbiamo non solo il successo di John Belushi, ma anche la futura collaborazione tra John Landis e Belushi per Blues Brothers. Pare, infatti, che proprio mentre giravano il film, a Belushi sia venuta l’idea di girare The Blues Brothers. Andando alla ricerca di locali dove poter ascoltare un po’ di musica, l’attore si imbatté in Curtis Salgado, un musicista blues del Portland: armonica, occhiali scuri e tanto di borsalino nero. Vi ricorda qualcuno?
E veniamo ai Blues Brothers
Difficile trovare un film con una trama più esile; in effetti sembra più uno show televisivo con la classica passerella di star. Forse non è un caso, dato che i personaggi dei Blues Brothers, ideati dalle menti geniali del duo Belushi-Akroyd, nacquero proprio allo show televisivo Saturday Night Fever ed ebbero subito un successo tale da pensare di realizzarne un film. Gli Studios si misero immediatamente in lizza per aggiudicarsi il copione e la spuntò la Universal che affidò la regia a John Landis, che, come già detto, aveva già diretto Belushi in Animal House. Il budget iniziale previsto era di circa 17 milioni di dollari; poi cominciarono ad arrivare star del calibro di Ray Charles, Aretha Franklyn, James Brown, Cab Calloway e, come musicisti, nientemeno che la band di Otis Redding, non tutta, ma quasi. Poi c’è una quantità di auto sfasciate mai vista in nessun film, prima e dopo. Insomma, fatto sta che il budget quasi raddoppiò: 30 milioni di dollari. Nonostante ciò, il film negli States non ebbe subito il successo che poi lo ha trasformato in un autentico cult, anche perché quell’anno doveva vedersela con L’Impero colpisce ancora. In compenso, diventò il film che ha incassato di più all’estero.
Purtroppo, fu anche giudicato troppo lungo dalla produzione e Landis dovette tagliare una ventina di minuti. Fra le altre cose, è stata tagliata la stupenda Boom, boom, boom di John Lee Hooker, della quale si vede solo la parte iniziale, ma nelle successive versioni in DVD, fatte quando ormai i Blues Brothers erano un mito, la si può vedere integralmente.
In Blues Brothers si canta alla pari con Ray “The Genius” Charles (e il soprannome glielo ha affibbiato Frank Sinatra), con “Lady Soul” in persona, sia pur in ciabatte e grembiule (rispettivamente secondo e quinta fra i migliori cantanti di tutti i tempi per la rivista Rolling Stone).
Infine con l’esplosivo James Brown, “solo” decimo nella classifica di Rolling Stone. Sommo ispiratore di Michael Jackson e dal quale anche Mick Jagger e Prince hanno preso a piene mani il modo stare sul palco, deve essere stata un’esperienza non da poco, ma i due attori se la sono cavata piuttosto bene. Merito di una band di professionisti, ma anche della voce, particolarmente adatta al genere, di John Belushi. Belushi non era nuovo al mondo della musica; da ragazzo era stato batterista in una band di hard rock. I musicisti rimasero piacevolmente sorpresi di non dover riprovare i pezzi all’infinito, perché Joliet Jake Blues era sempre perfettamente a tempo.
Nel film ci sono anche alcuni camei di prim’ordine: c’è Steven Spielberg, che fa l’impiegato delle tasse, Carrie Fisher, già regina nell’Impero colpisce ancora, è l’ex fidanzata di Joliet Jake, Twiggy, la supermodella degli anni ’60 e ’70, è la ragazza chic che parla con Elwood al distributore di benzina, il chitarrista degli Eagles Joe Walsh è uno dei carcerati alla fine del film, infine lo stesso Landis interpreta uno dei poliziotti.
Tenuto conto di tutto questo, The Blues Brothers non poteva non diventare un cult, eppure prova a pensare il film senza Belushi. Mi sbaglierò ma, nonostante tutte le star che primeggiano nel film, senza di lui sarebbe diventato un film per appassionati di rhythm’n’blues, che è già una gran cosa, ma non avrebbe raggiunto lo stesso pubblico.
Della morte di John Belushi già sappiamo tanto, se ne è parlato spesso e forse anche un po’ troppo. Per questo, nel festeggiare i suoi 72 anni e nell’augurargli buon compleanno, preferisco concentrarmi su tutto questo, su quello che ha fatto in vita e su ciò che è riuscito a regalarci in poco più di trent’anni. Tanti auguri John e grazie per averci insegnato a non prenderci troppo sul serio…