Dal debutto all’87esima edizione del Festival di Venezia, e la standing ovations per Angelina Jolie, il biopic sulla diva Maria Callas arriverà al cinema il 1 gennaio. Maria di Pablo Larraìn è una ricostruzione sugli ultimi anni della vita della cantante, un’ascesa tumultuosa dovuta ai vari problemi di salute e l’impossibilità di poter cantare di nuovo. Tutto è avvolto nella silenziosa ma affascinante Parigi, luogo di sfondo di ricordi e illusioni che vagheggiano nella mente della cantante.
Al suo fianco le due figure sempre presenti e care alla primadonna, il suo maggiordomo Ferruccio Mezzadri, interpretato da Pierfrancesco Favino e la sua domestica Bruna, alias Alba Rohrwacher.
Una vita che oscilla tra successo e disgrazie, dall’infanzia fino agli amori impossibili e non corrisposti. La diva che ha sfidato le leggi della musica, varcando ogni confine inimmaginabile grazie alla suo timbro acuto e dolce, incantando platee e conquistando consensi in tutto il mondo. Nata a New York, ma di origine greca per parte dei genitori, già a quattro anni era una prodigio al piano, un talento innato che ha coltivato e pagato a sue spese. Dalla Grecia, iniziano i privi provini, i primi spettacoli, e passo dopo passo Maria non si volta più indietro, il suo nome era destinato a brillare per sempre nell’Olimpo dei più grandi.
Maria di Pablo Larraín: è un biopic confuso e apatico
Una ardua scelta per il regista di Spencer, quella di raccontare la Callas la diva per eccellenza del panorama musicale. Un personaggio fuori dagli schemi, una vita disordinata e una sconfinata carriera solcata da successi e altrettanta sofferenza e solitudine. Il regista si sofferma proprio su questi due ultimi lati, che accompagnano Maria fino alla fine dei suoi giorni.
Pablo Larrain racconta la donna dietro alla primadonna, lo fa con tratti originali, un susseguirsi di atti teatrali dell’ultimo spettacolo di vita, che la Callas mette in scena prima della fine. Intrappolata dietro al personaggio, vive in agonia gli ultimi giorni, un’arrampicata verso la vetta con la speranza di ritrovare la Diva, che ormai si era pian piano eclissata con il passare degli anni.
Angelina Jolie mette in scena un’interpretazione unica e irripetibile. La sua professionalità mette in luce il profondo divario emotivo della soprana, tra atti fugaci d’ arte e gloria, a quelli di incertezza e intima solitudine. Nonostante le diverse peculiarità fisiche tra le due, impossibili da dilaniare, nonostante il trucco, l’attrice intona i panni dell’artista con pathos e squillante tormento.
Il lavoro di immedesimazione è evidente, tanto da meritarsi la candidatura al Golden Globes 2025 come miglior attrice in un film drammatico. Peccato, che la storia di Maria Callas sia catapultata da un’ inquadratura all’altra, senza uno spazio temporale che lasci intendere la vita di successi e glorie. Non c’è un filo presente e passato, il racconto sembra piatto senza confini di intervallo.
Tutto sembra proseguire in modo casuale, nella mente di Maria scorrono ricordi e piccoli momenti di una vita ricca di arte, dedita solo alla musica, che appaiono poco empatici e sintetici. Questa nostalgia è appesa su un filo che oscilla tra il racconto di una leggenda e quella della sua creatrice, la persona senza corazza, ovvero la sua voce e senza casa, il suo teatro. L’ennesimo buco cinematografico che si crea nell’intenzione di rappresentare una biografia che vacilla sempre tra l’anima e il suo alterego.
Maria: l’utilizzo psicologico del giallo, e il significato
La regia farfuglia in momenti dove è rappresentata l’arte e le esibizioni più grandi della Callas tra stile retro e in bianco nero, a riprese vivide a griglia di colori tendenti al giallo vibrante e tetro, che fanno da cornice alla pittoresca e taciturna Parigi.
Il significato psicologico che sta dietro la scelta di questa particolare palette cromatica visiva è il voler rappresentare sentimenti caotici e disillusi della Callas. Dall’insicurezza, all’ossessione con il quale rincorre il sogno disperato di tornare quella di una volta, e ancora la malattia che consuma il suo corpo e l’idillio mentale e sentimentale che la cantate ripercorre nelle piccole e strette vie parigine.
Al centro di Maria, non c’è la voglia di raccontare la giovane ragazza partita da zero, e arrivata in cima al mondo. Un ritmo sempre costante, un lavoro continuo e diligente che ha portato nella sua vita tanta gloria ma anche sofferenza.
Non ho bisogno dei soldi. Lavoro per l’arte.
Dall’infanzia, fino al grande amore con Aristotele Onassis, imprenditore americano, ex marito di Jackie Kennedy. L’incontro fatidico al festival di Venezia del 1954 e poi la relazione clandestina, che portò i due all’annientamento l’uno con l’altro. Tutti e due di origine greca, di successo e pieni di ambizioni. Anche se, lo stesso Onassis, all’inizio mostrava il trofeo ambito per fare un ulteriore scalata al jet-set internazionale, per poi opporsi all’idea della Callas di continuare a cantare. Un relazione tormentata, che ha raccontata Larrain in Maria, sottolineando la forza e la coesione che diva dimostra fino all’ultimo per l’arte, l’unico suo vero amore.
Ad aggiungersi al color grading è il blu, steso come carta da zucchero sulle inquadrature en plein air, ma soprattutto sulle sfumature delle vetrate della sua stanza. Un confine che segna la depressione della sua anima, e il freddo statico di quelle mura, piene di ricordi, sculture, vestiti ma vuoto di voce e sentimento.
Maria: la misteriosa figura del giornalista
A incuriosire, è l’intersezione di un’intervista a cui la Callas accetta di sentenziare. Man mano che il punto di vista, e la ricostruzione oggettiva della donna continua, vi si accorge che invece è un suo personale sradicamento della verità e una ricercata ricostruzione della sua autobiografia. La mente in questo caso, grazie ai numerosi antidepressivi che assumeva, giocava brutti scherzi e nella sua visione forse più lucida appariva questo giovane ragazzo intento a intervistarla. Mentre passeggiano per le strade di Parigi, mentre sono nella lussuosa villa all‘Avenue Georges Mandel 36° e davanti al romantico e pungente Ponte di Bir-Hakeim.
Una chiave interessante che fa da collante alla possibilità della diva di raccontarsi e scrivere la sua autobiografia da sola. Il personaggio sembra rispecchiare il regista, che si catapulta nell’immaginario filmico e capta l’irreale sogno di poter parlare e consultarsi con la primadonna. Scavare nelle verità più nascoste e ritornare dietro la cinepresa con una consapevolezza in più. Tutto ciò che è raccontato divaga dalle intenzioni personali e sfocia in un’ ipotetica costruzione del personaggio, che non è solo artefatto di una categoria ma è essere e principio.
Maria: una vita di gloria sfociata nella solitudine
Ad aggiungersi alla ricostruzione potente della donna come Maria è il quadro familiare ricostruito dalle figure del suo autista Ferruccio che è Pierfrancesco Favino e Bruna, Alba Rohrwacher. Le persone che hanno segnato in modo più eloquente ma allo stesso tempo amorevole, gli ultimi anni della Callas. L’interpretazione di Favino è traslata in un rapporto quasi protettivo, come un padre. Bruna si occupa della casa e vige silenziosamente sui due.
Gli ultimi che saranno i protagonisti di uno spettacolo senza paragoni, la fine di una Diva e la nascita di Maria. Un rapporto commovente che fa scaturire tutte le fragilità e i dubbi della donna, che vede porsi davanti a sè con uno dei periodi più difficile della sua vita.
Maria: Angelina Jolie racconta l’altra parte della Diva
Un viaggio confuso, quello di Pablo Larraín, che ci catapulta caoticamente nella vita della Callas. Da un’emotività all’altra, ci mostra a tratti la carriera artistica della primadonna, cui ha segnato la sua più grande motivazione di vita. Un motore sempre accesso che però inizia man mano a non funzionare soprattutto quando il sipario cade. Una biografia alla rinfusa, che mostra poco dell’infanzia della giovane Maria se non la sua tragica mercificazione per mano della madre ai soldati tedeschi.
Una disomogeneità nel racconto che perde di empatia verso la grande figura, che vien mostrata solo nella tragica e sofferente fine. Infatti proprio il film riparte dalla fine, dal ritrovamento del suo cadavere. Una morte causata da un’arresto cardiaco. Il tutto segue un processo lento, poetico e agognante. Il ritmo è silenzioso, statico e percorre la lenta esplorazione della Jolie del personaggio.
Un biopic che non racconta ne Maria e ne la Callas, ma la fine di una donna, per quanto orgogliosa e ostinata, in solitudine e tragedia. A salvare la penosa messa in scena di Larrain è la Jolie, che nonostante la trasformazione straordinaria, rimane comunque troppo dissomigliante. L’ impegno c’è anche nell’ interpretazione delle meravigliose opere tra cui Carmen e O mio Babbino caro, dove l’attrice premio Oscar si imprrovvisa soprana in un ardua e complicatissima sfida.
Ho provato per sette mesi, non avevo mai cantato prima. Sono partita da zero, dando tutta me stessa con dedizione e disciplina. La prima volta che ho cantato c’erano i miei figli ad ascoltarmi insieme al regista Pablo Larraín, hanno bloccato le porte per far in modo che nessun altro entrasse. Poi da una piccola stanza sono passata a provare nel tempio della musica, il Teatro alla Scala di Milano. -Angelina Jolie
Così la Jolie ha descritto l’esperienza con l’opera, e il suo avvicinamento al personaggio di Maria Callas. Sicuramente, l’unica che poteva farlo, e che sarebbe riuscita ad entrare in profonda sintonia con la primadonna. Un lavoro eccezionale, che gli è costato mesi di prove, di lezioni che lei dice di aver preso proprio dalla Callas stessa:
Mi sono avvicinata a lei ascoltandola. Lei insegnava e ci sono delle sue registrazioni mentre lo fa. Quindi posso dire di essere stata fortunata perché ho avuto proprio la Callas come insegnante. La cosa che mi rendeva nervosa e mi preoccupava era soprattutto essere all’altezza e non deludere i fan della Callas, coloro che l’hanno sempre amata.
Nonostante l’ottimo lavoro di Angelina Jolie nei panni della protagonista, è evidente la contrapposizione di stili in regia che tolgono la continuità della finzione e la caotica ricostruzione di Maria, che sicuramente era altro, oltre alla tragica fine della sua carriera. Nel film non vien mostrato la Donna che nonostante tutto ha vinto, dedicando la sua vita all’arte, la sua unica cura ma anche pena.
Maria, Pablo Larrìn e il suo scopo di trasformare i suoi soggetti in martiri
Il regista ha scelto di focalizzare la sua ricostruzione della diva, sulla parte più fragile, che però non rappresenta a pieno Maria ma solo il periodo dove la donna era completamente persa, in uno stato di solitudine e caos più totale.
Il passato torna ad emergere come un fiume in piena portando con sé tutto quello che ha spezzato la giovane Maria. Interessante e introspettivo è il dialogo avvenuto con la sorella Yakinthi, interpretata da una somigliante e vibrante Valeria Golino. Un’incontro che forse racchiude tutto l’obiettivo di Larrain che si è perso troppo sul lato oscuro del personaggio, quasi sempre troppo difficile da riportare sullo schermo e troppo intimo. Aveva fatto questo anche per la storia di Lady Diana, concentrando tutto il potere filmico sulla tragedia e travagliata vita della principessa.
Questa volta però porta in scena una leggenda, che ha cambiato le sorti della musica, una diva che troppo spesso è stata dimenticata e sepolta nei libri. Il modo cui è stata raccontata è superfluo, e non incide ne nella volontà di raccontare il personaggio e ne in quella di raccontare la donna dietro l’archischermo. A salvare in corner è la pietosa e magistrale interpretazione della Jolie, che sembra far sviare un pò dalla confusione generale della struttura registica e tecnica. Trasformare la stessa rappresentazione di Maria in atti teatrali distrae dall’intento di rendere reale e puro il suo ritratto.
Ci sono due persone in me. Mi piacerebbe essere Maria, ma devo vivere all’altezza delle aspettative della Callas.
Maria Callas: anche Monica Bellucci e Luisa Ranieri l’hanno interpretata
Sapevi che anche Monica Bellucci e Luisa Ranieri hanno interpretato la grane Diva? La prima lo fa Maria Callas: lettere e memorie (2023), un docufilm diretto da Tom Volf e Yannis Dimolitsas che segue il tour internazionale dello spettacolo teatrale di Volf Maria Callas: lettere e memorie. (disponibile su Mubi).
E l’altra attrice, alias Luisa Ranieri interpreta la cantante in una piccola miniserie in due puntate del 2005:Callas e Onassis, dove al centro c’è la tormenta storia dei due, durata ben nove anni. (disponibile su Mediaset Infinity)