Blow-Up è un film del 1966, vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1967. Realizzato dal regista Michelangelo Antonioni, ad oggi è forse una delle pellicole più celebri del regista di fama internazionale. Il film trae ispirazione dal racconto breve La bava del diavolo dell’argentino Julio Cortázar, ma lo stesso regista ha dichiarato di aver preso solo spunto dall’opera per poi distaccarsene completamente, riprendendo esclusivamente il tema della fotografia e rivisitandolo, proponendone una prospettiva inedita.
Blow-Up: di cosa parla?
Thomas (interpretato da David Hemmings) è un fotografo di spicco nel campo della moda ma, ormai annoiato dalle solite modelle, vuole dedicarsi alla realizzazione di un fotolibro che narri uno spezzato della vita londinese. Londra fa da sfondo alle vicende narrate: una città piena di vita e ricca di personaggi eccentrici che popolano le strade, tra cui un gruppo artistico di mimi, persone che protestano per la pace, modelle super sensuali che sono disposte a tutto pur di farsi fotografare da Thomas. Tuttavia la vita dell’uomo verrà stravolta da uno strano incontro con una donna misteriosa al parco, in particolare dalle foto scattate in quell’occasione, da cui emerge un’oscura verità che porterà il protagonista a dubitare del reale.
Analisi e Riflessioni
Tema pregnante della pellicola è il rapporto tra verità ed immagine: non tutto appare per ciò che è davvero. La fotografia, forma d’arte che per eccellenza ritrae la realtà, si svela poi essere un mezzo che non consente di carpire i fatti nella loro verità, sempre più labile e sfumata, incerta. Perché in fondo non vediamo davvero ciò che ci circonda se non attraverso un filtro, attraverso ciò che vogliamo vedere, e non siamo in grado di andare oltre: nulla è oggettivo e tutto è estremamente relativo. Così anche la fotografia, che dovrebbe rappresentare fedelmente la realtà, non riesce più in tale scopo, le immagini non sono nitide e comunque interpretate da un occhio che vuole vedere solo ciò che vuole, senza lasciare spazio alla verità, forse più difficile da accettare.
Depersonalizzazione
Durante la prima metà del film emerge chiaramente la sensualità della fotografia, del rapporto che esiste tra l’artista e lo strumento, che va al di là del soggetto fotografato. Thomas sembra un personaggio apparentemente circondato da molte persone, le donne cadono ai suoi piedi, ma in realtà si rivela essere un uomo estremamente solitario e dedito alla sua arte, l’amore per la propria macchina fotografica va al di là di qualsiasi altro sentimento che si potrebbe provare per una persona. Lo stesso atto della fotografia è un atto sessuale. L’uomo vive in un costante stato di eccitazione ogni qual volta si ritrova a svolgere il proprio lavoro, che si tratti di ritrarre modelle, ma anche semplicemente un parco, la natura, la vita londinese. Thomas è infatti stanco di dedicarsi alle foto di moda e preferisce altri soggetti, più naturali e spontanei, più veri, pianifica di lasciare la grande metropoli che a lui non ha dato nulla.
Proprio per tale motivo l’uomo si reca al parco per scattare una serie di fotografie, di cui protagonista sarà una coppia colta di sorpresa. La donna, scoperti gli scatti rubati, seduce Thomas affinché le dia quel rullino ma, data la sua insistenza, il fotografo comprende che forse vi era di più di una semplice coppia al parco, la cui quiete era solo apparente. A seguito dello sviluppo del rullino vi è una lunga ed interessante sequenza durante cui Thomas realizza una serie di ingrandimenti, osservando analiticamente le immagini rubate per comprendere il segreto della donna. Scopre così una vera e propria narrazione che emerge dalle fotografie, che in ordine cronologico raccontano un’orribile verità che si è consumata sotto gli occhi dello stesso protagonista che però, attraverso l’obiettivo della fotocamera, non aveva notato, rendendosene conto solo in un secondo momento. Da qui si instaura il gioco ed il contrasto tra apparenza e realtà, portando Thomas, così come noi spettatori, a dubitare di quanto visto e ad interrogarci su cosa fosse reale e cosa no.
Destrutturazione della realtà
Fondamentale è quindi il rapporto tra la realtà e l’apparenza, ciò che appare perché i nostri occhi vogliono vedere determinate cose piuttosto che altre. Uno sguardo soggettivo tradito dai nostri pensieri e le nostre convinzioni. Al contempo però la stessa macchina fotografica è priva di oggettività, diviene solo lo strumento attraverso cui Thomas osserva il mondo, sempre però assecondando la propria prospettiva e senza dunque guardare ciò che è la realtà. Una realtà che viene dunque ricostruita soltanto a seguito di un’attenta osservazione degli scatti, eppure una verità irraggiungibile, labile, sbagliata.
Interessante è il rapporto con l’amico artista ed i mimi, che sono personaggi fondamentali per la lettura ed interpretazione degli eventi. Innanzitutto l’artista, che parla dei suoi dipinti di cui è costantemente insoddisfatto. Si tratta di dipinti apparentemente astratti, dalle pennellate filamentose che rimandano a correnti artistiche quali il futurismo ma anche l’impressionismo e il puntinismo: la peculiarità di queste opere sta nel fatto che, come affermato dall’autore, al primo sguardo non rappresentano nulla, eppure dopo un certo arco di tempo passato ad osservarle, è possibile scorgere degli elementi, quali ad esempio, una gamba, un uomo. Il concetto così espresso diviene essenziale per l’interpretazione degli ingrandimenti delle foto. Si tratta di immagini estremamente poco chiare, molto confuse, specie a causa delle linee della vegetazione, nonché la grana della foto: è tutto poco nitido, come i dipinti dell’artista. Solo dopo del tempo passato ad analizzarle sarà possibile scorgere delle immagini alquanto inquietanti, che in realtà sono indistinguibili e meramente frutto dell’interpretazione di Thomas.
Infine subentra il gruppo di mimi, i quali al termine della pellicola inscenano una partita di tennis. L’intervento dei mimi è esplicativo dal momento in cui questi simulano la presenza di racchette e palla da tennis, i rumori di una partita, senza che però vi sia qualcosa di reale. La palla esce fuori dal campo e Thomas viene mandato a riprenderla. Lui sta al gioco e mima l’atto di raccogliere la pallina immaginaria e di rilanciarla nel campo. Qui il momento di svolta e di realizzazione: quella palla non c’era mai stata così come forse anche quanto scoperto dalle foto non era realtà, ma solo il frutto dell’immaginazione dell’uomo. Da qui l’analisi della finzione e della labilità del reale: il limite della ragione ad accettare la realtà, che va al di là della nostra comprensione ed un qualsiasi tentativo di interpretazione risulta futile in quanto la verità continuerà sempre a sfuggirci, inafferrabile.