Giorni perduti (The Lost Weekend)
Regia: Billy Wilder; soggetto: dal romanzo di Charles R. Jackson The Lost Weekend; sceneggiatura: Charles Brackett & Billy Wilder; fotografia: John Seitz; scenografia: Hans Dreier, A. Earl Hedrick, Bertram C. Granger; costumi: Edith Head; colonna sonora: Miklós Rózsa; montaggio: Doane Harrison; interpreti: Ray Milland (Don Birnam), Jane Wyman (Helen St. James), Philip Terry (Wick Birnam), Howard Da Silva (Nat), Doris Dowling (Gloria), Frank Faylen (“Bim” Nolan), Mary Young (sig.ra Deveridge), Anita Sharp-Bolster (sig.ra Foley), Lilian Fontaine (sig.ra St. James), Lewis L. Russell (Charles St. James), Frank Orth (guardarobiere); produzione: Charles Brackett per Paramount Pictures; origine: USA – 1945; durata: 101′.
Trama
New York, nel dopoguerra. Don Birnam (Milland) è in partenza da New York per un weekend in campagna con il fratello Wick, quando quest’ultimo scopre una bottiglia di whisky nascosta fuori dalla finestra: la vena creativa di Don si è esaurita ed è diventato un alcolista nonostante i tentativi di aiutarlo del fratello e della sua ragazza Helen (Wyman). Con una scusa riesce rimandare il viaggio e trascorre il pomeriggio ad ubriacarsi al bar di Nat, ma quando rincasa Wick è già partito e Don entra nell’appartamento di nascosto da Helen che lo sta aspettando fuori. Il mattino seguente torna al bar dove dà un appuntamento a Gloria, una ragazza squillo innamorata di lui. Mentre beve, racconta al barista di come si sia innamorato di Helen tre anni prima grazie a un contrattempo avvenuto alla Metropolitan Opera House. Quando i genitori di Helen giunsero dall’Ohio per conoscerlo, Don annullò l’incontro al’ultimo momento con una scusa e finì per ubriacarsi. Fu in quell’occasione che la ragazza scoprì il dramma di Don, al quale promise di combattere con tutte le sue forze per farlo smettere di bere.
Don rientra nel suo appartamento determinato a scrivere la storia della sua vita, ma il bisogno di bere ha di nuovo il sopravvento. Esce e tenta di rubare una borsetta. Fallisce, ma tornato a casa scopre e finisce una bottiglia che aveva dimenticato di aver nascosto nel lampadario. Don prende quindi la sua macchina da scrivere per impegnarla, solo per scoprire che tutti i banchi dei pegni sono chiusi per lo Yom Kippur. Disperato, torna da Nat implorandolo per un drink ma il barista lo butta fuori. Alla fine riesce a farsi dare un po’ di soldi da Gloria, ma mentre se ne va cade rovinosamente da una rampa di scale e si risveglia in ospedale, nel reparto alcolizzati, dove i pazienti vengono rinchiusi contro la loro volontà. Il cinico infermiere “Bim” Nolan lo informa di ciò che lo aspetta: il delirium tremens, causato dall’astinenza che gli provocherà terribili allucinazioni. Durante la notte Don riesce a fuggire dall’ospedale e rientra a casa, dopo essersi fatto consegnare sotto minaccia una bottiglia di whiskey da un negoziante.
Si scola l’intera bottiglia e, addormentatosi, cade in preda di incubi terribili, nei quali viene attaccato da pipistrelli e topi. Udite le sue urla, la padrona di casa chiama Helen che si precipita da lui e cerca invano di tranquillizzarlo. Umiliato,Don decide di farla finita:riscatta una pistola e scrive un ultimo messaggio per il fratello. Helen tuttavia è ancora determinata a salvarlo e, dopo aver scoperto l’arma, lo implora di non sacrificare lo scrittore per l’alcolizzato. Proprio in quel momento Nat bussa alla porta e restituisce a Don la macchina da scrivere che aveva perduto il giorno dell’incidente. Ora Don ha il finale del suo romanzo e può provare a scrivere la storia del suo tragico weekend, ricominciando una nuova vita circondato dalle persone che ama e lontano dall’alcool.
La rivincita di Wilder
Nel 1944 Billy Wilder ha girato uno dei migliori noir della storia, La fiamma del peccato consacrando al ruolo di dark lady Barbara Stanwyck. Lodato perfino da Alfred Hitchcock (“Dopo ‘La fiamma del peccato’ le due parole più importanti della storia del cinema sono ‘Billy’ e ‘Wilder’) nella corsa all’Oscar si è visto soffiare tutti i premi dallo svenevole La mia via. Ancora irritato, il regista si mette alla ricerca di una storia che possa regalargli la meritata consacrazione.
La trova nel romanzo Giorni perduti, che adatta per il grande schermo insieme col vecchio amico Charles Brackett, particolarmente coinvolto perchè ha sposato una donna affetta da dipendenza dagli alcolici, al suo fianco anche come produttore. Pronto il copione resta da convincere la Paramount, con la quale i due sono sotto contratto: la storia del dramma di uno scrittore alcolizzato desta molti dubbi nella casa produttrice (che riceverà pressioni dai lobbisti dei liquori per non farlo uscire: il proibizionismo è ancora vivo nella loro memoria) che vorrebbe come protagonista Josè Ferrer, per la sua faccia da bravo ragazzo, ritenuta perfetta per attirare gli spettatori nonostante l’argomento sgradevole affrontato nel film. Pugnace come sempre, Wilder risponde picche e sceglie invece Ray Milland, attivo nel cinema dal 1929, che con lui ha già lavorato. La prima ha luogo a Londra e il responso di pubblico e critica è eccezionale. In Francia Giorni perduti vince il Grand Prix du Festival a Cannes e Ray Milland è premiato per la miglior interpretazione maschile. L’attore bissa il successo ai Golden Globe dove Giorni perduti, che in patria incassa 11 milioni di dollari, conquista l’alloro di miglior film drammatico e Wilder è eletto miglior regista. Il successo non porterà fortuna a Milland che, in una lunga carriera, non riceverà più neppure una candidatura. Tornando a Giorni perduti, la pellicola si presenta alla notte delle stelle con sei nomination e buone possibilità di affermarsi, nonostante siano presenti in concorso avversari temibili.
Il racconto del redattore
Alla vigilia della cerimonia sono due gli interrogativi che tutti si pongono: Wilder si prenderà la rivincita dopo la batosta dello scorso anno? E soprattutto, riuscirà Joan Crawford a conquistare il suo primo Oscar? Nella cinquina dei finalisti il film che vede protagonista l’attrice è Il romanzo di Mildred diretto da Michael Curtiz: il regista di Casablanca avrebbe voluto Bette Davis per il ruolo e quando gli viene proposta la Crawford, ormai ferma da tre anni, sbotta sarcastico: “Non perdo il mio tempo con una ex”. A film ultimato si scuserà: nei panni di una moglie borghese innamorata dell’uomo sbagliato che si autoaccusa di omicidio pur di salvare la figlia, l’attrice offre una delle prove più intense della sua carriera e vince, imponendosi su colleghe amatissime dal pubblico come Greer Garson (La valle del destino), Ingrid Bergman (Le campane di Santa Maria, finalista e vincitore di un solo premio per il suono) e Jennifer Jones, oltre che sulla rivelazione Gene Tierney, formidabile nel campione d’incassi Femmina folle di John M.Stahl (un trofeo per la fotografia a colori). Joan Crawford non è presente in sala:per la paura di non farcela si è data malata. Riceve la statuetta in sua vece proprio Michael Curtiz che si affretta a consegnargliela nella residenza hollywoodiana della diva, opportunamente circondata dai fotografi.
Altro finalista è Io ti salverò di Alfred Hitchcock, thriller psicanalitico con protagonisti Ingrid Bergman e il semisconosciuto Gregory Peck, interprete di John Ballantynes, un uomo affetto da amnesia che si finge nuovo direttore della clinica, temendo di aver ucciso il vero medico di cui ha preso il posto; il film termina la corsa con un solo Oscar al compositore Miklós Rózsa, che cura quell’anno anche le musiche di Giorni perduti. Chiude l’elenco dei finalisti il frizzante musical Due marinai e una ragazza, che è ricordato per l’esordio di Gene Kelly, erede a buon diritto di Fred Astaire. Oltre a quest’ultimo e a Peck l’altro volto nuovo che il pubblico imparerà a conoscere è quello di Elia Kazan, che dirige il valido Un albero cresce a Brooklyn, storia d’immigrazione che regala una statuetta all’attore non protagonista James Dunn. Due riconoscimenti vanno al montaggio e all’attrice non protagonista Anne Revere per lo spettacolare Il Gran Premio. Alla fine della serata il film di Wilder è il più premiato,con quattro Oscar al miglior film, all’attore protagonista e a Wilder come regista e come sceneggiatore, quest’ultimo in compagnia del già citato Charles Brackett.
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