Spesso si va alla ricerca di un film che non ci faccia pensare o riflettere, ma che anzi ci accompagni per un paio d’ore in leggerezza con una storia semplice ma accattivante e che ci strappi più di un sorriso, meglio se cullati da un cast eccezionale, una musica gradevole e una serie di trovate originali e spiritose. Se non ti è mai capitato di vedere Grand Budapest Hotel (2014) sarebbe, oltre che un piccolo imperdonabile peccato cinefilo, un errore a cui rimediare quanto prima perché questo film è uno scrigno di poesia e bellezza.
Presentato all’apertura della 64° edizione del Festival del Cinema di Berlino, dove si aggiudicò il Gran Premio della Giuria, Grand Budapest Hotel vinse quattro premi Oscar su nove candidature: costumi, trucco, scenografia e colonna sonora, oltre a molti altri riconoscimenti.
Diretto da Wes Anderson, il cast che ha partecipato al film è veramente stellare: Ralph Fiennes/ Monsieur Gustave H., Tony Revolori/ Zero Moustafa da giovane, F. Murray Abraham/ Zero da anziano, Jude Law/ autore da giovane, Tom Wilkinson/ autore da anziano, Saorsie Ronan/ Agatha, Adrien Brody/ Dmitri Desgoffe und Taxis, Willem Defoe/ J.G. Jopling, Edward Norton/ ispettore Henkels, Jeff Goldblum/ Kovacs, Mathieu Amalric/ Serge X, Harvey Keithel/ Ludwig, Tilda Swinton/ Madame Celine Villeneuve Desgoffe und Taxis (Madame D.), Jason Schwartzman/ M.Jean, Léa Seydoux/ Clotilde, Owen Wilson/ M. Chuck e Bill Murray/ M. Ivan.
“Così ebbe inizio la mia vita: apprendista fattorino d’albergo sotto il rigido dominio di Monsieur Gustave H. La maggior parte dei più stimati e illustri ospiti veniva per lui… Divenni il suo pupillo e lui doveva essere il mio consigliere e tutore.” Zero Moustafa
Nel 1985 uno scrittore ripercorre con un documentario la storia di come ha scritto Grand Budapest Hotel, un best seller che gli ha donato popolarità e successo. All’inizio del racconto ci ritroviamo nello splendido hotel tra le montagne innevate di Zubrowka, una zona immaginaria situata nell’est Europa, nel 1968, albergo ora gestito da un anziano di nome Zero Moustafa, il quale assiste impotente al decadimento e alla prossima chiusura del Grand Budapest Hotel a causa del comunismo. Durante una cena, Zero accetta di narrare all’autore del libro gli eventi che lo hanno portato a diventare il proprietario dell’hotel, e così ci ritroviamo catapultati nel 1932.
Durante quegli anni il Grand Budapest Hotel era la meta della nobiltà europea, anch’essa in lenta decadenza, ma soprattutto di anziane ricche e sole le quali non disdegnano, ma anzi è la spinta principale del loro soggiorno nell’hotel, la compagnia di Monsieur Gustave H, concierge raffinato ed elegante, egocentrico ed eccentrico, amante della poesia e puntiglioso nel suo lavoro e nei suoi insegnamenti al giovane lobby boy Zero. Un giorno Madame D, una delle ricche ospiti dell’albergo e una delle tante amanti di Monsieur Gustave, confida al consierge di temere per la propria vita e infatti, al suo rientro alla fastosa villa, l’anziana viene ritrovata morta.
Alla lettura del testamento di Madame D non manca alcun parente, tutti speranzosi di avere una fetta di quel ricco patrimonio, ma tutti resteranno di sasso quando l’avvocato annuncia che il famoso dipinto Ragazzo con mela è stato donato a Monsieur Gustave presente alla lettura con il suo giovane lobby boy. Temendo che le proteste dei parenti gli impediscano di avere il quadro, temendo la determinazione mostrata da Dmitri, il figlio di Madame D, per tenerselo, ma soprattutto temendo di non aver la possibilità di ammirarlo e goderselo a suo piacimento, il concierge lo ruba e insieme a Zero rientrano al Grand Budapest Hotel, dove nascondono il prezioso tesoro.
Mentre il giovane lobby boy si innamora di Agatha, una dolce pasticcera con una voglia rossastra “a forma di Messico” sulla guancia, e le confida dove è nascosto il prezioso quadro, Monsieur Gustave viene arrestato con l’accusa di aver assassinato Madame D. Il concierge riesce a fuggire dal carcere grazie all’aiuto della giovane coppia e insieme si recano in una località isolata per incontrare Serge X, ex maggiordomo di Madame D creduto morto, il quale rivela loro l’esistenza di un altro testamento ma, prima che l’uomo possa rivelare l’ubicazione dello scritto, viene ucciso da Joplin, un killer inviato da Dmitri.
Una volta sfuggiti al criminale, i tre tornano al Grand Budapest Hotel per recuperare il quadro dal nascondiglio, azione resa più complicata dalla presenza dei militari e del pericoloso Dmitri alla disperata ricerca del concierge. Alla fine, per un caso fortuito, sarà Agatha a scoprire dove è nascosto il testamento di Madame D, la quale ha lasciato in eredità tutti i suoi averi a Monsieur Gustave e diseredato tutti i parenti, e finalmente tutto sembra andare per il verso giusto. Zero e Agatha si sposeranno e il giovane diventerà il degno successore di Monsieur Gustave, ma il lieto fine non ci sarà per nessuno di loro…
“Francamente penso che il suo mondo fosse svanito molto prima che lui vi entrasse, ma devo dire che lui vi sostenne l’illusione con grazia magistrale.” Zero Moustafa
Personalmente non perdo l’occasione di rivedermi questo piccolo capolavoro, una fiaba noir geniale, elegantemente diretta in cui è impossibile trovare un difetto. La sinergia, la complicità tra i due protagonisti principali, Fiennes e Revolori, è incredibilmente perfetta, questi due attori che si muovono sulla scena in sintonia, i loro scambi di battute, le loro azioni rendono i loro personaggi impossibili da non amare.
Ma alla fine, visto anche il cast eccezionale, tutti gli attori sono perfetti nel loro ruolo che viene caratterizzato in maniera estrema e surreale, anche quando scendono in campo i militari delle ZZ, chiaramente un richiamo, anche nei modi, a quello che è stato il nazismo, deboli di cervello ma estremamente attivi quando si tratta di sparare ed essere prevaricatori o violenti.
Grazie anche alla scelta di Anderson di utilizzare una diversa aspect ratio (rapporto d’aspetto: il rapporto matematico tra altezza e larghezza di un rettagolo o di un’immagine) per differenziare i vari periodi storici, per il 1932 1,37:1, per il 1968 il 2,35:1 Cinemascope e per i giorni nostri 1,85:1, formati presenti nelle epoche corrispondenti, il film è un viaggio nel tempo vissuto come spettatori di altri tempi.
Accompagnati da un’incalzante colonna sonora che accompagna le azioni che vediamo sulla scena, il film dipana la sua trama in ambientazioni dai colori forti e accesi quando ci troviamo nell’elegante hotel, ma quando l’azione diventa minacciosa, i colori si spengono e si ingrigiscono appesantiti, oppure scene che sembrano delle semplici cartoline animate in cui gli elementi si animano come diorami. Tutto nel film è esagerato e quasi caricaturale, i personaggi, le sgargianti uniformi, gag surreali, le innumerevoli decorazioni barocche disperse tra porpora e oro, con un evidente richiamo alle cartoline pubblicitarie degli anni 30, tutto questo compongono un coctkail che rende Grand Budapest Hotel un piccolo capolavoro visivo.
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