Dal 16 luglio in sala, possiamo ammirare la versione restaurata di un capolavoro di Derek Jarman, Il Caavaggio.
Pioniere dei diritti LGBT in Inghilterra, Derek Jarmanè stato un’artista poliedrico: regista, scenografo, autore di videoclip per i Pet Shop Boys e pittore.
Poi la prematura scomparsa nel 1994 per AIDS. Negli anni ’80 i suoi film colti e raffinati hanno indagato l’omosessualità da una prospettiva filosofica e artistica, e Caravaggio – uscito nel 1986 – è da considerarsi l’apice creativo del cineasta inglese.
In questa biopic, il regista non si concentra su elementi che potremmo definire canonici e fondamentali in una pellicola, come l’assoluta fedeltà nel racconto della vita del protagonista o la coerenza scenica fra epoca rappresentata e ambientazioni.
La pellicola è molto di più, e se ci può sembrar strano vedere Caravaggio in un bar con luci elettriche e in sottofondo una telecronaca sportiva, o vedere spuntare una calcolatrice e una macchina da scrivere, o camerieri vestiti di modernissime livree bianche e sentir pronunciare espressioni come “gigolò”, è invece quanto meno geniale che i capolavori del Merisi divengano vere e propri tableau vivant; i quadri diventano vivi, sono vivi, nel corpo e nell’anima.
Scenografie essenziali e teatrali, di fortissimo impatto e di grande audacia e uno sguardo ironico che non guasta, con una satira non risparmia i protagonisti; letto in quest’ottica il Caravaggio di Derek Jarman non vuole essere una biografia fedele, ma un omaggio sincero e geniale all’intima natura che ha trasformato l’artista in una leggenda, regalandolo all’immortalità del tempo.
La genesi del film non è stata affatto semplice, e come la vita del protagonista, anche questo progetto è stato duro e tormentato, nato da una gestazione lunga sette anni e con una sceneggiatura riscritta ben 17 volte.
Jarman, prendendosi libertà poetiche, imposta la narrazione sul triangolo amoroso tra Caravaggio (Nigel Terry), Lena (Tilda Swinton) e Ranuccio (Sean Bean) e sull’impiego da parte dell’artista di gente di strada, ubriachi, prostitute come modelli per i suoi quadri intensi ed espressivi, generalmente di carattere religioso, ma non solo.
Il rumore del mare che si ode all’inizio, è quasi terapeutico, ispira pace, tranquillità e il maestro moribondo per la malaria, su un letto sudicio, sembra quasi sollevato da quel suono soave
“e il naufragar m’è dolce n questo mar”
Direbbe qualcuno.
L’ambiente non rispecchia totalmente l’epoca appunto, colori troppo vivi forse proprio come il verde brillante di Medusa che diviene gioco per Jerusalem bambino, fortunato lui.
Accanto a quel letto di morte, vediamo proprio il suo servo muto Jerusalem, ormai adulto, acquistato dalla famiglia ancora bambino.
Il film alterna momenti della vita a momenti del fine vita di Caravaggio, mostrandoci un giovanissimo ma già bravissimo apprendista, che nelle sembianze ricorda uno scugnizzo napoletano, venderei suoi capolavori per strada: nature morte e ritratti che potrebbero valere più di un corpo , ma al giovane Caravaggio il vizio piace.
“Ho trovato la divinità nel vino e l’ho portata nel mio cuore. Mi sono ritratto come Bacco e ne ho condiviso il destino: un furioso smembramento orgiastico… il genio di un uomo, determina il suo destino”
Così scopriamo che l’incarnato verdastro di Bacco, è dovuto ad un periodo di malessere di Michelangelo Caravaggio.
Il suonatore di liuto barattato per un pugnale… curioso vero?
“Voi sapete che v’amo”
Recita la partitura, romantica e appassionata.
Quasi non si nota la differenza fra quello che è il modello, la realtà e ciò che viene impresso sulla tela, pennellata dopo pennellata, e prendono così vita i Musicisti, commissionati a Roma dal cardinale Francesco Maria Del Monte, personalità influente e molto affezionato all’artista, tanto da avere nei suoi confronti, forse, qualche attenzione particolare.
https://www.youtube.com/watch?v=MJ23s2XGRYk&list=RDMJ23s2XGRYk&start_radio=1&t=17
Il moribondo ogni tanto urla, sparla, ha delle visioni, forse vaghi ricordi di quello che è stato, di qualcosa o qualcuno che ha ispirato i suoi dipinti, come Ranuccio, che in una scena, mentre gioca a carte, ricorda uno dei bari, un vero colpo di fulmine verso quel giovane bello e biondo, proprio nel momento in cui pensava che la sua pittura stesse naufragando.
“Attraverso il dubbio arriva l’intuizione”
Una vita vissuta con passione, nel vizio e nella lussuria; amori saffici e desideri sessuali appagati si mescolano ai pigmenti di colore che creano capolavori.
“Ho cercato colui che il cuore ama, l’ho cercato ma non l’ho trovato, l’ho chiamato ma non ho avuto risposta”
Ma Caravaggio, lo sappiamo, con il tempo diviene un uomo, con il suo caratteraccio, così quando nel 1592 Michelangelo Merisi è appena arrivato a Roma, risiede nel quartiere Campo Marzio, in una minuscola umida stanza al secondo piano di una costruzione che oggi non esiste più, fino a quella drammatica domenica del 1606, quando sarà costretto a lasciare la città accusato di aver ucciso Ranuccio durante una partita di pallacorda.
Eppure quel Ranuccio, quel Ranuccio da Terni sembrava davvero non sapere chi avesse di fronte, quella sera. Non sapeva forse che di lui si diceva che a Milano, poco più che bambino, avesse ucciso per una bravata un suo compagno di giochi, e che per questo fu rigettato dalla famiglia, se ne venne a Roma a tentare la fortuna come pittore.
Un anno prima, poco ci mancava che non ammazzasse il notaio d’Accumolo, che passava con troppa insistenza sotto le finestre della sua Lena.
Ed è proprio sul triangolo amoroso Ranuccio, Lena, Caravaggio che si concentrano molte scene, facendoci vedere ora l’una, ora l’altra faccia dell’amore.
Diverse volte viene citato Pasqualone , trattasi di Mariano Pasqualone:
“Il tempo non si ferma per nessno, nemmeno per il sole, dice Pasqualone”
che Caravaggio, aggredì con una scure. Questo gli costò il dover lasciare Novara per fuggire a Genova dopo aver realizzato la Madonna dei pellegrini utilizzando come modello Maddalena Antognetti detta Lena, sua probabile amante e desiderata da Pasqualone, lo stesso Pasqualone che, in uno dei deliranti monologhi da moribondo, diviene oggetto di fantasie erotiche, solo sognate?
Incredibile la scena che per qualche secondo resta immobile con la tavola imbandita, i camerieri, il Cardinale ed il suo commensale…sembra, anzi è un quadro; la coppa di frutta sul tavolo sembra davvero nascere dalla sapiente combinazione di pennellate e pigmenti da parte del Merisi.
“a volte gli elementi più incompatibili possono accordarsi alla perfezione”
Proprio come le fragole con il pepe, proprio come un animo ribelle e spregiudicato come quello di Caravaggio e le sue rappresentazioni del Sacro, il San Matteo da un lato e L’amor profano dall’altro.
Il “secondo Michelangelo” viene descritto come un depravato dall’uomo con tanta accuratezza pigia i tasti sulla macchia da scrivere, immerso nella sua vasca da bagno.
Si resta davvero senza fiato dinanzi all’assoluta naturalezza di quelle labbra, che sembrano vive ma in realtà non lo sono… prende vita invece La morte della Vergine, ma è Lena ad essere morta, annegata nel Tevere, ed i sospetti di Michele sono rivolti a Tommasoni, così come la sua vendetta.
Fonte di ispirazione prediletta, nell’ultimo periodo romano è proprio quella cortigiana, allo stesso tempo così amata e odiata da Caravaggio, modello di altre tre opere: La Madonna dei Pellegrini, La Madonna dei Palafrenieri e Maria Maddalena in estasi nonostante il Concilio di Trento avesse vietato di utilizzare immagini di cortigiane nelle figure sacre; ma lui era così, ribelle per natura, geniale per professione.
“Mi hanno detto che sei un po’ bricconcello. Dipingi in fretta, più veloce sei, meglio dipingi”
Persino il Santo Padre ne è a conoscenza, si perché Michele, lo conoscono tutti, e da tutti è criticato, ma ancor di più apprezzato, ed anche il Papa, in quell’epoca non era esente dal chiudere loschi affari e trattare la vita di un uomo ( il Tommasoni appunto) in cambio di un suo dipinto, perché i bei dipinti
“mantengono il quo e lo status”
Ma la verità viene sempre a galla, e Michele, folle quanto coerente, non esita, e senza pensarci, con un taglio netto alla gola di Ranuccio, vendica la sua amata Lena.
Sappiamo che più o meno andò così, ma in questa pellicola così pregna di significato e poco attenta alla realtà dei fatti, non ci saremmo aspettati nulla di diverso probabilmente.
La cosa più triste probabilmente è vedere sfilare quel corteo funebre misero e solitario.
Una trama a tratti confusa e farraginosa ma ugualmente intensa e soprattutto intrisa d’arte, la sua arte, quella del Maestro, lui, Caravaggio.
La pellicola ha un taglio molto originale, e pur permettendosi qualche licenza poetica, pur nella sua essenzialità ci regala passione e quel pizzico di ironia che ci fa ancora di più amare non solo l’artista Caravaggio, ma anche l’uomo, con i suoi difetti, i suoi estremismi, i suoi limiti e la sua follia.
Senza queste caratteristiche probabilmente non sarebbe esistito l’artista così come lo abbiamo conosciuto attraverso le sue opere e di questo gliene saremo per sempre grati.