Crash – Contatto fisico (Crash)
Regia: Paul Haggis; soggetto e sceneggiatura: Paul Haggis e Bobby Moresco; fotografia: James Muro; scenografia: Laurence Bennett; costumi: Linda M. Bass; trucco: Michelle Vittone; montaggio: Hughes Winborne; colonna sonora: Mark Isham e Kathleen York; interpreti: Don Cheadle (detective Graham Waters), Matt Dillon (ufficiale John Ryan), Sandra Bullock (Jean Cabot), Brendan Fraser (Rick Cabot, il procuratore distrettuale), Terrence Howard (Cameron Thayer), Thandie Newton (Christine Thayer), Jennifer Esposito (Ria), Ryan Philippe (agente Tom Hansen), William Fichtner (Jack Flanagan), Michael Peña (Daniel), Ludacris (Anthony), Larenz Tate (Peter Waters), Beverly Todd (signora Waters), Shaun Toub (Fahrad), Loretta Devine (Shaniqua Johnson), Nona Gaye (Karen, assistente del procuratore), Alexis Rhee (Kim Li), Bahar Soomekh (Dorri), Keith David (tenente Dixon), Karina Arroyave (Elizabeth), Bruce Kirby (Pop Ryan), Jack Mcgee (venditore di armi), Tony Danza (Fred), Kathleen York (agente Johnson), Ime Etuk (Georgie); produzione: Paul Haggis, Don Cheadle, Bob Yari per Bob Yari Productions /Lionsgate Films; origine: USA/Germania – 2004/05; durata: 108′ (115′ Director’s Cut).
Trama
Los Angeles, primi anni del ventunesimo secolo: in seguito agli attentati dell’11 settembre si respira un clima di tensione. Su una scena del crimine, un’auto della polizia viene tamponata. All’interno il detective della omicidi Graham Waters (Cheadle) e la sua collega (Esposito) sono stati chiamati per indagare su un ragazzo, trovato morto sul ciglio della strada. La scena si sposta in città: la notte precedente una coppia WASP,all’interno di un lucido SUV, attraversa un quartiere popolare: due ragazzi di colore li minacciano con una pistola, costringendoli a scendere e rubano la macchina. L’uomo è il procuratore distrettuale della città e sua moglie (Bullock) sfoga lo shock reagendo con diffidenza verso gli immigrati, compresa la sua governante ispanica. In una rivendita di armi da fuoco, un iraniano e sua figlia acquistano una pistola e tornano nel loro negozio, aperto 24 ore su 24: l’hanno comprata come deterrente, dato che la porta posteriore dello stabile non si chiude. Un fabbro ispanico la cambia ma avverte il cliente che è la porta ad essere danneggiata e sarebbe da sostituire ma l’uomo rifiuta di pagarlo e lo caccia in malo modo. Il detective Waters si reca dalla madre, in seguito ad una telefonata e la trova a letto, drogata. Gli chiede di trovare il fratello minore, andato via di casa per darsi alla vita di strada. Graham dice qualche parola per tranquillizzarla, ma ha problemi più importanti di cui preoccuparsi. Il sergente John Ryan (Dillon) telefona da una cabina pubblica, chiedendo all’assicurazione di far visitare il padre, affetto da un’infezione urinaria, da un altro medico, ma tratta male l’impiegata, dal nome tipicamente afroamericano. Viene interrotto da una segnalazione: è il furto del SUV. Attacca il telefono bruscamente e si mette alla guida dell’autopattuglia, dove lo aspetta il novellino Tommy (Philippe). I due intercettano un SUV: la targa non corrisponde ma John decide di fermarlo comunque. Il regista televisivo Cameron Thayer (Howard) sta tornando a casa dopo una bella serata in compagnia della moglie (Newton), un po’ brilla. I due sorridono imbarazzati, ma il poliziotto frustrato li fa scendere dall’auto e li tratta male, palpeggiando apertamente la donna che, ubriaca, si comporta in modo aggressivo, mentre il marito farfuglia scuse. Li lascia andare. Giunti a casa i due litigano. La donna accusa il marito di non aver preso le sue difese, mentre lui si giustifica: è un nero a Los Angeles, avrebbe rischiato grosso. Le storie dei personaggi andranno ad intrecciarsi, fino all’epilogo drammatico che ci riporta all’inizio.
Un film corale
“In una città vera si cammina. Sfiori gli altri passanti, sbatti contro la gente… Qui a Los Angeles non c’è contatto fisico con nessuno: stiamo tutti dietro vetro e metallo. Il contatto ci manca talmente che ci schiantiamo contro gli altri solo per sentirne la presenza.”.
Paul Haggis è reduce dall’ Oscar appena vinto per la sceneggiatura di Million Dollar Baby del regista Clint Eastwood, per il quale sta per scrivere anche il copione di Flags of our Fathers. Si ispira al proprio vissuto personale, in particolare ad una rapina subita mentre si trova in auto e compone un mosaico (un po’ troppo convenzionale, ad essere severi) di vite diverse tra loro – per etnia, classe sociale, valori – le cui storie sono portate ad intrecciarsi nel caos di una metropoli insolitamente gelida (per il film, a causa proprio di una trama complessa e sfaccettata come i personaggi di cui parla, si è parlato di “Melting Plot”). Il tema centrale è solo in parte la questione razziale, a differenza per esempio che nei film di Spike Lee, che a tratti ricorda. Il regista affronta la solitudine e l’indifferenza, che conducono a trincerarsi dietro barriere, fisiche e mentali, per paura di provare sentimenti, emozioni profonde che costringano a guardarti dentro. Così agisce il detective della omicidi, che non cerca il proprio fratello per riportarlo sulla retta via e lo trova solo per caso, quando è ormai troppo tardi. Così si comporta la ricca casalinga Sandra Bullock, insoddisfatta e arrabbiata a causa di una vita matrimoniale e sociale piatta, costruita su relazioni false, di pura convenienza. Così il commerciante persiano, che prova a condurre una vita onesta ma si sente perseguitato da una società che non lo considera e lo ferisce nell’orgoglio. Haggis è anche abile a giocare con lo spettatore quando sono i personaggi inizialmente negativi a redimersi: il poliziotto gradasso che salva la vita della donna che aveva molestato, la moglie frustrata che in un momento di difficoltà trova l’unico sostegno nella domestica che aveva maltrattato, il balordo che invece di sfruttare i clandestini per profitto decide di liberarli. Al contrario gli insospettabili – i protagonisti per cui il pubblico simpatizza – finiscono per comportarsi in modo egoistico e commettono gli errori peggiori, accecati dal pregiudizio che sono troppo ipocriti per ammettere.
Realizzato con un budget irrisorio per Hollywood (circa 7 milioni di dollari) da un autore “non allineato” come viene considerato Haggis, che torna dietro la macchina da presa dopo molti anni, in patria il film piace molto e incassa 53,4 milioni di dollari: nonostante il consenso della critica bruscolini, rispetto ai blockbuster dell’annata, ma un buon risultato se pensiamo alla scarsità di mezzi, compensata dalla ricchezza delle idee e dall’ottima prova degli interpreti. Ignorato ai Golden Globe, dove riceve due sole nomination e nessun premio, Crash – Contatto fisico parte in sordina agli Oscar, cui si presenta con sei candidature.
Il racconto del redattore
Dopo la vittoria ai Golden Globe, I segreti di Brokeback Mountain del taiwanese Ang Lee è il favorito della vigilia, forte anche del successo al Festival di Venezia. A differenza dei premi della stampa estera però, gli Oscar hanno un peso “politico” diverso e spesso tendono a privilegiare film considerati edificanti,rispetto a pellicole che raccontino storie d’amore, ritenute a torto più frivole dai votanti. Così si spiega la vittoria di Crash – Contatto fisico (che riceve trofei anche per la sceneggiatura originale e il montaggio) sul suo concorrente più quotato, che strappa 3 statuette per la regia, l’adattamento e la colonna sonora. Gli altri film della cinquina hanno tutti un certo peso politico e gli argomenti leggeri non abbondano: troviamo Truman Capote – A sangue freddo che vince per la straordinaria prova da protagonista di Philip Seymour Hoffman, mentre restano con un pugno di mosche Munich di Steven Spielberg, che parte dall’uccisione degli 11 atleti israeliani avvenuta durante le Olimpiadi del 1972 per raccontarci ciò che avvenne dopo, con la spietata vendetta del Mossad contro coloro che favorirono la strage (“Operazione Ira di Dio”) e Good night and Good Luck, film coraggioso che ottiene sei nomination infruttuose, anche se il sospetto che Clooney, snobbato come regista e produttore del film (le liste di proscrizione di McCarthy ai tempi della “caccia alle streghe” sono ancora una ferita aperta a Hollywood) sia stato risarcito con l’Oscar da non protagonista per la prova attoriale tutt’altro che straordinaria nel trascurabile Syriana di Stephen Gaghan. Miglior attrice protagonista dell’anno è Reese Witherspoon, che abbandona i capelli biondi che l’hanno portata alla ribalta per cantare nel ruolo di June Carter Cash nel romantico e struggente Walk the Line – Quando l’amore brucia l’anima nel quale recita accanto allo straordinario Joaquin Phoenix ancora una volta in grado di mostrarsi attore dotato di sensibilità fuori del comune nella parte del cantante Johnny Cash, il “Man in black” del country-rock. La confezione del fortunato Memorie di una Geisha ottiene i riconoscimenti per fotografia, scenografia e costumi, mentre l’ambizioso King Kong di Peter Jackson si aggiudica 3 Oscar per gli effetti speciali, il suono e il montaggio sonoro. L’adattamento cinematografico del romanzo di C.S. Lewis, Le Cronache di Narnja – Il leone, la strega e l’armadio vince per il trucco. Per una volta non ci sono film Disney in concorso per l’animazione e in lizza per l’Oscar ci sono La sposa cadavere di Mike Johnson e Tim Burton e soprattutto Il castello errante di Hayao Miyazaki: a sorpresa vince il britannico Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro, curiosa avventura della coppia di personaggi realizzati in plastilina, già protagonisti di 4 cortometraggi molto apprezzati. L’Italia ha in concorso il notevole La bestia nel cuore di Cristina Comencini, battuto dal sudafricano Il suo nome è Tsotsi di Gavin Hood. Il premio alla carriera va a un regista controverso e immenso: Robert Altman.