Voglia di Tenerezza (Terms of Endearment)
Regia: James L. Brooks; soggetto: dal romanzo omonimo di Larry McMurtry; sceneggiatura: James L. Brooks; fotografia (Metrocolor): Andrzej Bartkowiak; scenografia: Harold Michelson; costumi: Kristi Zea; trucco: Ben Nye Jr. ; colonna sonora: Michael Gore; montaggio: Richard Marks; interpreti: Shirley MacLaine (Aurora Greenaway), Debra Winger (Emma Horton), Jack Nicholson (Garrett Breedlove), Danny De Vito (Vernon Dahlart), Jeff Daniels (Flap Horton), John Lithgow (Sam Burns), Lisa Hart Carroll (Patsy Clark), Betty R. King (Rosie Dunlop), Huckleberry Fox (Teddy Horton), Troy Bishop (Tommy Horton), Shane Serwin (Tommy Horton giovane), Megan Morris (Melanie Horton), Tara Yeakey (la piccola Melanie), Norman Bennett (Edward Johnson), Jennifer Josey (Emma da giovane),Kate Charleson (Janet), Tom Wees (Dr . Budge), Paul Menzel (Dr. Maise); produzione: Paramount Pictures; origine: USA – 1983; durata: 132′
Trama
Houston, Texas. Fra Aurora Greenaway (MacLaine), ancora piacente vedova cinquantenne e la giovane, scapestrata figlia Emma (Winger) i rapporti sono burrascosi, alternando liti e tenerezze. La ragazza sposa l’insegnante belloccio Flap Horton. Nascono due figli e la coppia è costretta a trasferirsi a Des Moines, dove al marito è stata assegnata una cattedra. Lì Emma scopre che il marito corteggia le sue studentesse e per ripicca lo tradisce, concedendosi ad un insipido impiegato di banca. A Houston intanto Aurora, rimasta sola, si fa volentieri sedurre dal vicino di casa Garrett (Nicholson), ex astronauta in pensione, fanfarone ma affascinante. Flap intanto,colto in atteggiamenti intimi con l’allieva Janice, per salvare il lavoro e la reputazione si trasferisce in Nebraska. Emma lo segue ma, prima di partire, si sente diagnosticare dal medico un tumore incurabile. La situazione precipita e le condizioni di salute della giovane madre anche. L’astronauta accorre in aiuto di Aurora,affranta per la malattia della figlia. Anche Flap torna in famiglia per assistere la moglie ormai in fin di vita. In ospedale, madre e figlia ammettono reciprocamente i propri errori e si riconciliano: Emma decide di affidare la custodia dei suoi tre figli alla nonna. Tommy, il primogenito non vorrebbe e sarà sorprendentemente Garrett, dimostratosi migliore di quel che sembrava, a convincerlo mentre tornano a casa dopo il funerale di Emma.
Una “soap opera” cinematografica
James L. Brooks, Re Mida della TV come produttore del Mary Tyler Moore Show e di serie TV come Taxi (oggi ancora attivo con I Simpson) esordisce alla regia per il grande schermo a partire da un romanzo di Larry McMurtry, iniettando nella sua creatura tutti gli ingredienti che hanno reso milioni ai network che lo hanno ingaggiato. Nello splendore dei sessanta millimetri Brooks porta sullo schermo anni di litigi e riconciliazioni, di sorrisi e lacrime tra una madre vedova e una figlia che sceglie sempre gli uomini sbagliati. Durante le riprese, il rapporto tra le due protagoniste Shirley MacLaine e Debra Winger è tutt’altro che tenero. Mentre la prima ha un approccio spirituale al ruolo, la seconda è una sostenitrice del metodo Stanislavsky: per immedesimarsi pretende di essere chiamata col nome del suo personaggio e soffre di terribili mal di schiena a causa dei pesi con i quali si zavorra per simulare l’ingrossamento della gravidanza. Jack Nicholson invece non crea alcun problema: è una scelta di ripiego, dopo il rifiuto di Burt Reynolds, ma il ruolo di attempato seduttore che Brooks furbamente gli riserva (nel romanzo il personaggio non esiste) gli calza a pennello. Voglia di Tenerezza incassa nei primi due mesi di programmazione 25 milioni di dollari, confermando il fiuto per gli affari del suo demiurgo e si presenta al solito Dorothy Chandler Pavilion con undici nomination, più di tutti gli altri concorrenti.
Il racconto del redattore
Nell’edizione numero 56 degli Academy Awards a manifestare fuori dal teatro sono le femministe, infuriate a causa dell’esclusione dalle nomination principali di Yentl prodotto,diretto e interpretato da Barbra Streisand. Il film racconta, con qualche intermezzo musicale di troppo, di una ragazza ebrea che alla morte del padre si traveste da uomo per poter studiare le sacre scritture: sarà costretta a rinunciare all’uomo che ama e a sposare la sua rivale. La corsa del film finisce con uno striminzito premio alla colonna sonora ma va molto peggio ad altri titoli superiori ma troppo sgradevoli per il clima di appeasement che si respira. Re per una Notte di Martin Scorsese, con un Robert De Niro che si mortifica indossando giacchette sgargianti, Star 80 opera estrema del grande Bob Fosse e soprattutto Zelig, satira amara sul conformismo di massa, nel quale il camaleonte umano Woody Allen – anche regista e sceneggiatore – assume le sembianze e l’eloquio delle persone con le quali entra in contatto, restano a mani vuote. Nella cinquina di film finalisti appaiono invece Il grande freddo di Lawrence Kasdan, Il servo di scena dell’inglese Peter Yates (con un formidabile Albert Finney). Uomini Veri di Philip Kaufman (vincitore di tre premi tecnici, per il suono,il montaggio e gli effetti sonori), che racconta dei precursori della corsa allo spazio con un grande Sam Shepard e soprattutto un ignorato Ed Harris, interprete di un John Glenn talmente autorevole da oscurare l’originale, impegnato al tempo nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti. Da ultimo ricordiamo Tender Mercies- Un tenero ringraziamento di Bruce Beresford – Oscar alla sceneggiatura e al protagonista Robert Duvall. Un premio speciale per gli effetti visivi tocca a Il Ritorno dello Jedi, capitolo edipico della saga di Guerre Stellari. Quattro Oscar (fotografia, scenografia, costumi e miglior film straniero) a quel capolavoro, quella gioia per gli occhi e per il cuore che è Fanny e Alexander di Ingmar Bergman. L’ultima opera del sessantaseienne maestro svedese sfiora il dramma ed esalta la memoria, rendendo omaggio alla magica imprevedibilità della vita.
Distribuite le briciole l’Academy passa alle statuette di peso: Voglia di Tenerezza vince cinque Oscar per il miglior film, la regia (fa una certa impressione vedere Brooks prevalere su Bergman), la sceneggiatura non originale, l’attore non protagonista Jack Nicholson e l’attrice protagonista Shirley Maclaine. Secondo la tradizione, quest’ultima arriva all’Oscar per la più manierata e stucchevole delle sue interpretazioni, dopo le infruttuose nomination per Qualcuno verrà nel 1958, L’appartamento nel 1960, Irma la Dolce nel 1963 e Due Vite una svolta nel 1977. Vince il duello con la compagna d’avventura Debra Winger, alla quale, magnanima, riconosce parte del merito della vittoria dal palco; salvo girarsi repentinamente e dichiarare alla telecamera uno squillante: “Me lo merito!“, suscitando l’ilarità e gli applausi scroscianti dei presenti, come puoi apprezzare nel filmato in alto. Quanto a Nicholson, forse l’Oscar non lo merita ma di certo lo ha desiderato con tutte le sue forze, tanto da rivelare di essere un figlio illegittimo e quanto questo abbia influenzato la sua vita, aggiungendo: “Vorrei vincere più Oscar di Walt Disney, in tutte le categorie“. Poco importa che il critico nostrano Tullio Kezich commenti la sua performance con parole taglienti: “(Jack Nicholson ndr.) è un ex grande attore che ormai passa da film a film con il ghigno perpetuo sulla faccia, pensando ad altro”. Le giornaliste al contrario lo trovano irresistibile, con la pancetta affiorante e i capelli che si diradano sulla fronte, antidoto efficace contro i tanti divi palestrati che saturano le riviste patinate in quegli anni. L’attore americano aggiunge il proprio nome al novero ristretto degli interpreti che hanno vinto l’Oscar sia da protagonisti che da non protagonisti.