#mulholland drive #basic instinct #mubi
La notizia non l’hanno data manco al Televideo, ma sono ufficialmente sbarcato su MUBI. Così, volevo essere pomposo. Sì, lo so, la classica piattaforma da radical, il cui abbonato medio ha il mignolo alzato pure all’all you can eat, fiero di seguire le pellicole a catalogo senza possibilità di doppiaggio, perché cockney o uzbeko non importa, financo i sottotitoli sono appropriazione culturale e robe del genere.

Eppure le vie di Hollywood sono infinite, quindi eccoci qui. Onirico, grottesco, surreale, thriller, erotico. Sì, grazie al baffo, lynchiano. Mulholland Drive, dicono, comincia con un balletto. Non so perché ci sia stato l’incidente, non so perché Rita abbia perso la memoria, non so perché fosse nuda nella doccia. Non so neppure cos’abbia provato quando contava i soldi con Betty cara. Per non parlare della chiave blu, colore strano per fabbri e ferramenta.
Ogni parola in più è uno spoiler, un piano di esistenza non richiesto, perché sono i 50 minuti finali a rendere vivo il dramma della prima ora e mezza, altrimenti liquidabile come OMG in salsa io ti salverò e nepotismo made in Studios.
Il topos trasla, basta abbracciare vecchietti fuori l’aeroporto, basta seguire attrici con la sindrome di Lolita. Il mondo come controfigura e rappresentazione, scriveva Schopenhauer, perché Sharon Stone sicuro se la cava col punteruolo da ghiaccio, se poi era lei o una bipedes parruccata negli assoli della rockstar Paul Verhoeven non lo dice certo in questa sede.