#la strada #federicofellini #papafrancesco #maèunasinossi
L’annuncio è passato in sordina, me ne rendo conto. Ero al terzo Cosmopolitan, e ovviamente non m’importava nulla del derby di Coppa Italia, quando lo schermo all’angolo ha attirato la mia attenzione. A cavallo degli interisti pezzi di erba ululati dai tifoidi, infatti, c’è stato un minuto di silenzio, solenne, ricco della commozione a comando tipica del momento. Eccallà, sicuro, Pippo Baudo se n’è andato.
All’arrivo in camera, iPad alla mano, ho fatto qualche ricerca, dato che nessuno ne parlava. Un paio di post su Reddit dell’Osservatore Romano, poco altro. Papa Francesco è volato in cielo in punta di piedi, con la classica sobrietà del cattolicesimo pauperista, senza clamore, lontano dai flash e dalla morbosità patinata di stampa e notiziari.

Ad ogni modo, oltre a gustarmi il pugno al dottor Gasparri, reo di aver detto una parolaccia contro sua mamma, è saltata fuori una perla cinefila del Sommo Pontefice, appassionato da giovane del cinema di Federico Fellini. Il film preferito da Jorge Mario Bergoglio, rullo di tamburi, pare essere stato La Strada, pellicola del 1954 con cui, tre anni più tardi, il Maestro riminese vinse la statuetta agli Oscar per il miglior film straniero.
Ora a me, intellettualoide della next generation, non interessa perdere un secondo della mia vita a discutere se La Strada è neorealista, favolista, neoastrattista o menefreghista, ognuno a casa si farà un’opinione propria. Ciò che mi premeva era entrare nelle pieghe psicologiche del vicario di Cristo, cogliere gli aspetti teologici della poetica felliniana che l’avevano colpito, distanti, immaginavo, dal Far West de La Dolce Vita, per entrare in tematiche più inerenti all’Apocalisse, quell’Italia del dopoguerra in cui solo un Matto poteva ancora ostinarsi a credere in Dio.
La Strada, tra agape cristiana e trasvalutazione dei valori
Non aveva idea cosa l’aspettasse con Zampanò, e la mia paura era che finissero per girare in tondo e tornare verso casa. Gelsomina, costante nella testa di patata, era il personaggio perfetto per suscitare la compassione del Francesco di turno, nuova compagna di viaggio del volgare saltimbanco dopo la dipartita di quella Theron della Rosa.
Una ragazza ingenua, diremmo oggi, incarnata dalla musa del regista Giulietta Masina, diva ammirata financo da Charlie Chaplin e Viggo Mortensen, tanto era famosa all’epoca, con tutti i commenti positivi tributati dai media nel corso del tempo.
Un’avventura nel pieno del periodo maccartista, appunto, una parabola biografico esistenziale di figure d’eccezione, dall’Antony Quinn doppiato da Arnoldo Foà fino a Richard Basehart, mago e acrobata dell’aria con la voce di Stefano Sibaldi.
Un messaggio cristiano, quello dell’opera, che emerge dai dialoghi del Matto, il quale, con bonaria superiorità verso Gelsomina, la illumina che nell’universo tutto ha uno scopo, persino lei, incapace di essere normale, destinata al disprezzo dei più, maltrattata e colpita dai vili Zampanò di ogni dove.
Pietismo accentuato, peraltro, dalle condizioni d’indigenza in cui versa il personaggio, con il cammino verso il mare delle scene finali spezzato da cannibali e predoni, in cui, grazie alla rassicurazione di portare il fuoco, arriva a sopravvivere per mezzo delle cucchiaiate di neve, con la trombetta di Joel come unico ricordo della traversata fin lì.
Un brodo di giuggiole per quelli che vogliono la debolezza altrui affinché possano salvarli, al di là delle reali difficoltà personali; insomma, una pelosissima trasvalutazione dei valori in salsa codipendente, di quelli che, eh no, bisogna accettare la mediocrità e i limiti perché se no sei narcisista patologico e rischi di realizzarti e poi essere felice. Anzi, vergognati, sciacquati la bocca col sapone e recita il rosario per San Marx, dicono.
A questi bipedi senza spina dorsale, giusto per dar fastidio a Pino, rispondo con le parole del grandissimo Luciano Ligabue, Maestro del sospetto ben migliore del sopracitato, nonché cantore imprescindibile della musica di Wagner. E quindi, dagli spartiti de La genealogia della morale, urlo contro il cielo tutto il mio sigma mindset. Uè, sapevatelo, sono vivo abbastanza.