Un tema caldo di questo periodo, che merita di essere approfondito, è quello relativo al doppiaggio di film, cartoni e serie tv non solo in Italia ma in generale nel mondo.
È proprio una notizia di questi giorni la polemica per una clip pubblicata dalla Universal Pictures in occasione dell’uscita del film Una donna promettente : Laverne Cox, attrice transgender che nella pellicola interpreta Gail, era stata doppiata da un uomo (analogamente a quanto avvenuto ad esempio per il suo personaggio Sophia Burset in Orange is the new black, serie nella quale era stata doppiata da Andrea Lavagnino).
Da molti lati si sono sollevate le lamentele per questa scelta, e la Universal ha quindi deciso di cambiare il doppiaggio, ritardando l’uscita nelle sale del film, per venire incontro alla richiesta del pubblico; anche la clip precedentemente rilasciata è stata cancellata.
Questo è solo il più recente dei casi in cui le richieste dell’opinione pubblica hanno influenzato le scelte di una major in maniera così radicale: il fatto però è che alle volte la richiesta perde di vista l’obiettivo.
Se fino a poco tempo fa il problema principale del doppiaggio, almeno nel nostro paese, era legato al fatto che spesso i testi subivano uno stravolgimento radicale in fase di adattamento dei dialoghi, adesso invece la richiesta è che il doppiatore sia il più fedele possibile all’attore prima ancora che al suo personaggio quando in realtà l’unica caratteristica che dovrebbe corrispondere fra i due è il tipo di voce.
Prendiamo ad esame proprio Laverne Cox: in questo specifico caso, per esempio, la contestazione della scelta di un uomo come voce è coerente non soltanto dal punto di vista etico ma anche da quello del timbro. Guarda per esempio questa clip in lingua originale tratta da Orange is the new black (ma se non hai finito la serie occhio perché contiene degli spoiler).
Il timbro dell’attrice è sì profondo, ma flautato. Si sarebbe potuto renderle giustizia già facendola doppiare ad esempio da Giò Giò Rapattoni (che tra le altre presta la voce anche alla detective Rosa Diaz / Stephanie Beatriz in Brooklyn 99) oppure anche da Gemma Donati, che nella stessa Orange is the new black doppia Uzo “Occhi Pazzi” Aduba.
Il doppiaggio e l’etnia del personaggio
E’ invece molto diversa la situazione che ha portato il mese scorso Hank Azaria a scusarsi per la caratterizzazione che ha dato col suo lavoro di doppiaggio a Apu Nahasapeemapetilon, personaggio dei Simpson; questo è avvenuto dopo che Harry Shearer, che per più di trent’anni è stato la voce del dottor Hibbert nella serie, è stato sostituito da Kevin Michael Richardson, attore afroamericano come il personaggio in questione.
Se nel caso di Apu è vero che il suo essere stereotipato ha causato spesso problemi a persone appartenenti alla comunità Indiana (come evidenziato nel documentario The Problem with Apu del comico Hari Kondabolu), è anche altrettanto vero che il dottor Hibbert è in realtà palesemente una macchietta del dottor Robinson interpretato da Bill Cosby: stessi maglioni anni ’80, stesse movenze, addirittura stessa cucina.
E’ quindi più importante in questo caso che la voce sia fedele al personaggio che si vuole creare piuttosto che all’etnia dello stesso; e comunque per stessa ammissione di Richardson, in questa breve intervista, il doppiaggio è quel magico mondo in cui donne doppiano ragazzini, attori asiatici doppiano attori di colore, e lui stesso ha avuto modo di doppiare un troll ed un albero.
Il doppiaggio in Italia
Tutto ciò, trasportato in Italia, si scontra con un’ulteriore problematica. Il doppiaggio italiano ha le sue radici in un passato lontano ed è ormai considerato da molti una vera e propria arte: a padroneggiarla per davvero sono poche persone (e, ammettiamolo, spesso appartenenti alle stesse famiglie), fra le quali almeno al momento non si dispone di attori non caucasici. Cosa dovrebbe succedere, quindi?
Non si correrebbe il rischio di far abbassare la qualità del prodotto finale affidando il doppiaggio ad un attore inesperto ma etnicamente fedele al personaggio? Nell’attesa che si formino nuovi attori e che entrino a far parte del circuito, assumere voci secondo questo principio non si discosterebbe molto da quanto avviene ormai da parecchio tempo con alcuni lungometraggi di animazione, dove a doppiatori professionisti si preferiscono personaggi famosi di varia natura per poter vantare nomi di richiamo sulle locandine, ottenendo però spesso risultati disastrosi.
Cantanti, atleti e personaggi televisivi si sono trovati dietro al microfono pur non essendone all’altezza, spesso perché particolarmente in voga in quel momento e l’esito è sotto gli occhi (anzi, nelle orecchie) di chiunque. Qui una breve clip di Shaolin Soccer, ad esempio, che sicuramente non era un colossal già in lingua originale ma che (per stessa ammissione di Pino Insegno, che ne ha curato la direzione) ha subito pesantemente la scelta, dovuta ad un’operazione di beneficienza, di usare dei calciatori al posto dei doppiatori professionisti.
E prima ancora dell’etnia in Italia è stata sollevata anche la questione dell’età: in questa intervista a Roberto Chevalier , voce storica Italiana di Tom Cruise, avrai modo di ascoltare (dal minuto 9.53 circa) come l’esclusione del doppiatore proprio perché più anziano di Cruise abbia influito negativamente sul successo di alcune pellicole in Italia, e di come sia stato necessario l’intervento della star di Hollywood per far rientrare in carica Chevalier.
Su questa stessa onda anche Woody Allen proprio in questi giorni durante un’intervista a Che tempo che fa ha speso parole di affetto nei confronti di Oreste Lionello, che fu la sua voce italiana ufficiale fin dagli esordi: già in passato, comunque, aveva dichiarato quanto Lionello risultasse più credibile di lui nei suoi ruoli.
E’ in realtà su questo che ci si dovrebbe concentrare: nella scelta di una voce non è importante l’aspetto esteriore dell’attore scelto, ma la sua fedeltà con la voce originale.
Perché, come disse Alfred Hitchcock,
Il cinema è il “come”, non il “cosa”.