Supersex, la serie su Rocco che ammoscia Siffredi

Recensione di Supersex, la serie (stucchevolmente drammatica) Netflix liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi

William Camanzo Commenta! 14
Supersex | Trailer ufficiale | Netflix Italia
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Supersex

Titolo: Supersex  Regia: Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni  Sceneggiatura: Francesca Mainieri  Piattaforma: Netflix  Cast: Alessandro Borghi, Jasmina Trinca, Adriano Giannini, Gaia Messerklinger, Vincenzo Nemolato, Mario Pirrello, Tania Garibba, Saul Nanni, Johann Dionnet, Jade Pedri, Nutsa Khubulava, Linda Caridi, Enrico Borello, Francesco Pellegrino, Eva Cela, Pietro Faiella, David Kammenos, Giulio Greco, Clemence Thioly, Maximilien Poullein, Olaire Loth

Fotografia: Daria D’Antonio, Matteo Carlesimo Casa di produzione: The Apartment, Groenlandia con Small Forward  Montaggio:Gianni Vezzosi, Giuseppe Trepiccione, Marcello Saurino, Michele Gallone  Musiche: Ralf Hildenbeutel  Scenografia: Veronica Rosafio Costumi: Stefano Ciammitti  Genere: biografico, drammatico, erotico  Anno: 2024  Episodi: 7  Durata episodio: 42-55 minuti  Paese di produzione: Italia

Come al solito è stata tutta colpa del suo algoritmo. Parlo di Netflix, ovviamente, e di cos’altro, che sulla homepage continuava a spararmi la locandina di Supersex, con la seducente scritta rossa “Aggiunto di recente” e lo sguardo di una biondona che mi pareva Moana Pozzi interpretata da qualche attrice che le somigliava. Tutto ciò a complottare per un mio clic, senza che nemmeno avessi capito che si trattasse di una serie su Rocco Siffredi (avrei cliccato lo stesso senza Moana? Bah, ai posteri l’ardua sentenza).

Sta di fatto che il mio clic c’è stato, e quello che ho trovato non è stato quello che speravo (Rocco, mi hai truffato).

Supersex, la trama

 

Che cos’è Supersex in soldoni? È la storia romanzata in 7 episodi di Rocco Siffredi, dalle umili origini di Ortona, passando per il primo approccio con il mondo del porno a Parigi (dove era ospite del fratello Tommaso e della compagna Lucia, ne riparliamo presto), fino alla consacrazione con gli Oscar del porno di Cannes del 1994 e all’incontro con Rosa, che diverrà sua moglie e madre dei suoi figli.

In mezzo, gli incontri sessuali con tutta una serie di donne, tra cui quelli in un club di scambisti parigino dove Rocco conoscerà Gabriel Pontello, suo idolo d’infanzia e protagonista del fotoromanzo pornografico “Supersex” (da qui il nome della serie), l’introduzione al mondo del porno con il regista Riccardo Schicchi e le scene con Moana Pozzi (eccola).

Ma a dominare sarà tutta quella narrazione drammatica incentrata su Tommaso, il “fratello” preferito da Rocco (suo modello di vita quando era bambino), la sua compagna Lucia (personaggio inventato che rappresenterebbe un insieme di tutte le donne conosciute da Rocco, che non possono vivere liberamente la loro sessualità perché limitate da un malsano maschile dei loro compagni), e il rapporto che Rocco ha con la madre Carmela (un po’ tanto cattolicamente bigotta, ma che gli vuole molto bene).

Supersex, la recensione e i personaggi

 

Continuando il discorso del paragrafo precedente, il problema della serie è, a mio parere, tutto qui. Ovvero sia la pretesa che i drammi esistenziali di Rocco Tano (e non Siffredi, che è il nome d’arte mutuato dal personaggio interpretato da Alain Delon nel film del 1970 Borsalino) siano qualcosa di interessante di per sé.

E invece no, caro Rocco, non lo sono. Tutti noi viviamo sofferenze, ingiustizie della vita (e certamente, ad esempio, che il fratello Claudio sia morto a 12 anni è una ingiustizia della vita), ma solo perché si è vissuto un dolore non significa che questo abbia rilevanza sul piano estetico di un’opera cinematografica.

E così su tutto il rapporto che Rocco ha con la madre. Solo perché vogliamo bene a nostra mamma non significa, di nuovo, che questa abbia un qualsivoglia spessore narrativo (mi perdonerà la buon’anima della signora Carmela, ma quando compariva il suo personaggio cercavo su Youtube video di lontre domestiche. A proposito, lo sapevi che le lontre domestiche sono illegali nel nostro paese?).

Per non parlare, poi, di tutta la vicenda in sé che accade a Ortona (il comune più noioso d’Italia), tra bambinetti senza né arte né parte (come lo siamo stati tutti, per carità. Ma evitiamo di dare spazio nelle “biografie” all’infanzia, salvo casi eccezionali, grazie), zingari violenti che però chissenefrega, e in generale un’atmosfera da paesino che non suscita alcun tipo di coinvolgimento (sempre narrativamente parlando, poi vivere a Ortona nella realtà sarà bellissimo, non lo metto in dubbio, c’è pure il mare e al nord c’è solo la nebbia, quindi 1 a 0 per Ortona e palla al centro).

La situazione un minimo migliora quando ci si sposta a Parigi, anche se tra la seconda e la terza puntata le uniche cose degne di nota sono una scena di soft femdom dove Rocco lecca lo stivale alla padrona indossando un collare e sono interrotti dall’irruzione nel club scambista da parte di Jean Claude e Tommaso, il quale gliene dice di ogni tipo al fratello e aggredisce la padrona (la sequenza è interessante, è una delle prime dove la fragilità del maschile di Tommaso si manifesta in modo violento), e un’altra scena dove Moana gattona con un’eleganza irresistibile.

(La scena alla fine della terza puntata successiva a quella di Moana appena descritta valutatela tu, con Rocco che diventa Siffredi masturbandosi e venendo in 10 secondi a una tavolata, dimostrando così il controllo assoluto sul suo corpo. Non è orrenda, ma sono ancora scettico).

 

Queste due scene si uniscono alla prima in assoluto di tutta la serie, dove Rocco nel 2004 annuncia il suo ritiro (momentaneo) dal porno e finisce per avere un rapporto sessuale animalesco con tale Noemi, la quale lo implora di non mollare quel mondo per poi farsi prendere da dietro quasi in pubblico da Rocco dopo avergli succhiato le dita (il tutto ha un discreto impatto) (Sì, certo, si vede anche Tommaso invecchiato male prima seduto tra gli spettatori, ma non è quello che cattura l’attenzione).

Per il resto, le puntate 1,2 e 3 sono noiosissime, con musichette drammatiche fuori luogo, monologhi interiori insipidi e un uso criminoso dello slow-motion.

Dalla quarta puntata in poi s’intravede ciò che Supersex sarebbe potuto (e dovuto, a mio parere) essere, con un‘accelerazione (accennata) del ritmo (gli episodi sono stati diretti da più registi) e con un focus più puntato al mondo del porno, che è il vero quid in più dell’esistenza di Rocco Siffredi, per quanto lui cerchi di rimarcare di non essere esclusivamente quello.

(ma solo gli sciocchi potrebbero pensare che un pornoattore non abbia dei sentimenti e delle fragilità che non riguardino squisitamente l’industria del sesso, ed è bello che Rocco ne parli nelle varie interviste che concede, però fuori dal porno o dal club scambista quella di Rocco è un’esistenza come tante altre, che, appunto, non hanno una serie su Netflix).

 

E allora c’è molto più spazio per Riccardo Schicchi, regista pornografico, fondatore dell’agenzia “Diva Futura“, nonché mentore di Moana (e marito di Eva Henger, ma questo non viene detto), che è un personaggio molto più interessante di quella pappardella sentimentaloide che domina la serie.

Si vede qualcosa dell’attivismo che porterà poi al Partito dell’Amore (qualsiasi cosa si possa pensare di questo partito ve ne sono stati comunque di peggiori nella storia della Repubblica), con l’irruzione della Polizia nel teatro dove si stava svolgendo lo spettacolo da lui organizzato, e con l’arresto dello stesso Schicchi che poi sbraita ammanettato qualcosa sull’amore libero.

Esilarante (qualunque cosa si pensi di Schicchi) la scena dove proprio il regista, sotto lo sguardo sbigottito di Rocco, dà fuoco ai campanelli dei vicini in risposta a un tentativo di incendio provocato da questi al suo, inveendo, quindi, contro il perbenismo cattolico piccolo borghese.

 

Così com’è perfetto (drammatico ma in maniera veramente brillante) il personaggio di Franco Caracciolo, una delle “Ragazze Coccodè” che balla alla festa in villa, e che poi avrà alcune delle poche linee di dialogo che funzionano davvero in tutta la serie (“Com’è morto John? È morto d’amore, come tutti noi”, alludendo alla falce dell’AIDS). È in omaggio di Franco che poi Rosa, la moglie di Rocco, sceglierà il cognome d’arte Caracciolo.

Di Moana ho già detto abbastanza, rievoco di più solo un dialogo interessante con Rocco in teatro e la sua grazia nel farsi frustare il sederino.

Ma poi si torna allo sterile dramma di Tommaso e Lucia (di cui discuterò meglio in seguito), addirittura si torna a Ortona (sigh!), e io ricomincio a cercare lontre domestiche su Youtube, non prestando attenzione causa noia a quello che accade su schermo (su quanto sia stucchevole la fuga di 10 mesi sull’isola con la ragazza bionda di cui non ho capito il nome nell’episodio 5 non voglio nemmeno spendere una parola, anche se di fatto ne ho spese più di 30) (ma perché non si è rimasti per tutta la serie sul mood Schicchi Caracciolo Moana?) (ho cercato alla fine, si chiamava Tina).

Sulla scena degli Oscar del porno a Cannes non dico nulla, ti lascio la sorpresa.

Accenno a chiudere questa sezione a due cose: sì, c’è la scena della testa nel water (se non sai a cosa mi sto riferendo aspettati il peggio), e sì, c’è anche la scena della fellatio al funerale (non chiederti se è vera oppure no, non fare il guastafeste).

Tommaso, il maschile fragile che distrugge e si autodistrugge

 

Uno dei temi della serie è questo, quello di un maschile fragile e malsano (mi rifiuto di chiamarlo “mascolinità tossica” perché sa di frase fatta, tipo la parola “boomer”) che, sentendosi minacciato dalla libertà del femminile, talora reagisce violentemente.

È questo che tra le altre cose incarna Tommaso, il “fratello” mito di Rocco da bambino, che finisce spesso per aggredire Lucia a causa della gelosia o a disprezzare con violenza ciò che fa Rocco che non sia in linea con la sua idea di maschile (vedi la reazione nella scena con la padrona nel club scambista), giungendo poi, Tommaso, a un’autodistruzione psichica.

La serie tratta la questione con un atteggiamento intelligente, evidenziando tutti i danni (talvolta purtroppo irreparabili) che tale atteggiamento può portare, ma senza quel ditino da inquisizione che fa alzare solo muri e impedisce alle persone di mettersi realmente in discussione.

Ma allora qual è il problema se la questione è trattata con un atteggiamento intelligente? Il solito problema di questa serie, che lo fa in maniera noiosa.

E allora meglio che tanti giovani ascoltino le interviste sia di Rocco sia di Borghi per la promozione di Supersex invece di guardarsi 6 ore di latte alle ginocchia (con alcuni sprazzi di qualità, già evidenziati).

Due parole sugli attori di Supersex

 

Partiamo da Alessandro Borghi, che si dimostra ancora uno dei migliori attori italiani in circolazione. Un unico appunto: se la risata quando è accennata o distesa è perfetta (vedasi le due risate che aprono e chiudono la serie), quando è sguaiata sembra ci sia l’effetto Crozza. Vero che quel tipo di risata Rocco la fa in modo assolutamente particolare, ma pare quasi una parodia.

(Sul birillo di Borghi non mi esprimo, ognuno giudichi da sé).

Buona la prova di Jasmine Trinca (Lucia), eccellente quella di Adriano Giannini (Tommaso).

Su Gaia Messerklinger (Moana Pozzi), Vincenzo Nemolato (Riccardo Schicchi) e Mario Pirrello (Franco Caracciolo) poco da aggiungere, erano personaggi perfetti.

 

 

 

Supersex
5
Ritmo 3 | 10
Trama 3 | 10
Recitazione 8 | 10
Comparto tecnico 6 | 10
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