“Alcuni uomini pensano che la terra sia rotonda, altri che sia piatta. È un argomento passibile di discussione. Ma se è piatta, la renderà rotonda il comando del re? E se è rotonda, il comando del re la renderà piatta? No, io non firmo.” Sir Thomas More
Un uomo per tutte le stagioni (A Man for All Seasons)
Regia: Fred Zinneman; soggetto e sceneggiatura: Robert Bolt (dall’omonima pièce teatrale); fotografia: Ted Moore; scenografia: John Box; costumi: Elizabeth Haffenden, Joan Bridge; colonna sonora: Georges Delerue; montaggio: Ralph Kemplen; interpreti: Paul Scofield (Thomas More), Wendy Hiller (Alice More), Leo McKern (Thomas Cromwell), Robert Shaw (Re Enrico VIII), Orson Welles (cardinale Wolsey), Susannah York (Margaret More), Nigel Davenport (duca di Norfolk), John Hurt (Richard Rich), Corin Redgrave (William Roper), Colin Blakely (Matthew), Cyril Luckham (arcivescovo Cranmer), Vanessa Redgrave (Anna Bolena); produzione: Fred Zinneman e William N. Graf per Highland Films; origine: Regno Unito – 1966; durata: 120′.
Trama
Inghilterra, 1529. Il cardinale Thomas Wolsey (Orson Welles), Lord Cancelliere di Sua Maestà britannica, convoca a Hampton Court il filosofo Thomas More, uomo illuminato e saggio per risolvere un grave problema che affligge il re, Enrico VIII (Paul Scofield). Non avendo la regina Caterina d’Aragona concepito un figlio maschio, vorrebbe ottenere l’annullamento del matrimonio per sposare l’avvenente dama di corte Anna Bolena (Vanessa Redgrave). Il consiglio del filosofo è quello di intavolare una trattativa col Papa, ma Wolsey teme l’impazienza del re e vorrebbe fare pressione sulla Santa Sede, minacciando di tassare i possedimenti della Chiesa. More, da uomo integerrimo, rifiuta di partecipare all’iniziativa. Uscito dal palazzo, egli viene avvicinato da numerosi postulanti, che lo pregano di sostenere le loro ragioni dinanzi al tribunale che egli presiede, cercando anche di corromperlo. L’uomo rifiuta ogni regalia, tenendo con sé solo un calice d’argento del quale disfarsi alla prima occasione. Nella sua residenza di Chelsea trova ad aspettarlo Richard Rich, giovane intellettuale ambizioso e senza scrupoli, il quale vorrebbe una raccomandazione per avviare la propria carriera politica. Sir Thomas, intuendo la sua cattiva indole del ragazzo, gli suggerisce invece la carriera accademica ma, impietosito dalla sua povertà gli regala il calice d’argento, affinché vendendolo possa comprarsi un abito dignitoso. In seguito ha uno scontro col fidanzato della figlia Margaret, divenuto protestante e gli proibisce di frequentare la giovane finché egli non si sia convertito.
Pochi mesi dopo il cardinale Wolsey, accusato di Alto Tradimento, muore mentre viene condotto alla Torre di Londra. Per sostituirlo, Enrico VIII sceglie proprio More, nominandolo alla più alta carica politica d’Inghilterra dopo quella del re. Il sovrano spera che, onorandolo in questo modo, More possa ricredersi sul divorzio, ma resta deluso. I due hanno un confronto teologico, ma il filosofo riesce a confutare brillantemente ogni argomentazione del re. Nel 1532 More si dimette dall’incarico. Gli succede Thomas Cromwell il quale, con l’aiuto dell’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer redige l’Atto di Supremazia, che dichiara Enrico VIII Capo della Chiesa di Inghilterra, permettendogli di sposare Anna Bolena. Per non spiacere al suo sovrano, More si ritira a vita privata, ma il suo silenzio viene interpretato come una rampogna al re. Al rifiuto di giurare fedeltà a Enrico VIII come Capo della Chiesa, More viene condotto nella Torre di Londra. Si difende brillantemente, ma non può nulla di fronte allo spergiuro di Rich, il quale dietro la promessa di una nomina politica, sostiene un’accusa di corruzione contro il filosofo, mostrando come prova proprio il calice d’argento che aveva ricevuto in dono. Il film si conclude con l’esecuzione di Sir Thomas, che si dichiara”fedele servitore del re, ma prima di Dio”.
Un film per tutte le stagioni
Nel 1967 il cinema sta cambiando. Non sorprende dunque che alcuni critici protestino contro il conformismo di un’industria cinematografica con poche idee e tendente a cercare riparo in porti sicuri, lanciando sullo schermo film che sono poco più che opere teatrali filmate. Un uomo per tutte le stagioni è un fulgido esempio di tale inclinazione al tradizionalismo, tratto da un lavoro teatrale del drammaturgo e sceneggiatore di fiducia di David Lean Robert Bolt, già premiato con l’Oscar per Il dottor Zivago. Il titolo del film è ispirato a Robert Whittington, un contemporaneo di More, che nel 1520 scrisse di lui:”Tommaso Moro ha l’intelligenza di un angelo e una singolare sapienza: non ne conosco l’eguale. Perché, dove trovare tanta dolcezza, umiltà, gentilezza? E, secondo che il tempo lo richieda, una grave serietà o una straordinaria allegrezza: un uomo per tutte le stagioni“. La regia del film è affidata a Fred Zinneman, vecchia volpe del cinema americano, il quale accetta con entusiasmo e si associa anche come produttore. Il suo lavoro riscuote immediati consensi in coloro che rifuggono l’attualità e le provocazioni degli anni ’60, preferendo ambientazioni e vicende storiche lontane dal delirio della vita moderna, che possano essere godute e commentate senza pensarci troppo. L’eroe e protagonista della vicenda è Sir Thomas More, filosofo e cancelliere di re Enrico VIII, mandato a morte per essersi opposto al divorzio del sovrano e, in seguito, allo scisma anglicano. Ai Golden Globe del 1967 Un uomo per tutte le stagioni trionfa, portando a casa ben quattro trofei, per il miglior film drammatico, l’attore protagonista in un film drammatico Paul Scofield, la regia e la sceneggiatura. Alla cerimonia di consegna dei premi Oscar il film di Zinneman parte con otto candidature, ben lontano dal suo concorrente più accreditato, altro esempio da manuale di ‘teatro filmato’. Chi ha paura di Virginia Woolf ? di Mike Nichols, futuro regista de Il laureato, è insignito di ben 13 candidature: quasi un record.
Il racconto del redattore
Oltre ai due concorrenti già citati, a comporre la cinquina dei nominati c’è la commedia Arrivano i russi, arrivano i russi di Norman Jewison, con un sottomarino sovietico che si arena sulle coste degli Stati Uniti scatenando il panico negli abitanti che alla fine stringono amicizia coi marinai russi, aiutandoli a riprendere il mare per sfuggire alla Marina americana, allertata da un buffo sergente in pensione. Altro concorrente è il drammatico Quelli della San Pablo di Robert Wise con Steve McQueen e Richard Attenborough, otto nomination e nessun premio. Il terzo film in concorso per la statuetta più prestigiosa è il pruriginoso Alfie (i lettori più giovani ricorderanno il remake con Jude Law) che sveglia i falchi della censura: nel film, interpretato da un irresistibile Michael Caine si parla apertamente di sesso e di aborto, argomenti inaccettabili per i benpensanti dell’epoca. La Paramount impugna il verdetto, sostenendo che la scena dell’interruzione di gravidanza cui l’aitante garagista costringe una delle sue amanti serve a sottolineare l’aberrazione morale del protagonista, costretto a cambiare vita proprio da quell’esperienza: grazie a questa strategia il film ottiene il visto e fa del trentaduenne attore inglese un sex symbol. Ovviamente la pellicola, girata da Lewis Gilbert, ha cinque candidature e non vince nulla. Secondo la Warner anche Chi ha paura di Virginia Woolf? storia di una coppia di mezza età (i due coniugi sono Richard Burton ed Elizabeth Taylor) che si insulta e si fa a pezzi davanti ai giovani ospiti, coinvolti, loro malgrado, nella lite potrebbe avere problemi per il linguaggio scurrile ma a sorpresa ottiene facilmente il visto della censura: è un’opera d’arte, quindi il turpiloquio può essere tollerato. Non è così per Blow-Up di Michelangelo Antonioni: il corpo nudo di Vanessa Redgrave non passa inosservato e la MGM, che lo ha prodotto insieme con Carlo Ponti lo fa uscire lo stesso con ottimi risultati (6 milioni di dollari d’incasso) per un film vietato ai minori. Nella gara per il miglior film straniero, che vede concorrere per l’Italia il notevole La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, trionfa il furbo Un uomo, una donna del francese Claude Lelouch, storia d’amore tormentata tra Jean Loius Trintignant e Anouk Aimeè (quest’ultima vincitrice persino del Golden Globe). Nel computo finale Un uomo per tutte le stagioni batte Chi ha paura di Virginia Woolf per 6 Oscar a 5, conquistando però premi ‘pesanti’ al miglior film, alla regia, alla sceneggiatura e all’attore protagonista (in alto il filmato originale della premiazione), oltre a quelli per i costumi e la fotografia a colori. Liz Taylor è quasi più infuriata per la sconfitta del marito Richard Burton, arresosi a Paul Scofield, che soddisfatta per la vittoria del suo secondo riconoscimento per la protagonista femminile.