Mickey 17, il ritorno di Bong Joo-ho
Nel 2054, per sfuggire ai suoi problemi sulla Terra, Mickey (Robert Pattinson) si arruola nell’equipaggio che sta cercando di colonizzare un pianeta remoto. Il compito di Mickey, un sacrificabile, è quello di portare a termine operazioni pericolose e spesso letali, dato che la sua coscienza e i suoi ricordi sono stati salvati e il corpo di un suo nuovo clone può essere “ristampato” dopo ogni morte.
A sei anni dall’uscita del pluripremiato Parasite, il regista Bong Jooh-ho torna in sala con Mickey 17, un’opera che nella sua filmografia sembra allo stesso tempo una deviazione e una continuazione naturale. Tratto dal romanzo di fantascienza Mickey7 di Edward Ashton, il racconto ha luogo in un affascinante quanto degradante futuro distopico, un’ambientazione che permette al cineasta sudcoreano di affrontare le tematiche che più gli stanno a cuore in modo creativo e sopra le righe.
In Mickey 17 sono presenti infatti i temi attualissimi che permeano l’intera produzione di Bong, ma a livello contenutistico e stilistico il film si pone in continuità soprattutto con le altre due pellicole girate dal regista al di fuori della Corea, Snowpiercer e Okja.
Mickey 17, i temi del film e le interpretazioni
Bong non solo sceglie di utilizzare anche qui un tono più leggero, ma alza la posta confezionando una vera e propria commedia grottesca ma non disimpegnata, una satira sul capitalismo che racconta l’emergere di una coscienza di sé – e di una coscienza di classe – e contemporaneamente si configura come un racconto favolistico e universale sulla stupidità e sulla crudeltà umana.
La critica socio-politica del film, che ricorda anche un incrocio tra Terry Gilliam e Povere Creature!, viene sbattuta in faccia allo spettatore in modo così volutamente plateale da superare ogni possibile dubbio sulle intenzioni del regista. Nonostante il piglio più scanzonato e macchiettistico, Bong dimostra anche questa volta di essere un maestro nel mescolare e nell’alternare i registri sullo schermo.

Il sempre più versatile Robert Pattinson contribuisce in modo non trascurabile a stabilire sin dai primissimi minuti quello che sarà il tono dell’opera, grazie alla sua interpretazione di un personaggio oppresso a cui non viene assegnato alcun valore, che risulta immediatamente adorabile – anche grazie alla sua voce fuori campo che caratterizza e scandisce gran parte della pellicola. E, in lingua originale, l’accento perfezionato dall’attore di The Lighthouse e The Batman vale il prezzo del biglietto.
Al filone principale sulle diseguaglianze e sullo sfruttamento che le alte sfere della società riservano ai più deboli, si collegano quelli ambientalisti e antispecisti già affrontati in Okja, che sfociano poi in una visione della guerra come spettacolo portato avanti dall’ignoranza e da assurde mire espansionistiche, un palcoscenico che offre opportunità di guadagnare consensi in un mondo in cui le persone sono disperatamente alla ricerca di leader da seguire e adorare.
In questo caso, è Mark Ruffalo a interpretare l’uomo forte che guida la spedizione verso il pianeta remoto, offrendo una prova divertente in un ruolo “alla Trump” con velleità eugenetiche che altri attori avrebbero forse saputo sfruttare meglio. Curiosamente, sia il personaggio di Mark Ruffalo sia quelli di Pattinson si fanno volentieri guidare dalle loro dolci metà, rispettivamente interpretate da Toni Collette e Naomi Ackie, a dimostrazione del focus che il film pone anche sull’affermazione del femminile, senza mai risultare manicheo o pedante.

Mickey 17, le conclusioni
Sono parecchi i temi toccati dal film, anche solo di sfuggita, tanto che l’insieme potrebbe risultare persino superficiale da chi si aspetta un’opera di fantascienza pura, ma una volta accettate le regole poste dalla pellicola, questo viaggio che parte come la tragicommedia di una “cavia umana” e si conclude con una sommossa collettiva diventa una giostra che diverte e da cui si scende con soddisfazione, nonostante almeno un aspetto portante del film non venga adeguatamente giustificato dal racconto. Parlarne in modo più approfondito equivarrebbe a spoilerare.
Il film ha un avvio piuttosto trascinante, ma qualche incertezza di montaggio fa traballare a sprazzi il ritmo, fino all’ultimo atto che chiude bene questa storia di affermazione individuale e sociale in cui il protagonista si eleva dalla sua condizione di numero, prolungandosi però per diversi minuti più del necessario.
Mickey 17 è un’opera che conferma il talento di Bong nel fondere i generi e nel porre in modo originale questioni quanto mai attuali. Non è tra le produzioni migliori del regista sudcoreano, ma è un film sorprendente che riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati. Sarebbe interessante vedere Bong-Joon-ho alle prese con film dalle ambizioni più elevate anche nei suoi lavori “americani”, invece di assistere a versioni light di quello che può offrire. Ma lamentarsi sarebbe un crimine, finché tali versioni hanno la freschezza di Mickey 17.