Un paio di mesi fa, a Edimburgo, una équipe di scienziati, assieme a registi e scrittori, si è messa a misurare le reazioni fisiche degli spettatori che assistevano a film del terrore. Il risultato? I film del terrore fanno paura
A leggere una notizia del genere la prima cosa che viene da dire è “roba da inglesi”, che scommettono sulle cose più bizzarre e s’interessano alle faccende più strampalate, invece il primo a fare questo genere di studi è stato Uri Hasson, professore di neuroscienza cognitiva dell’Università di Trento. Comunque sia, pare che le pulsazioni cardiache, che normalmente vanno da 60 a 80 battiti al minuto, nelle scene più terrificanti accelerano fino a superare i 160 battiti, poi il corpo può reagire con brividi, sudore, panico, senso di oppressione.
Al che sorgono spontanee due domande: uno, perché queste reazioni, visto che si tratta di finzione? Due, visto che si tratta di reazioni che, normalmente, sono percepite come sgradevoli, come mai ci sono veri e propri appassionati del genere? A queste domande risponde il professor Gilliard Lach, dell’Università di Edimburgo. Secondo Lach, le immagini di un film del terrore arrivano in maniera talmente rapida al cervello che non gli permettono un’attività previa. Questo impulso, che lui chiama jump scare, colpisce direttamente l’amigdala, dove si processano le emozioni, e genera una reazione istintiva di lotta o fuga: di fronte a una minaccia imminente la mente ci prepara a difenderci o scappare. Il cervello ordina all’adrenalina di scattare, il cuore accelera, l’ossigeno fluisce in maniera più copiosa e i muscoli si preparano per rendere al massimo. Anche se la minaccia sta solo sullo schermo, lo spettatore è comunque pronto a vendere cara la pelle o ad alzare i tacchi, cosa che a volte succede veramente. Altri gridano perché, sempre secondo Lach, essendo gli uomini animali sociali, in questo modo avvertono gli altri del pericolo. Solo in un secondo momento interviene la parte razionale del cervello: la mente compara quello che ha visto con la memoria immagazzinata nell’ippocampo e realizza che Norman Bates non lo può accoltellare, Dracula non lo può mordere e via dicendo. A seguito di questa constatazione il corpo si rilassa, fino allo spavento successivo, e tutto ricomincia da capo.
I film del terrore, quindi, funzionano come una sorta di vaccino: gli stati – sotto controllo – di ansia dello spettatore possono aiutarlo ad affrontare la vita reale. Superare uno spavento indenni dà soddisfazione, come pure si è rasserenati dalla sopravvivenza dei protagonisti alla fine del film. Esiste, però, il rischio di un effetto contrario, ossia l’aumento dell’ansietà latente che si somma a quella che lo spettatore ha già accumulato per conto proprio; una tensione che si prolunga anche dopo la fine del film. Questi sono gli spettatori che, quando tornano a casa, accendono tutte le luci e guardano sotto i letti. Anche se non è necessario vedere film del terrore per avere i mostri sotto il letto.