Platoon (Id.)
Regia, soggetto e sceneggiatura: Oliver Stone; fotografia (colore): Robert Richardson; scenografia: Rodel Cruz, Doris Sherman Williams; montaggio: Claire Simpson; colonna sonora: Georges Delerue, Budd Carr; effetti speciali: Gionilda Stolee, Derek Howard, Ccecille Baun; costumi: Roy Lachica, Martin Raygon, Dwight Gaston; trucco: Tess Quismundo, Maria Cecina; suono: John Wilkinson, Richard D. Rogers, Charles Grenzbach e Simon Kaye; interpreti: Tom Berenger (sergente maggiore Barnes), Willem Dafoe (sergente Elias), Charlie Sheen (soldato Chris Taylor), Forest Whitaker (soldato Big Harold), Francesco Quinn (caporale Rhah), John C. McGindley (sergente O’Neill), Richard Edson (soldato Sal), Kevin Dillon (soldato Bunny), Reggie Johnson (soldato Junior Martin), Keith David (soldato King), Johnny Depp (soldato Gator Lerner), David Neidorg (soldato Tex), Mark Moses (tenente Wolfe), Chris Pedersen (soldato Crawford), Corkey Ford (soldato Manny Washington); produzione: Arnold Kopelson per Hemdale Film Corporation; origine: USA – 1986; durata: 120′.
Trama
Vietnam, settembre 1967. Il diciannovenne Chris Taylor (Sheeen)è uno studente. Proveniente da una famiglia agiata, potrebbe evitare di essere richiamato alle armi ma, per motivi ideologici, parte comunque per il fronte, arruolandosi come volontario. Appena arrivato al suo reggimento, cade in un’imboscata e si salva per miracolo. Chris viene iniziato alle esigenze di quella vita infernale, incluso l’abuso di droghe per dimenticare la nostalgia ed esorcizzare la paura. Il giovane e inesperto tenente Wolfe comanda il gruppo, ma i due veri leader sono il sergente Robert “Bob” Barnes (Berenger), cinico e spietato, e il ragionevole sergente Elias Grodin (Dafoe), ormai in Vietnam da tre anni.Il giorno di Capodanno 1968 il plotone cui Chris è stato aggregato subisce la perdita di due uomini, che saltano in aria su una mina. Come rappresaglia Barnes vorrebbe radere al suolo un villaggio, i cui abitanti vengono già sottoposti a continue angherie e torturati. Il giovane assiste allo scontro tra Barnes ed Elias, che si oppone al massacro. Un attacco vietnamita mette a dura prova i nervi dei soldati, anche perchè un tenente sbaglia a fornire le coordinate e il fuoco di copertura dell’artiglieria finisce per colpire le truppe amiche, decimandole. Fra Barnes ed Elias è il momento della resa dei conti: ferito dal collega, Elias viene lasciato solo e muore,inseguito e ucciso dai vietcong. Tornati alla base, Chris affronta Barnes, con l’intenzione di denunciarlo alle autorità militari, ma un nuovo attacco nemico, che annienta gran parte del plotone, gli impedisce di mettere in atto il suo proposito. Solo alla fine i due si sfidano. Ferito, il sergente è ridotto all’impotenza, incapace di reagire. Chris lo ammazza a sangue freddo, vendicando così la morte di Elias. Un elicottero lo porta in salvo.
Un guerrigliero della storiografia
Oliver Stone, premiato nel 1977 con l’Oscar come sceneggiatore per Fuga di Mezzanotte si autodefinisce così. In Vietnam c’è stato ed è convinto che l’America debba ancora fare i conti con quell’esperienza traumatica, una ferita ancora aperta secondo lui. Non sono dello stesso avviso gli studios più prestigiosi di Hollywood, i quali considerano l’argomento ampiamente esaurito dopo l’uscita de Il Cacciatore di Michael Cimino e Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Crede in lui la Hemdale Film Corporation, che ha all’attivo il grande successo Terminator di James Cameron e concede a Stone un budget di 6 milioni di dollari. La scelta degli attori non si rivela facile: si tratta di girare per 2 mesi nelle Filippine, una nazione sull’orlo della guerra civile (a questo proposito è bene ricordare le numerose traversie incontrate da Coppola, che aveva girato qualche anno prima negli stessi luoghi). La parte del protagonista viene offerta a James Woods, già attore principale quello stesso anno in un altro film di Oliver Stone, lo sfortunato Salvador (pur ritenuto da molti critici superiore a Platoon questo film fu un insuccesso al botteghino, mentre agli Oscar ebbe due segnalazioni per l’attore protagonista e la sceneggiatura)ma quest’ultimo rifiuta. La scelta cade quindi sul giovane Charlie Sheen, figlio di Martin, il protagonista di Apocalypse Now. Nelle parti dei due sergenti che si sfidano per l’anima della recluta Taylor vengono scelti Tom Berenger e Willem Dafoe, i quali danno vita a un dualismo tra i più intensi degli anni ’80. Nonostante le interruzioni in 54 giorni il film viene ultimato, per esordire nelle sale a dicembre del 1986. Stone recupera ben presto i soldi spesi, finendo per incassare, solo negli USA, 138 milioni di dollari. Il 31 gennaio 1987 Platoon riceve il Golden Globe come miglior film drammatico, cui si aggiungono i riconoscimenti a Oliver Stone come miglior regista e a Tom Berenger miglior attore non protagonista. La strada verso l’Oscar è spianata.
Il racconto del Redattore
La cinquina dei titoli in concorso per il miglior film, oltre a Platoon, vede figurare Hannah e le sue sorelle di Woody Allen, che l’Academy tenta invano di convincere a partecipare alla cerimonia (il geniale Woody rifiuta per suonare il clarinetto a New York con la sua band e dichiara che per lui Velluto Blu è il miglior film dell’anno: anche grazie a questa investitura, David Lynch ottiene la sua prima nomination da regista). Questa agrodolce commedia vince 3 statuette per gli attori non protagonisti Michael Caine e Dianne West e per Allen sceneggiatore. Poi c’è Mission di Roland Joffè, con uno straordinario Robert De Niro, che vince per l’abbagliante fotografia di Chris Menges, mentre la colonna sonora di Ennio Morricone, premiata col Golden Globe è battuta a Los Angeles da quella del film francese ‘Round Midnight. Altre due pellicole singolari completano l’elenco: Camera con Vista dell’inglese James Ivory e Figli di un Dio minore della sconosciuta Randa Haines. Il primo è un film in costume, girato con maestria e in punta di fioretto, tratto dal romanzo omonimo di E.M. Forster e corredato da una sceneggiatura adattata con perizia da Ruth Prawer Jhabvala, premiata con l’Oscar, mentre altre tre statuette vanno alla scenografia (curata fra gli altri dagli italiani Gianni Quaranta ed Elio Altamura), agli splendidi costumi ottocenteschi già citati e all’attrice non protagonista Maggie Smith che vince il suo secondo Oscar per l’impegno profuso nel proteggere – invano- la virtù della sua protetta. Il secondo, Children of a lesser God, furbo e strappalacrime quanto basta, racconta della contrastata storia d’amore tra una giovane sordomuta e un professore, rientrando in quella serie di pellicole che tanto piacciono negli anni ottanta: basso budget, atmosfera rarefatta, sceneggiatura commovente. Tutto nella norma,se non fosse che la ventenne Marlee Matlin sordomuta lo è per davvero e conquista l’Oscar come miglior attrice protagonista. Dal palco, visibilmente emozionata, ringrazia i genitori nella lingua dei segni, intenerendo la platea del Dorothy Chandler Pavilion che la applaude senza riserve (filmato in alto). Un Oscar a testa ricevono Aliens-Scontro Finale, adrenalinico secondo capitolo del fortunato franchise magistralmente diretto da James Cameron (effetti speciali), il futuro cult-movie La mosca di David Cronenberg (per il trucco e non potrebbe essere altrimenti) e il campione d’incassi dell’annata, Top Gun (per la canzone Take my Breath away, scritta da Giorgio Moroder e cantata dai Roxette) che lancia come divo planetario il pilota Tom Cruise. Ultima nota per il grande Paul Newman che, dopo il premio alla carriera dell’anno precedente spiazza tutti vincendo il suo secondo Oscar per Il colore dei Soldi, nel quale riprende i panni del campione di biliardo Eddie Felson, a venticinque anni di distanza da Lo Spaccone, film di Robert Rossen per il quale era stato nominato senza vincere. Al tradizionale ballo che segue la consegna, un amico lo trova seduto in un angolo, pensieroso e gli chiede: “Cos’hai? Secondo te è troppo poco? È arrivata troppo tardi?” Newman riflette e poi risponde: “Mi sento come uno che corteggia una bella donna per quarant’anni. Alla fine lei gli dice sì e lui si ritrova a dirle di essere un po’ stanco, ecco come mi sento.”
La serata si conclude col trionfo di Platoon e di Oliver Stone: 4 Oscar al film, alla regia, al montaggio e al sonoro. Sorprende soprattutto la padronanza del regista nel muovere la macchina da presa, che corre dietro ai personaggi, con un uso insistente del teleobiettivo. I protagonisti sono stereotipi da film bellico (il cattivo Barnes è un ottimo combattente, il buono Elias è inutilmente compassionevole, il giovane Taylor deve farsi le ossa, soffrendo e inorridendo davanti alle atrocità cui è costretto ad assistere) come sono tipiche, ma proprio per questo efficaci, le situazioni (imboscate, fuoco amico, interventi degli elicotteri). Il tutto culmina nell’uccisione di Barnes, ripresa al rallentatore (qui accanto puoi apprezzare il fermo immagine della scena, incluso nella locandina del film): Tom Berenger – perfetto e convincente nel ruolo – cade in ginocchio allargando le braccia, come un Cristo sacrificato a Marte, Dio della Guerra. Il film possiede il fascino dell’eccesso, del furore e dell’astuzia narrativa: lo racconta la voce di Chris in una serie di lettere indirizzate alla nonna: “Io ora credo, guardandomi indietro, che non abbiamo combattuto contro il nemico… abbiamo combattuto contro noi stessi. E il nemico era dentro di noi. Per me adesso la guerra è finita, ma sino alla fine dei miei giorni resterà sempre con me. Come sono sicuro che ci resterà Elias, che si è battuto contro Barnes per quello che Rhah ha chiamato: il possesso della mia anima. Qualche volta mi sono sentito come il figlio di quei due padri. Ma sia quel che sia… quelli che tra noi l’hanno scampata, hanno l’obbligo di ricominciare a costruire. Insegnare agli altri ciò che sappiamo e tentare con quel che rimane delle nostre vite di cercare la bontà e un significato in questa esistenza.”