L’amore secondo Kafka (Die Herrlichkeit des Lebens/The Glory of Life) è il commovente film tedesco che racconta l’ultimo anno di uno dei più grandi scrittori del Novecento: Franz Kafka (1883-1924). Non si tratta quindi di un racconto esaustivo della vita del malinconico e sfortunato scrittore boemo, ma il lungometraggio si sofferma essenzialmente sull’ultimo capitolo della sua vita all’insegna sì della malattia, ma soprattutto dell’amore per Dora Sterling, senza dimenticare preziosi riferimenti al suo altro grande amore di una vita, la scrittura ovviamente, accompagnata da alcune meravigliose citazioni provenienti dalle sue indimenticabili opere e talune peculiarità nel suo altrettanto inconfondibile stile di scrittura.
Il film è stato diretto da Judith Kaufmann e Georg Maas, con la sceneggiatura scritta da Maas, Michael Gutmann e Michael Kumpfmüller, ed è basata sull’omonimo romanzo di Kumpfmüller del 2011. I protagonisti della pellicola sono l’attore romeno naturalizzato tedesco, Sabin Tambrea, e l’attrice tedesca naturalizzata olandese, Henriette Confurius. Il film sarà nelle sale italiane dal 31 ottobre distribuito da Wanted Cinema.
L’amore secondo Kafka. La trama.
Un ultimo e coraggioso sospiro d’amore sul fragile e delicato filo della vita
Franz Kafka è indubbiamente uno degli scrittori più amati dagli amanti della letteratura. Autore di moltissimi romanzi celeberrimi come Il Castello o Il Processo, ma anche di racconti brevi di forte intensità emotiva come La Metamorfosi o di appassionati e struggenti epistolari amorosi come Lettere a Milena.
Ma la vita dello scrittore ceco, sebbene oggi sia conosciutissimo e amatissimo, è stata tutt’altro che immune dall’infelicità, dalla solitudine, dalla povertà e dalla malattia. Da sempre delicato di salute e affetto dalla tubercolosi, lo troviamo nel suo ultimo anno di vita a Graal-Müritz con la sorella e la sua famiglia, graziosa località nella Germania settentrionale alle sponde del Mar Baltico, con un destino segnato. Franz Kafka (Sabrin Tambea) sa già infatti che la sua esistenza è agli sgoccioli e che il destino gli ha riservato oramai poco tempo da vivere.
Se però la sua sorte, da una parte gli sta portando via la sua giovane vita (ha quasi quarant’anni), dall’altra gli offrirà un ultimo regalo da scartare per allietare un minimo quest’ultimo suo anno di vita: un grande amore da vivere in tutta la sua intensità.
Un sentimento così forte quello dello scrittore ceco, che lo fa diventare finalmente consapevole e libero di poter amare con tutte le sue forze la giovane e dolce Dora Sterling (Henriette Confurius) di quindici anni più giovane, aspirante attrice e insegnante, che in una malinconica giornata sulla spiaggia, all’improvviso ravviva una vita che oramai sembrava andare tristemente alla deriva e non destinata più quindi a dare al grande scrittore ceco, alcuno scopo realmente vitale per cui vivere, con la sola consolazione della scrittura a salvarlo dall’oblio di un’esistenza non vissuta.
Franz infatti appare fin dalle prime scene, dietro la maschera di finta allegria e serenità che mostra ai bambini a cui racconta una favola, come un uomo apparentemente già sconfitto dalla vita e completamente soggetto alle decisioni dei propri autorevoli genitori e dell’onnipresente sorella Ottla (Alma Hasun) a fare le loro veci.
In particolare appare sottomesso alla gigantesca figura del padre autoritario (il quale, come la madre, non compariranno però mai sullo schermo, mostrandosi quasi più come entità divine che come amorevoli genitori) dal quale il giovane, forse per una debolezza dovuta alle sue sempre precarie condizioni fisiche, ma anche per un’intrinseca debolezza di carattere, accompagnata da un’estrema timidezza e una poca determinazione nel determinare da sé il proprio destino, ne è pressoché e totalmente schiavo.
Dora diventa, per tutti questi motivi e molto di più, la spinta vitale dello scrittore ceco nei suoi ultimi battiti di vita. Una volta che entra nella sua vita, Franz, anche grazie agli alti e bassi che la tubercolosi regala al malato taluni momenti di apparente buona salute, incomincia a modo suo, da uomo poco esperto di questioni amorose e tagliando drasticamente il tempo dedicato alla scrittura e alla solitudine, timidamente a corteggiarla e da lei corrisposto, inizia a frequentarla sempre più assiduamente.
Nonostante però l’interesse amoroso manifestato da entrambi, Franz non vuole illuderla per quanto riguarda la possibilità che la loro storia possa avere un futuro medio-lungo: sa che la sua vita è agli sgoccioli, e da uomo consapevole della propria precaria condizione, non vuole legarla a sé con l’inganno per un amore destinato inevitabilmente e non per volontà sua, a sfiorire presto.
Più volte proverà infatti ad allontanarla, ma l’amore sincero che nonostante tutto Dora gli dimostra, lo spingerà a continuare a vivere, andando ben oltre le sue forze affrontando quest’ultima sezione della sua vita, all’insegna della vitalità tra lunghe passeggiate, risate e corse in moto, diventando Dora insieme al tempo che dedica alla scrittura, la costante con cui Franz misura il tempo che gli rimane.
Un inaspettato Kafka. L’uomo oltre lo scrittore
Altro tratto che emerge in L’amore secondo Kafka è quello di mostrare l’anima estremamente buona dello scrittore boemo, il quale va d’accordo praticamente con tutti, in particolare con i bambini, come una sorta di Principe Myskin nell’Idiota di Dostoevskij, intrattenendo in quel desolato ma vivissimo paesaggio sul Baltico, splendidi momenti di vita in comunione con i più o meno piccoli del posto, tra favole e allegri divertimenti di ogni tipo, quasi a rivivere un’infanzia andata nei fatti perduta, a cui però l’anima rimane in qualche modo legata.
E’ un uomo infatti non votato al più cupo pessimismo e alla più nera malinconia, sebbene potrebbe legittimamente sembrare ad una prima analisi conoscendo un poco il soggetto a cui è ispirato il film e come spesso ci è stato ritratto anche in luce di alcuni suoi scritti, più inclini ad enfatizzare la cupezza rispetto alla gaiezza della vita.
Sorte che potremmo tranquillamente paragonare a quella che per diverso tempo anche un altro grande scrittore del secolo antecedente al suo, Giacomo Leopardi per l’appunto, era stato anche lui tacitamente accusato, valutando da parte dei critici, fin troppo superficialmente, la sua immensa poesia e quindi la sua figura di uomo a tutto tondo, relegandola solo al nero e tetro pessimismo che sembrava unicamente celare nei suoi scritti.
In L’amore secondo Kafka, ci viene invece raccontato come almeno nell’ultimo anno di vita dell’autore, e non solo in virtù dell’amore per Dora, lo scrittore ceco fosse un uomo in realtà, al di fuori della sua stanza (spesso non a caso mostrata nel suo aspetto più cupo e solitario, dove emerge la parte caratteriale più tormentata del personaggio di Franz) e a parte gli inevitabili e intimi momenti di drammatica accettazione della malattia, tutt’altro che portato alla sola e nera cupezza e poco incline a nutrire genuini sentimenti amorosi verso gli altri.
Al contrario, invece, in particolare dopo quel dolce e fatale incontro con l’amore, diventa un uomo ancora più intento e determinato a godersi appieno la meravigliosa semplicità della vita da lui tanto amata.
Anzi, possiamo notare come spesso, in particolare con le persone che ama di più come Dora o l’amico fraterno Max Brod (Manuel Rubey) ma non solo, nonostante la sua precaria salute, cerchi comunque di vivere appieno i momenti di spontanea e spensierata allegria che la vita gli dona, accompagnati da quell’innata propensione alla bontà e alla speranza di cui è sanissimo portatore, da donare senza risparmiarsi a coloro che incrociano un tratto di strada in sua compagnia.
Franz Kafka dimostra di essere però, anche in virtù di quest’ultimo dono che la vita gli ha inaspettatamente regalato sul finire della vita, una persona estremamente orgogliosa.
Se da una parte infatti rimane una debolezza di carattere nel fuggire completamente dai dettami della propria famiglia (invidia e non a caso ama in Dora, questo suo essere al contrario di suo, una persona libera), e sebbene le sue a dir poco precarie condizioni di salute, non si piega mai, per quanto è possibile e forse in virtù dell’esempio offertole dall’amata, alle rigide regole che lo vedrebbero rinchiuso in un sanatorio o in una qualche tetra stanzetta ben riscaldata e a vivere la sua vita in completa solitudine.
Come il suo personaggio di Gregor Samsa de La Metamorfosi, orgoglioso e stoico rimane nonostante tutto ben determinato a decidere come lui percorrerà l’ultimo chilometro della sua vita: in povertà e solo con Dora vicino in una stanzetta poco riscaldata come nella realtà della vita, oppure completamente isolato in casa sua e senza alcun aiuto da parte di nessun componente della sua famiglia come un enorme scarafaggio nella sua stanzetta poco gradito come avviene in questo suo celeberrimo racconto, sarà lui, nessun altro, finché ne avrà le forze, a decidere le sorti di quest’ultimissima fase della sua esistenza.
Vuole vivere a suo modo e senza limiti l’amore con Dora, sebbene in condizioni spesso proibitive, visto che non si tratta in quel momento di uno scrittore famoso e sia pieno di soldi, ma anzi sarà in vita talmente povero da dover addirittura decidere se chiamare il dottore per curarsi o meno, anche in condizioni evidentemente assai critiche dato il suo perenne stato tubercolotico.
Nonostante la povertà, però, se lesinerà sul mangiare e sul curarsi in maniera adeguata, il grande scrittore boemo non rinnegherà mai di concedere tenerissimi gesti d’amore verso Dora regalandole, in uno dei suoi più generosi e spontanei slanci vitali, un costoso mazzo di fiori o graditissime improvvisate di estrema semplicità, e sarà solo per lei che deciderà di vivere a Berlino per starle vicino, facendo di tutto pur di vivere appieno quell’ultimo respiro rimasto in sospeso sulla soglia della vita.
Un ultimo anno vissuto appieno tra romanticismo e scrittura
C’è infatti un prima di Dora nella vita di Franz, che però non ci viene mostrato nello specifico come flashback sul passato, ma da ciò che lo stesso scrittore rivela all’amata attraverso la parola o la scrittura. La sua vita prima di lei, è di fatto povera esternamente di grandissime emozioni, mentre internamente al contrario è assai vitale proprio grazie alla scrittura, la quale nelle sue solitarie notti gli tiene compagnia nel più estremo silenzio. E’ infatti solo in quelle determinate condizioni e fuori dal caos circostante che riesce a liberare i suoi profondi pensieri e trasmetterli con forza su carta.
Nonostante però questo sfrenato amore per la scrittura, non riesce, forse anche in virtù di questo, infatti mai a concludere per intero i suoi racconti, i quali appaiono perennemente sospesi su una fine non ben determinata, come se le sue parole fluttuassero costantemente in un infinito mare, ma non conoscano alla fine mai un porto fisico dove poter attraccare e realizzarsi così completamente.
La vita, l’amore e la scrittura in Kafka, sembrano essere tutte particelle di un’esistenza talmente profonda da non essere destinate ad essere canalizzate in una fine vera e propria come la natura umana imporrebbe per poterle concretamente spiegare.
Infatti all’interno di questo delicato lungometraggio, ci sono riferimenti sparsi riguardanti il suo stile di scrittura: dalla sua preferenza o meno sui periodi lunghi da utilizzare all’interno di una frase, a citazioni riferenti ad alcune sue opere o ancora ad episodi raccontati nelle sue lettere che si tramutano in realtà davanti ai nostri occhi, spiegandoci a suo modo come la scrittura sia, tra le altre cose, una vera e propria appendice della vita e non estranea ad essa.
Il film è anche, in tutta la sua drammaticità di cui è fortemente intriso, un vero e proprio bagaglio di topos riferiti all’amore romantico.
A partire dai fiori, per l’appunto, da quelli donati a Dora agli sterminati campi floreali che accompagnano le sue passeggiate con lei, arrivando a boschi e giardini botanici cittadini in cui i polmoni di Franz riescono a respirare con più facilità.
Ci sono ovviamente le lettere che però si scompongono, come per altri elementi del film, in tutti i vari colori e in tutto il loro ventaglio di possibilità: c’è infatti il chiaro abbagliante ad accompagnare quei fragili momenti di felicità, ma anche la cupezza con il medesimo elemento per raccontare episodi decisamente meno lieti della vita dello scrittore ceco.
Le sue lettere subiscono infatti questa alternanza di emozioni positive e negative che vanno oscillando come le sue condizioni di salute, tra il bene e il male.
Da quelle più chiare in cui si esprime a Dora, in maniera più o meno diretta e dolce i suoi sentimenti di eterna riconoscenza per l’amore donatogli, a quelli teneri in cui consola una bambina che ha perso la bambola inventando una delicata storia per far tornare a sorridere la bambina (risalente ad un episodio realmente accaduto nell’ultimo anno di vita di Kafka), arrivando all’amara e struggente lettera al padre, in un clima chiuso e solo flebilmente illuminato.
Gli spazi chiusi in L’amore secondo Kafka, con l’inevitabile passaggio dal giorno alla notte, in piena simbiosi con lo stato d’animo del grande scrittore boemo, sembrano di fatto imprigionare quell’energia vitale che quegli elementi possedevano al di fuori di quelle mura e che ora, chiusi in quello spazio circoscritto muoiono come lo spirito vitale di Franz, rivelando quindi la loro natura più oscura.
Senza dimenticare, ovviamente, un altro elemento romantico per eccellenza come la panchina, da sempre romantico e malinconico simbolo del cinema e non solo; basti pensare a film come Forrest Gump o Neverland – Un sogno per domani, per poter cogliere la forza intrinseca di un comune oggetto utile per sedersi, e che è divenuto nel corso dei secoli, anche grazie alla letteratura, eterno simbolo di attesa dei vari moti a cui è perennemente soggetto l’essere umano, quello amoroso su tutti: dalla felicità di un “si” insperato, arrivando ai momenti di estrema e malinconica solitudine in cui finiscono certi amori.
Quella panchina, custode di profonde riflessioni o di un amore in attesa di poter slanciarsi in piedi nella vita reale, luogo unico dove conservare un dolce ricordo o al contrario la malinconia di un tempo che fu e che mai più sarà.
L’amore secondo Kafka. Una brillante regia tra luce e oscurità, tra spazio aperto e chiuso
In L’amore secondo Kafka, infatti luce e oscurità si rivelano elementi nient’affatto accessori, ma anzi fondamentali del film e non necessariamente però portatori di significati certi e univoci.
Splendido l’uso metaforico, quasi pittorico della malattia, che in alcuni casi diventa uno splendido quadro pieno di luce che invita, nonostante magari la drammaticità del momento, alla serenità e al ricordo dei bei momenti del passato, ridando una nuova vita a quei luoghi, legati in origine a un bel ricordo affievolendo con esso, la pesantezza di un determinato spazio, come può essere l’interno di un triste contesto ospedaliero, lasciando spazio grazie a questa nuova prospettiva, alla speranza della vita e all’amore, come se si potesse celare, sotto un magnifico e luccicante telo bianco baciato dal sole, tutti quei sentimenti negativi che nella realtà sarebbero rappresentati da un triste letto in un’anonima stanza d’ospedale.
Questo romanticismo delicato e mai espresso in tutta la sua forza animale, fa sì che il film, non resti relegato al cupo pessimismo, ma che attraverso paesaggi marini, floreali e boschivi si attutisca la sensazione di claustrofobia di luoghi tetri e spazi chiusi.
Campi lunghi e sterminati che ci mostrano uno spazio solare all’aperto o al chiuso che sia, in tutta la sua ampiezza, o al contrario stanze piccole e buie, che ci danno l’impressione quasi di non respirare.
Sentimenti opposti che fanno sì di attenuare da una parte l’avvicinarsi dello scuro spettro della morte, mentre dall’altra per non far sì che ci si dimentichi che dietro tanta bellezza ci sia comunque sempre la realtà e il suo immancabile velo di malinconia che porta sempre con sé.
Utile espediente per staccare dalla pesantezza di un momento negativo è la scelta dei registi di rappresentare, per esempio, il cattivo rapporto di Franz con alcuni dei mobili della sua stanza, alcuni in realtà amici, altri come la stufa, subdola nemica, persecutrice e colpevole primaria di togliergli l’ossigeno di cui ha bisogno per respirare, lasciandosi andare a leggere e simpatiche invettive contro quell’oggetto ostile, ultimo baluardo dell’autorità che se da una parte lo scalda e lo tiene in vita, dall’altra con gli intangibili fumi che emana, ne intossica i fragili bronchi dello scrittore boemo, impedendogli così di respirare liberamente la vita appieno.
L’amore secondo Kafka. Conclusioni
L’amore secondo Kafka non è indubbiamente un film che pretendere di andare a ritmi vertiginosi e anzi si espone coraggiosamente a raccontare la vita di uno scrittore tra i più intimisti del Novecento e con una vita non così piena di eventi spettacolari dovuti alla fragilità fisica in cui era costretto a vivere, quindi non assolutamente facilmente tramutabile in efficace arte cinematografica.
Nonostante tutto, però, il film riesce a non essere soltanto un melodrammatico racconto dell’ultimo anno di vita di uno scrittore triste e mesto, ma cerca anzi al contrario, al di fuori della drammaticità della situazione in cui si trova, di sprigionare quella vitalità che certamente Kafka in sé possedeva, nonostante le difficoltà derivanti dal suo cagionevole stato di salute e una natura fortemente ritrosa ad aprirsi e a sbottonarsi con gli altri, facendone emergere a tratti anche un aspetto inedito dello scrittore, un uomo ironico e autoironico, romantico, ma non smielato, sognatore, ma anche determinato a vivere la sua realtà nella maniera migliore possibile.
Delicata e mai sopra le righe l’interpretazione dei due protagonisti, eppure rimane emozionante nell’intensità che entrambi riescono ad esprimere con l’estrema semplicità che una breve, ma intensa storia d’amore, senza picchi o ostacoli apparenti, se non quello del tempo, deve esprimere.
Tutta questa gioia di vita, come richiamata dal titolo originale, esce proprio grazie all’amore per Dora, arrivato forse troppo tardi in quella fragile e delicata esistenza, ma appena in tempo per regalare allo sfortunato scrittore boemo un ultimo sospiro di vita fatto sì di scrittura, ma soprattutto di amore.