Sono passati sessant’anni da quando Giovanni Busacca e Oreste Jacovacci si sono incontrati al fronte e hanno fatto il possibile per imboscarsi, fino all’atto eroico finale
Non siamo rincretiniti, sappiamo benissimo che la Grande Guerra è finita da ben più di sessant’anni, visto che ne è stato celebrato il centenario lo scorso anno. La Grande guerra della quale vogliamo parlare è il film di Mario Monicelli, del 1959, prima commedia all’italiana a strappare un leone d’oro, ex-aequo col Generale Della Rovere di Rossellini. Sempre a Venezia fu dato un premio speciale ad Alberto Sordi. Lo stesso Sordi, assieme all’altro protagonista, Vittorio Gassman, vinse il David di Donatello, ovvero l’Oscar italiano e, infine, il film ottenne una nomination per l’Oscar. Non male per un prodotto considerato di serie B dalla critica: “La commedia all’italiana è stata trattata come spazzatura finché è arrivata la critica francese a rivalutarla“, diceva Monicelli.
A Venezia furono quasi costretti ad assegnare il leone d’oro a furor di popolo. “Il Leone d’oro è stato dato con una certa riluttanza. – racconta ancora Monicelli – In qualche modo quel premio è stato assegnato per volere del pubblico che durante l’ultima serata alla Mostra del Cinema di Venezia ebbe una tale reazione positiva che in qualche modo finì per forzare il giudizio della giuria“.
Il film partì malissimo
Già la notizia che Monicelli volesse fare una commedia sulla grande guerra indignò la stampa nazionale, che invocò la censura preventiva, accusando il regista di voler ridicolizzare l’eroismo dei soldati italiani al fronte. Fu Dino De Laurentiis, lo storico produttore, a ottenere il nulla osta per il film grazie ad alcuni colloqui con Belzebù in persona, ossia l’onnipotente Giulio Andreotti.
Il milanese Giovanni Busacca, Gassman, e il romano Oreste Jacovacci, Sordi, incarnano sia il peggio, sia il meglio degli italiani: i classici antieroi che, alla fine, si sacrificano per il proprio paese ma, soprattutto, per respingere l’immagine che se ne ha all’estero.
Il film aveva comprimari di prim’ordine, oltre a Tiberio Murgia, prediletto da Monicelli, c’erano Romolo Valli, Ferruccio Amendola, Bertrand Blier e Silvana Mangano. Furono ricostruite le trincee e, a fare da comparse, furono scelti centinaia di soldati di leva che andavano e venivano in continuazione sulle scene. Direttore della fotografia era Mario Maffei. Di lui diceva ancora Monicelli: “Se uno ci fa caso, in ogni inquadratura della Grande Guerra c’è sempre qualcos’altro che accade dietro la scena principale. Sono “fondi” nei quali succede un’iradiddio, gente che cammina, soldati che sfilano, giovani che passano la visita… tutti manovrati da Maffei. Posso dire che c’era una vera e propria regia solo per i fondi“.
La grandezza del film, infatti, non sta solo nella indiscussa bravura dei due protagonisti, ma nella miriade di personaggi che i due incontrano: popolo minuto. Come a dire che le guerre le vincono re e generali, ma a viverla sulla loro pelle sono sempre i poveracci come i due pavidi Busacca e Jacovacci che, sul punto di tradire, offesi dal disprezzo degli austriaci, muoiono da eroi.
Spesso abbiamo parlato della “Commedia all’italiana”,
dato che, assieme al Neorealismo, è uno dei punti di forza del nostro cinema. Ma abbiamo sempre cercato di fare dei distinguo fra i film che vengono inventariati nel genere perché, spesso, con “Commedia all’italiana” viene catalogata anche autentica spazzatura.
Comunque sia, il nostro amore per Germi, Risi e Monicelli rimane intatto e vorremmo chiudere con una delle ultime interviste a Monicelli che parla del genere che lo ha reso indimenticabile: “La commedia non l’abbiamo certo inventata noi, viene da molto lontano. Il termine “all’italiana” era stato scelto dai critici dandogli un significato negativo, quasi a indicare una cosa di second’ordine. Poi, grazie alla sua affermazione a livello internazionale, è diventato un titolo di merito. È un tipo di commedia che sappiamo fare solo noi italiani, questo sì. I miei film, ma anche quelli di Germi, di Risi in un primo tempo sono stati considerati dalla critica come spazzatura; è stata la Francia con i critici di Le Cahiers du Cinema, di Positif che ha cominciato a lodarla, finendo per considerarla un tipo di cinema straordinario e fuori dalla norma. Da lì tutto è andato benissimo“.