Ci sono favole che rivivremmo infinite volte, e tutte le volte ci comunicano e ci fanno provare emozioni nuove e sconosciute; ci sono storie che a raccontarle, quasi non ci si crede, ma alle volte accadono davvero; ci sono film che ci entrano talmente nel cuore, che ogni volta, vederli finire, ci lascia il vuoto, e saremmo disposti a rivederli ancora e ancora, perché ci fanno stare bene, ci fanno sognare.
Uno fra questi, è Pretty Woman, classe 1990, la moderna cenerentola che da decenni continua ad incoronare adepti di ogni età, perché le storie semplici e quasi impossibili, sono sempre le più belle.
Uscì nelle sale statunitensi il 22 marzo di 31 anni fa per approdare nelle nostre sale qualche mese più tardi, a luglio, per entrare nella storia del cinema e non uscirne più.
Diretto da Gary Marshall, che ha poi riunito Richard Gere e Julia Roberts in un’altra commedia romantica (Se scappi ti sposo, 1999), Pretty Woman è forse il titolo più importante tra le commedie romantiche degli anni 90.
Complici indubbiamente la bellezza dei protagonisti, una colonna sonora strepitosa e una storia che continua a fare sognare anche a distanza di trent’anni, è una favola moderna, che aggiorna la storia di Cenerentola in chiave metropolitana, spingendo sulle differenze di classe che però nulla possono contro il trionfo dell’amore.
Con un budget di circa 14 milioni di dollari, la pellicola fu un enorme successo mondiale, guadagnando 178.406.268 dollari negli Stati Uniti e altri 285.000.000 dollari nel resto del mondo, per un totale di 463.406.268.
Divenne così il quarto film di maggior incasso del 1990 negli Stati Uniti e il terzo maggior incasso in tutto il mondo. In Italia, nella stagione 1990/91, si classificò secondo al box-office dietro Balla coi lupi di Kevin Costner.
Quasi scontato dare un’occhiata alla trama, ma riviverla ogni volta, è davvero un’emozione.
Edward Lewis è un affarista miliardario, che basa la propria fortuna sull’acquisto di grandi aziende sull’orlo del fallimento e la loro successiva vendita parcellizzata, una sera, trovandosi a Hollywood per concludere un affare, chiede informazioni stradali per Beverly Hills a Vivian Ward, una ragazza che fa la prostituta per mantenersi.
Certo, la strada non le si addice affatto, ragazza non solo bella e affascinante, ma anche istruita ed educata.
Lei sale in macchina e trascorrono la notte insieme, così Edward, colpito dalla sua simpatia e bellezza, la ingaggia per tutta la settimana; è un uomo d’affari e molto ricco, certo, ma anche solo separato dalla moglie e fresco di rottura con l’amante.
A un certo punto, il suo avvocato e amico Philip Stuckey gli consiglia di portare con sé una ragazza a una cena d’affari per fare colpo con James Morse, capo della grossa compagnia marittima che Lewis vuole acquistare.
Invita quindi Vivian e le lascia i soldi per comprarsi gli abiti adatti alla circostanza e nonostante le difficoltà legate anche alla diffidenza classista delle commesse dei negozi più chic, Vivian trova un valido aiuto nel direttore dell’albergo, Thompson che la manda nella sartoria di una sua amica e le insegna il comportamento da tenere a tavola nelle occasioni mondane, mentre il rapporto tra Vivian e Lewis cresce, e si trasforma in qualcosa di più profondo.
I retroscena
A vederla così è una storia bella, degna delle migliori favole certo, ma ci credereste se vi dicessi che non era proprio così che era stata pensata all’inizio?
Nello script originale la protagonista era anche una tossicodipendente che faceva uso di cocaina e la storia si sviluppava intorno alla sua riabilitazione grazie alla settimana trascorsa con Edward.
La sceneggiatura raccontava inoltre come, dopo alcuni giorni insieme i due litigassero, con lui che praticamente la sbatteva fuori da un’auto dopo averla obbligata a prendere i soldi e lei che, insieme a un’amica, anche lei prostituta, prendeva un autobus per andare verso Disneyland.
La storia si chiudeva con l’amica che diceva quanto era contenta di poter passare un weekend spendendo quei tremila dollari, e con la protagonista che invece fissava il vuoto davanti a lei.
E infatti, in un primo momento, quando ancora l’idea era quella di un film molto meno spensierato, si era pensato di chiamarlo 3000, che corrispondeva alla cifra che Edward avrebbe dovuto pagare per una notte con Vivian.
Per fortuna, una volta ottenuti i diritti sulla canzone Pretty Woman, la produzione decise di cambiare titolo.
Qualche anno fa Lawton, lo sceneggiatore, raccontò a Vanity Fair che aveva scritto 3.000 ispirandosi in particolare al film Wall Street, uscito nel 1987, e chiedendosi come sarebbe stato l’incontro tra uno di quei finanzieri che distruggevano le società degli altri e una donna, in questo caso una prostituta, a suo modo vittima della distruzione di quelle società.
La sceneggiatura originale, fu via via modificata – non è ben chiaro quanto dal regista e quanto dai produttori e dalla Disney, la società che finì per produrlo – ma Lawton spiegò che la cosa non gli creò particolare fastidio:
“È come se sei un architetto, costruisci una casetta nel bosco e poi arriva qualcuno che ti dice che vuole trasformarla in un grattacielo. […] L’arrivo della Disney, di un alto budget e di un regista famoso furono una gran cosa”.
La riscrittura trasformò il film in una commedia romantica con lieto fine, spostando sul personaggio dell’amica della protagonista (Kit De Luca) alcune delle caratteristiche della protagonista di 3.000, e togliendo gran parte dei momenti più espliciti.
A quanto sembra, nemmeno la coppia Roberts/Gere, così affiatata e complice nella storia, era così scontata all’inizio, e ci sono voluti un bel po’ di tempo e lavoro per metterla insieme.
Per il ruolo di lui, Edward Lewis, si che furono presi in considerazione, tra gli altri, Christopher Reeve, Daniel Day-Lewis, Denzel Washington e Al Pacino, mentre per interpretare lei, Vivian Ward, si furono provinate Karen Allen, Meg Ryan, Michelle Pfeiffer e Valeria Golino.
Si scelse invece il già molto famoso Richard Gere, che aveva recitato in American Gigolò e Ufficiale e gentiluomo, e la allora non molto famosa Julia Roberts, che comunque si era già fatta notare in Mystic Pizza e in Fiori d’acciaio.
Tra il resto del cast vale la pena segnalare Jason Alexander(Seinfeld, The Burning, Mosquito Coast, Cronisti d’assalto, Genitori cercasi, Joker – Wild Card) nei panni di Philip Stuckey ed Héctor Elizondo (American Gigolò, Leviathan, Se scappi, ti sposo, Pretty Princess) in quelli di Barney Thompson.
Dopo essere diventato commedia romantica con lieto fine e grazie alla particolare sintonia tra Gere e Roberts, Pretty Woman riuscì a trovare il giusto tono per raccontare l’inizio di una storia d’amore tra un ricco e apparentemente cinico affarista e una prostituta.
Tuttavia, anche Pretty Woman, nella sua versione definitiva, quella in cui l’abbiamo visto tutti, non piacque a molti critici.
Owen Gleiberman di Entertainment Weekly scrisse che era
“lento, serioso e senza ritmo”
e Richard Corliss di Time lo descrisse invece come un film
“prevedibile e vecchio, fatto come i vecchi film ma senza il fascino dei vecchi film”.
Sicuramente non ci avevano visto giusto, e come detto, il film fu un successo strepitoso, e non solo per la storia, ma anche per la colonna sonora, gli abiti e soprattutto per i luoghi scelti e per alcune scene indimenticabili.
La colonna sonora
La musica gioca un ruolo fondamentale nel film, soprattutto in alcune scene cult, come quella dello shopping su Rodeo Drive accompagnata da Oh pretty woman di Roy Orbison o quella in cui Vivian lascia l’hotel dove ha vissuto la sua favola sotto una pioggia battente e sulle note di It must have been love dei Roxette la cui leader Marie Fredriksson ci ha prematuramente lasciato qualche mese fa.
Ma la musica si respira anche nella stessa trama vissuta dai protagonisti, e con essa si intreccia.
L’opera che Vivian ed Edward vanno a vedere a teatro, ad esempio, è La Traviata di Giuseppe Verdi, orgoglio italiano che non a caso racconta proprio la storia di una prostituta che si innamora di un uomo ricco.
Le scene che vediamo nel film sono tre: la prima, con l’incontro tra Violetta e Alfredo. La seconda, quando Violetta abbandona Alfredo, dietro richiesta del padre di lui. E la terza, la morte di Violetta che colpisce talmente Vivian da farla profondamente emozionare.
Inedito ma sicuramente orecchiabile, è invece il brano che Richard Gere suona al pianoforte nella hall del The Beverly Wilshire, e se di solito, quando in un film si vede un attore dedicarsi ad attività manuali il più delle volte è una controfigura a svolgere quelle azioni, qui invece Gere suono realmente il pianoforte, e quella melodia era stata composta proprio da lui.
A dire il vero, tutta la colonna sonora ha avuto un successo strabiliante tanto da vincere il triplo disco di platino, che si ottiene dopo aver venduto più di 3 milioni di copie.
Un film alla moda
La questione abiti, è centrale in tutta la narrazione.
Se togliamo le volte in accappatoio, quelle in vestaglia, i vari négligé e i momenti in lingerie, gli outfit veri e propri sfoggiati da Julia Roberts, quelli per intenderci che hanno fatto la storia del costume, sono almeno una decina.
Tutto però parte dal minidress, quel vestito fonte di imbarazzo, quasi più per il direttore dell’elegante Beverly Wilshire Hotel che per lo stesso ospite, che è un po’ la sua uniforme quella in cui si sente più a suo agio, ovvero il succinto abito stretch con l’anello che congiunge avanti e dietro il top bianco e la mini tie-dye blu e bianca.
Per lei è un vero passepartout e anche il nostro sguardo ogni volta lo percepisce diverso a seconda che sia indossato con la giacca rossa oversize, da solo, con il soprabito di Edward o la sua camicia annodata in vita.
Quando però Edward le allunga il malloppo per fare shopping, tutto cambia e le indicazioni che da a Vivian sono di acquistare qualcosa di classico
“niente di troppo vistoso o troppo sexy”
“Squallido”
le risponde lei
“Elegante”
specifica lui.
L’operazione di cambio look, con buona pace del defunto Garry Marshall che ha firmato la pellicola, è opera della costumista Marilyn Vance:
“Il viaggio di Vivian inizia attraverso la moda, quando cerca aiuto per cambiare il suo guardaroba per adattarsi allo stile di vita di alta classe di Edwards”
ha raccontato la costumista,
“ogni abito, incluso l’abito rosso, è stato realizzato su misura per il suo personaggio, realizzando tutto in stile couture”.
La Vance era già una fuoriclasse a quel tempo: suoi i costumi, solo per fare qualche nome, di Bella in rosa, Breakfast Club e de Gli intoccabili, lavoro che nel 1988 le valse una nomination sia agli Oscar che ai Bafta.
Fu la prima donna a curare i costumi per i film d’azione (uno su tutti Die Hard) e tra le prime a comprendere l’importanza della moda nella cinematografia.
Non ci sono state statuette per lei per Pretty Woman (nessuna nomination agli Oscar mentre per i Bafta le preferirono Richard Bruno de Quei bravi ragazzi) anche se le sue creazioni per Pretty Woman, continuano ancora oggi a essere una pietra miliare e una fonte di ispirazione per la moda.
L’iconico vestito rosso della serata dell’Opera, con la scollatura a cuore e le spalle scoperte ad esempio, avrebbe dovuto essere nero. La produzione, infatti, lo voleva così, solo Marilyn Vance sapeva che rosso sarebbe stata la scelta giusta. Così, dopo aver realizzato tre differenti abiti e dopo altrettante prove ebbe la meglio, per fortuna!
Si perché probabilmente anche la collana che Vivian indossa ha avuto in questo modo più risalto; costata 250.000 dollari, durante le riprese era costantemente sorvegliata da un quando veniva utilizzato.
Sarà forse per smorzare la tensione di avere un gioiello così raro fra le mani che Gere, decise di improvvisare la scena in cui Edward mostrando la collana di diamanti a Vivian, chiude improvvisamente il cofanetto come a mangiarle le dita.
Continuando con l’analizzare l’outfit della bella Vivian, ricorderemo senz’altro anche la scollatura sensuale e delicata, incorniciata dal pizzo, dell’abito che indossa durante la prima cena di affari con Edward e i Morse, rappresenta una femminilità di altri tempi, degno di Audrey Hepburn.
L’abito indossato per fare shopping in Rodeo Drive, beige, a maniche corte, con una sfilza di bottoni sul davanti, è invece espressione dei primi anni Novanta, ma gli accessori neri come il cappello a tesa larga e la clutch lucida lo rendono senza tempo.
Tra gli abiti da giorno, il più iconico è di sicuro quello indossato per la partita di polo.
La seta con cui è stato realizzato era uno scampolo di un negozio di Beverly Hills: la quantità è stata appena sufficiente per creare il vestito, mentre per poter cucire il nastro del cappello è stato necessario accorciare l’orlo del vestito. Marilyn si era però innamorata di quella stoffa e anche qui il suo occhio ci aveva visto giusto!
Per questo abito si è ispirata ancora ad Audrey Hepburn in My fair Lady del 1964.
In questa scena compare inoltre una delle poche griffe indossate da Julia Roberts: le scarpe sono infatti di Chanel.
“I vestiti di Vivian raccontano davvero una storia. Quei primi quattro look – l’abito da “prostituta”, l’abito da cocktail nero, l’abito a pois e l’abito bianco che indossa per fare shopping – danno forma alla sua storia. All’inizio, indossa così tante “cose”: una giacca, quegli stivali, il cappello, è tutto molto impegnato. In ogni sguardo successivo, inizi a vederla prendere la sua direzione “less is more”. Alla fine, è semplicemente messa insieme: pura raffinatezza.”
E gli abiti di Richard?
Anche i costumi di Edward non sono certo stati improvvisati.
Tutti i suoi abiti, tranne lo smoking della serata alla Traviata che è stato acquistato, sono stati realizzati appositamente per lui dallo stilista italiano Nino Cerruti.
La Vance lo immaginava estremamente elegante, senza però nessun tipo di esagerazione.
Negli Stati Uniti non c’era niente all’altezza, anche in termini di materia prima, quindi la costumista volò a Biella nello stabilimento del Lanificio F.lli Cerruti per commissionare una serie di completi su misura.
“Tutti i suoi abiti, tranne lo smoking all’opera, sono stati realizzati per lui. Era destinato a essere un uomo d’affari elegante e di successo, ma nessuna delle tute – nemmeno il materiale! – lì negli Stati Uniti a quel tempo era giusto per lui. Tutto era sporco e pesante, e per lui, volevo davvero qualcosa di più elegante. Ho finito per andare allo stabilimento Cerruti di Biella per tutto. Riesci a immaginarlo oggi? Il tempo impiegato per fare tutto ciò, non sarebbe mai successo. Ma ne è valsa la pena.”
così risponde Marylin in un’intervista a Elle.
Ma cosa ha reso immortali gli abiti di Vivian?
Al di là dell’ingegno di Marilyn Vance e del portamento impeccabile di Julia Roberts, il mondo della moda ci ha messo indubbiamente il suo zampino.
Tanti i tentativi di imitazione e il voler riproporre lo stile di Pretty Woman, da Zara ad Asos, fino a Mango.
Non credete sia stato comunque facile girare la celebre scena in cui la protagonista va in giro per i negozi di Rodeo Drive, si perchè i produttori hanno dovuto aspettare la domenica.
La città di Los Angeles ha infatti delle regole ferree a riguardo: non si possono fare riprese durante i giorni feriali per non interferire con l’attività dei commercianti.
Le scene più belle
Strano a dirsi, ma le scene rimaste più impresse, sono senza dubbio quelle ironiche.
Come non scordare le
“stronze lumachine”
durante la cena d’affari e la prontezza del cameriere nell’afferrare l’escargot che vola via dal piato di Vivian, oppure
“quella gran culo di Cenerentola”
citata dalla sua ormai ex coinquilina e compagna di strada.
Siamo tutti solidali con la bella rossa che cerca in tutti i modi di farsi accettare in quel mondo patinato che ostenta ricchezza, e si scontra invece con l‘antipatia, la superbia e la dabbenaggine di due commesse poco inclini ad andare oltre l’apparenza; un vero peccato per chi lavora a percentuale.
Alquanto strana e surreale suona invece a Edward, la richiesta di Vivian
“E tu prenditi un giorno di ferie”
per assaporare la sensazione dell’erba sotto i piedi scalzi, leggere Shakespeare e comprare hot dog.
Chi non ha nelle orecchie il suono delle risate sguainate della Roberts, mentre guarda un telefilm stesa sulla moquette della camera d’albergo?
Bhe, per rendere verosimile la risata Marshall si mise a farle il solletico ai piedi nei momenti in cui non era nell’inquadratura.
Chi non ha mai sognato di fare il bagno in quella vasca, con tutta quella schiuma…certo, sarebbe stato tutto perfetto se non fosse accaduto che, per fare tante bolle che durassero a lungo, si utilizzò un detergente talmente forte da far scolorire i capelli della Roberts tanto da costringerla a tingerli il giorno successivo per farli tornare del colore originale.
Per la Roberts non deve essere stato facile anche girare alcune scene hot e calarsi nei panni di una prostituta e infatti in alcuni momenti, era talmente nervosa sul set, che per la tensione le è comparsa una vena sulla fronte.
Per ovviare al problema il regista Garry Marshall e Richard Gere si sono messi sul letto accanto a lei a massaggiarle la fronte finché non è andata via.
E chissà, forse il timore di altri imprevisti simili avrà convinto gli autori anche a modificare il manifesto del film.
Quella che è apparsa su poster, locandine e dvd infatti, non è Julia Roberts, ma la sua controfigura Shelley Michelle; la faccia dell’attrice è stata inserita in un secondo momento con Photoshop e anche i capelli di Gere sembrano aver subito un lieve ritocco, dal momento che nell’immagine appaiono neri, mentre nel film lui è brizzolato.
La scena che continua a farci sognare da oltre 30 anni però, è l’ultima, con lei che salva lui.
E noi siamo fieri di dire che se crediamo ancora nel colpo di fulmine, il merito (o la colpa, fate voi) è proprio dell’intramontabile commedia romantica di Marshall, con una formula semplice e schematica, è vero, ma strepitosa nell’evolversi della storia.
Due personaggi agli antipodi, un amore impossibile sulla carta, ma qui siamo al cinema, signori, e qualcuno lo ha definito fabbrica dei sogni non a caso.
E mentre Richard Gere sale le scale come i principi scalavano le torri delle loro amate, Julia Roberts sembra davvero spuntata dall’indimenticabile canzone di Roy Orbison che diceva “no one could look as good as you“ (nessuna potrebbe essere bella quanto te), Cenerentola ha avuto davvero molta ma molta fortuna.
Nonostante la storia colorata e alquanto surreale, (non capita certo tutti i giorni che un milionario si innamori di una prostituta) infatti, in questa favola si nascondono tanti messaggi, primo fra tutti che l’amore non ha barriere e che per quanto tu possa opporti o resistergli, lui avrà sempre la meglio.
E’ un film che fa ridere, sognare, riflettere. In fondo l’amore è capace proprio di questo: di farti ribaltare le abitudini e vedere il mondo con un altro colore.
Magari non sarà un milionario, ma se ci farà battere il cuore camminando su un prato.. allora sarà la nostra favola.
Perché in fondo ciò che il film vuole dirci è di Non smettere di sognare!
“Qual è il tuo sogno? Ognuno ha un sogno!”
Emozioni uniche quasi uguali alle nostre. È però quel quasi che fa la differenza. Articolo formidabile perché sottolineato dal valore della colonna sonora e non solo quella che da il titolo al film. Poi gli attori principali e la voglia di un qualcosa di diverso. Complimenti!!!
Articolo strepitoso!