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Il mistero di Henri Pick: una commedia brillante

Irene Pepe 5 anni fa Commenta! 5
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Ormai non ci sono più dubbi: i veri eredi di Billy Wilder parlano francese. Il favoloso mondo di Amélie non era un caso, ma solo l’inizio, ce n’est qu’un début, come si diceva in Francia un tempo, di una serie di commedie piacevoli e intelligenti. A me non è che non piacciano le commedie però, guardando i titoli dei film in programmazione di solito scelgo di andare a vedere altro; ma ormai ho imparato che i francesi le commedie le sanno fare e, se ce n’è una in cartellone, non me la perdo. Gli esempi? ce ne sarebbero molti, ma ne cito uno solo, perché ne è stato fatto un remake italiano. Mi riferisco a Bienvenue chez les Ch’tis, ben tradotto con Giù al nord. Era un film che, vista la tematica, avrebbe dovuto essere girato in Italia, ma ci hanno pensato prima i francesi, che ne hanno fatto un film esilarante e, a tratti, commovente. La sua versione italiana, Benvenuti al sud, nonostante tutti gli sforzi del buon Claudio Bisio, non è che un film carino.

Il mistero Henri Pick è la storia di un clamoroso caso letterario: un romanzo scritto da un anonimo pizzaiolo bretone, ritrovato da Daphné, una giovane editor, in una sala della biblioteca comunale, dove venivano conservati tutti i manoscritti rifiutati, che ottiene un successo senza precedenti. Ma il maggior critico letterario televisivo, Jean-Michel Rouche, non è convinto; non riesce a credere che un romanzo del genere sia farina (è il caso di dirlo) del sacco di un pizzaiolo. Per tenere ferma la sua posizione, perde il lavoro, la moglie lo lascia, quindi perde anche la casa, ma continua caparbiamente la sua indagine, che prende anche molte piste sbagliate, e lo fa assieme alla figlia del pizzaiolo, Joséphine, che ha, ovviamente, lo scopo opposto. Chiaro che la fine non va detta.

Dunque gran bel film, dove tutti i personaggi sono simpatici, anche se sono antagonisti fra di loro. Il villain della storia, alla fine, è l’industria dell’editoria che, ridendo e scherzando, è l’unica che fa una pessima figura. Un po’ come l’industria discografica in Yesterday.

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Credo che questo film, godibilissimo in Italia, in Francia sia piaciuto immensamente, visto che è l’unico paese nel quale la letteratura conta più del calcio. Eppure, a pensarci bene, è strano, perché non esiste un Dante o uno Shakespeare francese, ci sono molti autori bravi, ma nessuno che eccella sugli altri. La letteratura francese somiglia a un portafogli pieno zeppo di banconote da 20 euro, piuttosto che con pochi tagli da 50 o 100. Forse per questo un francese su tre scrive, perché non c’è un genio letterario che lo fa sentire inferiore.

Tornando al film. Ottimi attori: nel ruolo di Rouche, Fabrice Luchini, apparso, fra l’altro, giovanissimo in Il ginocchio di Claire di Rohmer, del quale abbiamo parlato (male) nel nostro articolo sulla rassegna in ricordo di Andrea Vannini e che ha lavorato con i maestri della Nouvelle Vague, in particolare con Rohmer e Lelouch. Gli altri sono attori francesi poco noti da noi, ma non per questo meno bravi, in più appare in un breve cameo Anna Schygulla. Altra cosa estremamente efficace sono i dialoghi, nei quali si sente una forte impronta della già citata Nouvelle vague, ma, incredibilmente, non danno ai nervi come quelli dei film di Rohmer che, quanto a essere noioso, se la gioca con Malick. Trovo che il linguaggio quotidiano si adatti molto bene alla commedia. Mi piace anche quello di Woody Allen che, però, mette un po’ in soggezione, perché hai sempre l’impressione di non aver afferrato qualche citazione. Senza voler togliere nulla a Truffaut e Godard, che amo quanto detesto Rohmer, se si fossero dedicati alla commedia, forse, avrebbero fatto film ancora più belli.

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