Ci sono storie, realmente accadute parecchi anni fa, che ancora oggi destano curiosità ed interesse e succede molto spesso che qualcuno decida di trarre un film, proprio per meglio spiegare avvenimenti e accadimenti.
C’era una volta un giovane di belle speranze che per conquistare la sua innamorata decise di fondare uno Stato in mezzo al mare attirando su di sé l’attenzione del mondo intero. Dopo varie vicissitudini, la bella capitolò e vissero per sempre felici e contenti.
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, dal 9 dicembre 2020 su Netflix , è un film – diretto da Sydney Sibilia e prodotto da Groenlandia – che racconta, come i più attenti avranno intuito dal titolo, una versione un po’ romanzata di cosa fu l’Isola delle Rose, una micronazione – mai riconosciuta dallo Stato italiano – costruita negli anni Sessanta, al largo di Rimini, dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa.
Sydney Sibilia lo ricordiamo tutti soprattutto per la trilogia di Smetto quando voglio e a dire il vero, se questa storia se ne allontana molto nelle premesse, nella sostanza, invece, gli è molto vicina.
Questa volta l’assurda storia di una persona che crea una squadra per tentare un’impresa che pare impossibile è tratta da un fatto vero (e assurdo), oltre a essere ambientata nel passato, cioè 1968.
È la storia della Repubblica delle Rose, uno stato indipendente fondato da Giorgio Rosa su una piattaforma da lui costruita da solo nelle acque internazionali, ma è anche la storia dell’unica guerra d’invasione della Repubblica Italiana.
Nella sostanza, però, non è troppo diversa dalla trilogia con cui il regista ha esordito, perché racconta di un uomo con una conoscenza molto approfondita della sua materia, che lo rende diverso dagli altri e lo fa integrare a fatica, portandolo a prendere decisioni che sarebbero folli per chiunque altro… eppure riesce in quell’assurda impresa.
Il film, come lo abbiamo visto noi
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose inizia con il finale, a Strasburgo nel novembre del ’68, quando Giorgio Rosa si reca al Tribunale europeo, che regola le dispute tra stati, per presentare il caso e spiegare quel che gli è accaduto.
Grazie ad un flashback quindi, riusciamo pian piano a ripercorrere gli eventi.
Bologna, un anno prima: l’ingegner Giorgio Rosa si abilita alla professione. È un tipo eclettico che viaggia su una strana auto senza targa che si è costruito da sé; ha un divano a posto dei sedili e fa tanto Diabolik
“e chi è Diabolik?”
Scorrazza per le strade di una splendida Bologna anni ’70, come mai l’avremmo immaginata, quasi come fosse descritta da una canzone di Lucio Dalla.
Imola, 3 mesi dopo: Giorgio ha una vera e propria illuminazione quando, durante una corsa automobilistica, vede un cartello che pubblicizza piattaforme petrolifere.
Rimini: la follia di Grgio inizia a prendere forma. Riesce a costruire una piattaforma di 400 mq a sei miglia dalla costa, su pali di ferro trasportati in maniera anche abbastanza fantasiosa, come lo è d’altronde l’idea di portarvi una trivella per trovare dell’acqua potabile.
1 Maggio 1968: unico desiderio, la libertà; e mentre tutt’intorno è un turbinio di ribellioni, scontri politici e rivolte studentesche, Giorgio Rosa dichiara l’indipendenza della sua isola artificiale, autoproclamandosene Presidente.
“Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose” (“Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj”) è il suo nome; la dota di una lingua ufficiale (l’esperanto), di un governo e di una propria valuta.
Da qui in poi, è tutto un rincorrersi e susseguirsi di eventi, luoghi e uomini di potere: New York con le sue torri gemelle, Roma, Palazzo Chigi e il Presidente della Repubblica Saragat, l’Onu, il Consiglio di Stato, persino il Vaticano.
Per un motivo o per un altro, a tutti l’isola da fastidio. Si perché fra feste, culi e richieste di cittadinanza, la libertà che si respira in quel posto fa paura
“la vostra è una libertà condizionata, perché quella assoluta vi spaventa”
La situazione si fa difficile, e per un attimo anche Giorgio ha il dubbio di aver fatto una cazzata, soprattutto quando la sua scelta inizia a pesare anche sulle persone a lui care.
Strarburgo: Giorgio si difende e lotta come un leone, da solo. Arrivano le minacce, e quando è lo Sato a fare la voce grossa, la paura si fa sentire.
Per fortuna però, alla fine, pur perdendo la libertà assoluta, trova l’amore.
Interpreti e personaggi
Giorgio Rosa è interpretato da un intenso Elio Germano, perfettamente calato nel personaggio.
Sarcastico, pungente, dotato di un’aplomb, una disinvoltura, e una sicurezza fuori dal comune, e sembra che fosse così il vero Ingegner Rosa.
Un giovane mai inopportuno, con la battuta sempre pronta, quella giusta; preparato, intelligente, sempre un passo avanti rispetto a tutti.
Certo, qualche differenza c’è; non si può infatti dimenticare che il vero Giorgio Rosa, che nel film viene dipinto come un romantico anarchico, nella realtà era un ex repubblichino che aveva 43 anni quando decise di intraprendere il suo sogno di indipendenza e che anche se il film non è un biopic, contribuisce inevitabilmente a mitizzare la figura dell’ingegner Rosa, continuando sulla strada aperta nel 2012 da Walter Veltroni e dal suo libro L’isola e le rose a cui si deve, non a caso, la consulenza storica del film.
Dall’altra parte della storia c’è lei, Gabriella (Matilda De Angelis), la ragazza con cui Giorgio è stato per tre anni e che nel frattempo è diventata professore associato di diritto internazionale.
È proprio lei nel film, per ben tre volte, il motore della vicenda: dapprima quando durante una lezione a cui Giorgio assiste dice che bisogna
“anteporre ciò che è giusto alle regole, alle leggi”
È questa la frase che dà a Giorgio l’imput per il suo progetto, con l’aiuto dell’amico Maurizio (Leonardo Lidi).
Una volta costruita la piattaforma ecco arrivare il primo abitante, il naufrago Pietro Bernardini (Alberto Astorri), seguito subito dopo dall’apolide Neumann (Tom Wlaschiha) e da Franca (Violetta Zironi), giovane barista incinta.
Il nuovo Stato è di fatto una discoteca che non dà fastidio a nessuno, ma ancora una volta Gabriella arriva sull’isola e dà il secondo impulso all’azione trattando Giorgio come un irresponsabile che si è costruito il suo giochino e annunciandogli che sta per sposarsi.
Come l’Orlando furioso colto punto sul vivo, scrive alle Nazioni Unite per ottenere il riconoscimento internazionale, suscitando in questo modo l’attenzione del governo italiano e dei media: il ministro della difesa Franco Restivo (Fabrizio Bentivoglio) è chiamato dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone (Luca Zingaretti) a risolvere la questione e anche lo Stato del Vaticano, che teme una deriva libertina, fa sentire la sua voce.
Per la terza volta è ancora l’intervento di Gabriella a sbloccare la situazione: è lei a dire a Giorgio che delle dispute tra Stati si occupa il Consiglio di Stato a Strasburgo e il cerchio si chiude.
La storia, quella vera
Nel 1958 Giorgio Rosa – che era nato nel 1925 – ebbe l’idea di progettare una sorta di isola artificiale da collocare al largo di Rimini, a circa 12 chilometri dalla costa, oltre le acque territoriali italiane. Per un paio di anni, Rosa fece numerosi sopralluoghi nella zona, studiando il sistema migliore per ancorare la sua piattaforma al fondale.
Superati alcuni problemi tecnici e finanziari, fu avviata la costruzione della struttura che richiese diversi anni, anche perché a causa delle condizioni del mare e del meteo non era possibile lavorare molte ore alla settimana nei pressi della piattaforma.
I lavori di Giorgio Rosa non passarono naturalmente inosservati e verso la fine del 1966 la Capitaneria di porto di Rimini chiese che i lavori fossero fermati, anche perché diverse aree nella zona erano state date in concessione all’ENI.
Anche la polizia si interessò alla vicenda, ma Rosa riuscì comunque a proseguire l’opera di costruzione e nell’estate del 1967 aprì al pubblico la sua isola, anche se c’era ancora molto lavoro da fare per ampliarla e migliorarla.
La piattaforma (una sorta di grande palafitta) aveva una superficie di circa 400 metri quadrati e Rosa dispose l’avvio della costruzione di un secondo piano, per raddoppiare lo spazio a disposizione.
Il primo maggio del 1968 Rosa dichiarò unilateralmente l’indipendenza della sua isola artificiale, nominandosene presidente. Chiamò la nuova micronazione “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose” (“Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj”) e la dotò di una lingua ufficiale (l’esperanto), di un governo e di una propria valuta. Il mese seguente tenne anche una conferenza stampa per comunicare al mondo la costituzione del nuovo stato.
Le autorità italiane non la presero bene, anche perché nacquero diversi sospetti sulla possibilità che la trovata di Rosa fosse uno stratagemma per non pagare le tasse sui ricavi ottenuti grazie all’arrivo di numerosi turisti e curiosi. Fu disposta una sorta di blocco navale intorno all’Isola delle Rose, in seguito al quale Rosa ottenne un colloquio con uno dei responsabili del Servizio informazioni difesa, i servizi segreti militari italiani, ma non se ne ricavò molto.
Sempre a giugno, una decina di pilotine della polizia con a bordo agenti e militari presero possesso dell’Isola delle Rose, che in quel momento era abitata solamente dal guardiano e dalla sua compagna. Rosa inviò quindi un telegramma di protesta all’allora presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, senza ottenere risposta. Nelle settimane seguenti ci furono alcune interrogazioni parlamentari a riguardo e l’invio a Rosa di diverse proposte di acquisto della piattaforma.
Ad agosto il ministero della Marina mercantile inviò alla Capitaneria di porto di Rimini un dispaccio, in cui veniva richiesto a Rosa di demolire la piattaforma costruita al largo di Rimini. L’ingegnere presentò un ricorso che fu respinto nonostante l’interessamento di alcuni esponenti politici, e nel novembre del 1968 a Rimini furono sbarcati a terra tutti i materiali trasportabili trovati sull’Isola delle Rose, in vista della demolizione con esplosivo della piattaforma.
Lo smantellamento avvenne nei primi mesi del 1969, la struttura resistette a due diverse esplosioni controllate, ma gravemente danneggiata si inabissò comunque in seguito a una burrasca di fine febbraio.
La vicenda ebbe numerosi strascichi, anche perché non aveva precedenti nella nostra storia giuridica. Le polemiche continuarono anche dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, secondo il quale le pretese di indipendenza e sovranità accampate dai proprietari della piattaforma erano infondate.
Anche fuori dall’Italia, si concluse, i cittadini italiani dovevano sottostare alle leggi statali.
Assurdità e colonna sonora
La Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose non fu mai riconosciuta da alcuno stato del mondo nel suo breve periodo di vita, eppure nel breve tempo in cui è esistita, a penarci bene, è riuscita a creare un qualcosa di unico e molto più coeso di tanti Stati che da secoli si proclamano tali, pazzesco.
La micronazione aveva come simbolo uno stemma su cui erano rappresentate tre rose rosse, con uno scudo bianco a fare da sfondo.
La bandiera era arancione con al centro lo stemma della repubblica.
La micronazione aveva un inno, un brano tratto dalla prima scena del terzo atto dell’Olandese volante di Richard Wagner.
La valuta scelta da Rosa e da chi partecipò al governo dell’isola – familiari e conoscenti di Rosa – fu il Mill, con un cambio alla pari rispetto alla lira italiana; non produsse in realtà mai banconote e monete della propria valuta, ma solamente alcune emissioni di francobolli.
Una delle emissioni mostrava la cartina dell’Italia con in evidenza la posizione in cui si trovava la piattaforma.
Negli anni questa storia è stata più volte ricordata, soprattutto di recente grazie al già citato romanzo scritto del 2012 di Walter Veltroni, che è anche stato consulente per il film di Netflix e poi, nel 2017, in seguito alla morte di Rosa, a 92 anni.
All’Isola delle Rose e alla sua storia sono dedicate anche alcune pagine dell’Atlante delle micronazioni, un libro di Graziano Graziani sulle storie – spesso molto strambe – di decine di altre micronazioni, presenti o passate, di vario tipo.
Graziani parla dell’Isola delle Rose come del
“più ambizioso tentativo italiano di creare una “nazione di fondazione”.
Lo stesso Rosa raccontò la sua storia in una sorta di memoriale, intitolato Il fulmine e il temporale di Isola delle Rose.
Il film scorre in maniera molto piacevole, con dialoghi ben studiati e capaci di tenere lo spettatore costantemente sull’attenti.
Il merito è anche della splendida colonna sonora, rivoluzionaria ed esplosiva; un vero omaggio anni ’60, con suoni che rievocano tutta la bellezza, le lotte e i sentimenti dei giovani di quel periodo.
Il regista Sydney Sibilia torna a collaborare col compositore romano Michele Braga, classe 1977, che si era già occupato della soundtrack di Smetto quando voglio – Ad honorem.
Le note con le quali l’autore suole accompagnare l’impresa del giovane ingegnere evocano l’avventura, infondono coraggio, talvolta hanno persino delle sfumature jazz o ancora ci immettono in atmosfere tipicamente da war movie o da giallo.
Nella scena in cui Germano si dirige con la sua sgangherata automobile a Strasburgo ad esempio o quella in cui l’isola sta per essere distrutta, si capisce in un solo istante tutta l’intrinseca diversità che Braga immette in quelle sette note.
La sua musica, accompagnata da brani pazzeschi e perfettamente in linea col periodo di riferimento, impreziosisce ogni dettaglio artistico e tecnico, da Mes Amis (Selectracks) nella scena d’apertura, a movimentare una fredda e innevata Strasburgo, a My Baby Loves Me di Mark G Hart & Stephen Emil Dudas nella cornice dell’autodromo di Imola; da rock dei The Kinks, una delle band inglesi più influenti degli anni ’60 a Nico Fidenco con Legata a un granello di sabbia; dal Geghegè, iconico brano di Rita Pavone a Sognando la California dei Dik Dik.
Insomma, una musicalità particolare, imbevuta di sogni e speranze, una storia così americana nella struttura e internazionale nelle musiche, che riesce a raccontare il ’68 e le sue idee meglio di 50 anni di cinema italiano canonico, trovando una maniera per mettere in scena il conflitto tra una nuova tipologia di italiani, un nuovo costume e nuove possibilità, e una vecchia classe politica che sembra mille anni indietro, ancorata ad altri linguaggi, paesaggi e frequentazioni, retaggi culturali bigotti e retrogradi, al limite della legalità e della libertà umana.
Negli ultimi fotogrammi del film si torna al presente con l’happy ending amoroso e l’abbattimento dell’isola documentato dalle immagini di repertorio e dalle didascalie che annunciano che:
“Ad oggi, la distruzione dell’Isola delle rose è l’unica guerra d’invasione commessa dalla Repubblica italiana.»
Per evitare che accadesse di nuovo l’Onu spostò il confine delle acque nazionali da 6 a 12 miglia. In tutto il mondo.
Il Consiglio d’Europa dichiarò di non potersi esprimere in merito alla contesa tra lo Stato italiano e la Libera Repubblica delle Rose perché l’isola risultava al di fuori delle acque territoriali europee. Riconoscendola implicitamente come Stato indipendente”.
Termina così quest’avventura folle e allo stesso tempo così carica di voglia di libertà, di innovazione, di progresso, di cambiamento.
Un’impresa che, anche se nella realtà dei fatti è stata fallimentare, in quella dei sentimenti è vincente eccome.
Ci insegna la determinazione e la coerenza, ci urla in faccia che la forza delle idee, di alcune idee, possono cambiare il mondo, perché come dice Gabriella in chiusura del film:
“L’importante è cambiare il mondo, o almeno provarci”