#gwyneth paltrow #goop
La conosco poco Gwyneth Paltrow. Ma sì, dai, vista qualche volta. Due parole eh, niente di che. La classica che la fa annusare persino quando dà baci sulla guancia per salutare, smack-smack, capace di appoggiare la mano sulla spalla del malcapitato di turno al solo fine di superare la fila al bancone della sangria.

Nasce a Los Angeles il 27 settembre 1972, figlia del regista Bruce Paltrow e dell’attrice Blythe Danner, nonché sorella di Jake, anch’egli regista come il padre. Insomma, una famiglia all’insegna dell’intrattenimento, dalle cui tradizioni religiose Gwyneth ha coniato il concetto sincretico di Chrismukkah, stella polare sulla quale poggia la spiritualità para-massonica e di stampo olistico alla base della piattaforma Goop, di cui Gwyneth è founder, giuria e boia.
Perché sì, com’è noto, Lady Paltrow ormai è più imprenditrice di sé stessa che attrice di grido, con l’azienda di lifestyle che le concentra sia le maggiori energie del quotidiano che le critiche degli invidiosi del web, tra cui spiccano le persecuzioni digitali del Cern e dell’Istituto Superiore di Sanità, responsabili del virale hashtag #gwynethnonmentire su X e nelle recensioni Mubi.
Teosofia a parte, qui interessa la carriera sul set di Gwyneth Paltrow, pure al netto del premio conferitole dalla rivista People come donna più commestibile del 2013, riconoscimento ancora discusso nelle chat di appassionati, più propensi ad assegnarlo a Maria Schneider nell’occasione.
I debutti contano zero, tanto Gwyneth è Bilancia, il successo cinematografico arriva col Seven di David Fincher, cult del 1995 sui peccati capitali in cui affianca Morgan Freeman, Brad Pitt e l’enigmatico John Doe, che sarà quel che sarà, lestofante nel profondo, ma che in fondo nel deserto ha fatto anche cose buone.
Nel 1996 arriva il primo ruolo da protagonista con Emma, adattamento del romanzo di Jane Austin diretto da Douglas McGrath, per poi giungere al 1998, anno di nascita di Charles Dickens, con quattro pellicole che la consacrano a livello internazionale.
Dalle metropolitane di Sliding Doors, film di Peter Howitt apprezzato sia da DonnaForte77 che da PiangoMaHoUn’Anima49, entrambe presunte vittime di Narcisista Patologico, si passa alle atmosfere thriller di Delitto perfetto, remake di brighella Hitchcock made in Andrew Davis, in cui Gwyneth assume il ruolo che fu di Grace Kelly. Dalla One Itis di Paradiso perduto, per la regia di Alfonso Cuarón, invece, si passa allo Shakespeare in Love targato John Madden, in cui Gwyneth non solo è Viola ma pure premio Oscar come migliore attrice protagonista e Golden Globe.
Il 1999, birbante, è l’anno de Il Talento di Mr. Ripley, firmato Anthony Minghella, dove Gwyneth è in una danza d’identità a cui partecipano altresì Matt Damon, Jude Law e Cate Blanchett, mentre nel 2000 è diretta dal padre Bruce nel musicale Duets, in cui si dimostra ugola d’oro in coppia con Babyface e Huey Lewis. Partecipa a I Tenenbaum, primo successo del 2001 di Wes Anderson, ancora scosso per l’urina sul tappeto, e nello stesso anno è protagonista con Jack Black di Amore a prima svista, film diretto dai fratelli Farrelly dove Tony Robbins fa capire perché il suo onorario da guru è triplo rispetto alle tariffe di Gwyneth Paltrow.
Ottenuto l’Oscar, comunque, la derivata della parabola di Gwyneth a Hollywood cambia segno. Decisioni errate, pressione dei media, Saturno contro. C’è chi parla di maledizioni, la Food and Drug Administration smentisce.
Vero, il teatro a West End, certo, con il Laurence Olivier Award 2003 vinto per la performance in Proof di David Auburn, parte replicata sul grande schermo diretta dal John Madden oscarifero nel 2005.
Tuttavia, divenuta genitore preferisce ridurre il lavoro nella recitazione, con apparizioni sporadiche quali Two Lovers di James Gray, pellicola a Cannes 2008 in cui è accanto a Joaquin Phoenix, Country Song di Shana Feste, opera del 2011 a tema rehab e guida in stato di ebrezza, e, ancora nel 2011, Contagion di Steven Soderbergh, con un cast di stelle, banchi a rotelle e runner inseguiti dalla Spectre, oltre al ruolo di Pepper Potts nel MCU, leggenda a Old Trafford da Iron Man del 2008 a Avengers: Endgame del 2019.
Il progetto cinematografico più recente di Gwynnie, a ogni modo, è Marty Supreme del 2025, dove è co-protagonista assieme a Timothée Chalamet, nei panni, lui, di un imbroglione che dà le paste a tutti a ping-pong. Però io, segugio della qualità, di Gwyneth Paltrow ho visto solo Mortdecai del 2015, film per il quale sia lei che Johnny Depp si fregiano della candidatura al Razzie Award come peggiori attori della stagione, causa baffetti e conati di riflesso. Non posso non citare, infine, Sky Captain and the World of Tomorrow del 2004, diesel punk retro-futurista nel cui cast spiccano Jude Law, Angelina Jolie e Marc Gené, che so di avere visionato ma di cui proprio non ricordo nulla.
Capitolo Gwyneth’s Love. Brad Pitt negli anni ’90, poi lunga relazione con Ben Affleck. Nel 2003 sposa Chris Martin, frontman dei Coldplay, dal quale ha due figli, Apple e Moses, prima del loro conscious uncoupling nel 2014, sulle note di Viva la vida e Parole parole. Nel 2018 sposa il produttore Brad Falchuk. Si vede che l’ha scritto l’IA, vero?