“In tutti i secoli è esistita una lingua in cui le persone colte riuscivano a comunicare. Il cinema è l’esperanto di tutti – e un grande strumento di civiltà. Per capire il suo linguaggio non c’è bisogno di nient’altro che di avere gli occhi aperti.”
Dal 1919 al 1960, il regista austriaco Fritz Lang (Friedrich Christian Anton Lang) ha realizzato 45 film, dei quali 15 muti e 30 sonori, spaziando tra i generi con disinvoltura e padronanza inusitate, da vero appassionato e sperimentatore. Nei suoi film ha saputo riversare il suo amore per la pittura espressionista, comunicando agli spettatori con l’universale linguaggio delle immagini, prima ancora che con le parole.
La giovinezza e gli esordi
Nato nel 1890 a Vienna, allora capitale dell’Impero austro-ungarico. Il padre. architetto, avrebbe voluto che seguisse le sue orme, ma il giovane Fritz segue le lezioni al Politecnico solo per un semestre: la sua ambizione è quella di diventare un pittore e, nel 1911 si trasferisce a Monaco, in Germania, per seguire i corsi del simbolista Franz von Struck. Nel 1912 inizia a viaggiare per l’Europa, guadagnandosi da vivere come illustratore di cartoline, sfruttando l’abilità acquisita frequentando l’Accademia di Arti Grafiche e si stabilisce a Parigi, nel quartiere di Mont-Martre, dove resta fino al 1914. Allo scoppiare della guerra rientra in patria e viene arruolato come ufficiale di riserva dell’esercito austro-ungarico, venendo ferito più volte e guadagnandosi alcune medaglie. Ferito gravemente resta ricoverato a Vienna per due mesi e dichiarato inabile al servizio attivo. In questo periodo inizia a scrivere sceneggiature, vendendole per arrotondare. Recita anche a teatro, dove viene notato dal produttore Erich Pommer, che gli offre un comtratto con la Decla, a Berlino, capitale del cinema tedesco. Lavora come scrittore e recita in piccoli ruoli, per avvicinarsi poi alla regia: il suo primo film risale al 1919 e s’intitola Halbblut (meticcio) girato durante l’insurrezione spartachista e oggi perduto., così come il suo secondo film, Der Herr der Liebe. Ha un buon successo un filn girato in due parti, tra il 1919 e il 1920, I ragni:il lago d’oro e I ragni: la nave dei diamanti. Ottiene nel 1920 la cittadinanza tedesca, tuttavia resta deluso quando la produzione affida una sua sceneggiatura a un altro regista e gli preferisce Robert Wiene per Il gabinetto del dottor Caligari: quest’ultimo film sarà poi da tutti considerato uno dei massimi esempi del cinema espressionista tedesco.
Il successo, l’amore e il nazismo
Nel 1921 Fritz Lang gira Destino (Der müde Tod) , una romantica favola d’amore che è il suo primo successo internazionale: come una ballata popolare il film è costituito da un antefatto, tre storie in costume, un ultimo atto e il finale. Alla sceneggiatura (o meglio alle didascalie) egli lavora in coppia con Thea von Harbou con la quale avvierà un sodalizio non solo professionale e i due si sposeranno nel 1922. Insieme con lei Lang girerà alcuni dei suoi capolavori come Il dottor Mabuse ,che egli fu costretto a spezzare in due parti a causa della durata eccessiva (270 minuti): Dr. Mabuse, il giocatore. Parte I – Il grande giocatore. Un quadro dell’epoca e Dr. Mabuse, il giocatore. Parte II – INFERNO. Un dramma di uomini della nostra epoca. Questo personaggio è l’incarnazione del Male e verrà ripreso da Lang altre 2 volte: nel 1933, all’avvento del nazismo (Il testamento del dottor Mabuse in cui il regista farà parlare il pazzo criminale con gli slogan del partito di Hitler e la distribuzione del film sarà vietata) e durante la guerra fredda che vedrà la Germania spezzata nel 1960 (Il diabolico dottor Mabuse, che è in realtà un prequel). Del 1927 è invece Metropolis, forse il primo capolavoro della fantascienza. Di questo film esistono varie versioni, tra le quali spicca certamente quella con colonna sonora rock di 87 minuti realizzata nel 1984 da Giorgio Moroder: nel 2008 fu ritrovata in a Buenos Aires una bobina, contenente circa il 95% del materiale girato, in una collezione privata, insieme con altre bobine contenenti versioni diverse del film. Il materiale è stato preso in custodia dalla fondazione intitolata a Friedrich Wilhelm Murnau e integrato nella pellicola: questa versione di 148 minuti, ritenuta la più completa, è stata proiettata con orchestrazione dal vivo al Festival di Berlino nel 2010. In Italia, a cura della cineteca di Bologna, il film è stato proiettato nel 2012 in 70 sale italiane. Da ricordare che il film, girato con mezzi tecnici avveniristici per l’epoca e decisamente in anticipo sui tempi non è stato un successo in Europa, ricevendo critiche molto pesanti. Metropolis è stato anche uno dei film più apprezzati dal Führer, che si dice avrebbe voluto Fritz Lang come cineasta del Reich. In Germania il geniale regista farà in tempo a girare ancora M – Il mostro di Düsseldorf, suo primo film sonoro: anch’esso sarà vietato dal nascente regime. Il 30 marzo 1933 Lang è convocato dal Ministro della Propaganda Joseph Goebbels che gli propone un posto da dirigente nell’industria cinematografica tedesca. Egli sembra accettare l’offerta ma fugge dalla Germania, cercando rifugio prima in Francia (dove gira La leggenda di Lilom) e poi negli Stati Uniti. Sua moglie Thea von Harbou rifiuta di scappare con lui e resta in Germania.
Gli Stati Uniti
Lang arriva negli USA nel 1934 e 5 anni più tardi diventa cittadino americano. Firma per la MGM e realizza una prima trilogia di film sociali: Furia (1936), Sono innocente (1938) e You and me (1938), quest’ultimo è una commedia sull’inutilità del furto: tutti e tre i film riflettono sulla giustizia sommaria e sui danni che essa può provocare, incolpando gli innocenti e lasciando liberi i colpevoli. Su incarico di Darryl F. Zanuck Lang gira anche dei western di buon successo, entrambi sul tema della vendetta: Il vendicatore di Jess il bandito (1940) e Fred il ribelle (1941). Quando gli Stati Uniti entrano in guerra, Lang non si sottrae all’impegno bellico, realizzando ben 4 film apertamente anti-nazisti: Duello mortale del 1941, Anche i boia muoiono, del 1943, scritto con Bertolt Brecht, Il prigioniero del terrore del 1944 e Maschere e pugnali del 1945.
Si specializza anche nei film thriller e noir, spesso dai risvolti psicoanalitici: esempi illustri del suo lavoro sono La donna del ritratto (1944), La strada scarlatta del 1945 (remake de La cagna di Jean Renoir) entrambi con protagonista Edward G. Robinson e soprattutto Il grande caldo (1953) e L’alibi era perfetto, suo ultimo film americano del 1956.
Ritorno in patria e riconoscimenti
Alla fine degli anni ’50 Fritz Lang torna in patria e gira due film ambientati nel misterioso continente indiano: La tigre di Eschnapur (1958) e Il sepolcro indiano (1960) che già aveva progettato prima della sua fuga e che non era riuscito a realizzare. Nel suo ultimo film, Il diabolico dottor Mabuse (1960), Lang offre al pubblico una attualizzazione del personaggio creato dalla sua fantasia negli anni venti: nella società moderna il potere occulto sono i mille occhi (Die tausend Augen) che spiano attraverso la videosorveglianza e la televisione.
Fino alla sua morte, avvenuta nel 1976 Fritz Lang ottiene numerosi riconoscimenti: nel 1962 gli viene dedicata una retrospettiva al National Film Theatre di Londra e nel 1963 recita, nella parte di se stesso, a Il disprezzo del francese Jean Luc Godard (qui sopra il trailer). Nel 1964 fa parte della giuria al Festival di Cannes. Nel 1971 a Berlino e a Vienna si organizza una grande retrospettiva delle sue opere e gli viene conferita la Medaglia d’Onore. Ti lascio con il commento di un critico molto più competente di me, che lo ritrae alla perfezione:
“A cavallo fra due culture – l’europea e l’americana – legato a una doppia ispirazione, figurativa e letteraria, il regista sviluppa le sue idee con lentezza e metodo, passo dopo passo. Sa essere monumentale e sarcastico, angoscioso e severo, esotico e divagante. Ma in ciascuna incarnazione mantiene il controllo, fermo, teutonico, del mezzo che usa, degli elementi narrativi, visivi, sonori che ha a disposizione. Godard gli dedica quel Mépris, Il disprezzo, che il settantatreenne maestro interpreta con serietà. È una dedica al cinema: un cinema che affronta i grandi temi senza paura o pudore (la morte, il destino, la colpa, il crimine ecc.) e offre allo spettatore una lezione severa, per nulla consolante, brutale a volte.”
(Fernaldo Di Gianmatteo, Dizionario Universale del Cinema, vol. I registi, p.843.)