Pochi giorni fa, esattamente il 9 agosto, ci ha lasciati Franca Valeri, alla veneranda età di 100 anni e una carriera alle spalle a dir poco invidiabile.
La nostra rubrica non poteva non rendergli omaggio, scegliendo un film particolare sia perché rappresentativo del suo legame con Napoli che nel 2013 l’aveva proposta per la cittadinanza onoraria sia perché la vede accanto ad un grande della comicità nostrana, Totò.
Totò a colori è da considerare non tanto il primo film italiano a colori (il primo in realtà fu Mater Dei di Emilio Cordero del 1950), quanto il primo omaggio dedicato al comico nel momento di sua massima espansione. Si tratta, infatti, di una sorta di antologia degli sketch più noti dell’attore, diretta da Steno che ha ideato la sceneggiatura insieme a Mario Monicelli, Age e Scarpelli: una serie infinita di gag e di battute diventate celebri affidate all’estro e al genio che era Totò, qui nella parte di Antonio Scannagatti, musicista incompreso che alla fine riesce a ottenere il ruolo di direttore d’orchestra del paese.
Pensando a Totò a colori la prima cosa che viene in mente è il Ferraniacolor e le difficoltà di ripresa con una pellicola di soli 6 asa.
L’uso di una pellicola a colori, per quei tempi, necessitava l’impiego di luci molto forti, e per chi come Totò aveva problemi di vista (era già cieco da un occhio), era davvero molto difficoltoso; pare che ad un certo punto la sua parrucca addirittura fumasse tanto era il caldo e nel bel mezzo di una scena addirittura svenne.
Fu davvero una bella scommessa per i produttori Ponti e De Laurentis, ed ebbe un successo incredibile, registrando il record assoluto di incassi per un film italiano, ma come spesso accadeva per i film il cui interprete era Totò, la critica non ebbe giudizi positivi .
Arturo Lanocita scriveva :
” [..] Questo comico che pure avrebbe possibilità e capacità di rinnovarsi , non esita davanti al fastidio della ripetizione . E continua a compiacersi della sboccata platealità . Se si ride? Certamente , ma a condizione di vergognarsi , talvolta , di aver riso .[..] In complesso il Totò usuale della farse . L’esperimento del colore , come procedimanto italiano , ha la discontinuità e le incertezze di tutti gli esperimenti .[..]”
Gian Luigi Rondi invece disse:
” Per tentare le vie del colore , il cinema italiano ha fatto ricorso a Totò e dal suo antico repertorio di rivista ha tratto alcune macchiette che , affidate ad un unico filo conduttore , potessero dar vita a un film a episodi abbastanza piacevole [..].”
La trama
A Caianello, ridente paesino, vive il maestro Antonio Scannagatti, musicista e compositore. Scannagatti, che si crede un genio della moseca (musica), ha inviato a suo tempo lo spartito d’una sua opera ai noti editori milanesi Tiscordi e Sozzogno; ma da quindici anni attende invano una risposta.
Il sindaco del paese intanto tenta di convincerlo a dirigere la banda paesana, a causa dell’improvvisa inabilità del maestro, nel giorno della festa per il ritorno a casa del gangster italoamericano Joe Pellecchia (Idolo Tancredi), originario per l’appunto di Caianiello: Scannagatti, inizialmente indignato dalla proposta, accetta solo quando il nipote del primo cittadino, mentendo, gli promette una raccomandazione presso l’editore Tiscordi, spacciando la sua fidanzata americana Poppy per sua segretaria.
La giornata di festa si rivela un fallimento: Pellecchia vorrebbe parlare dal balcone del municipio, ma il maestro Scannagatti glielo impedisce, facendo suonare in continuazione la banda, finché l’italoamericano si infuria e va via.
Il “Cigno di Caianiello” (altra auto-definizione di Scannagatti), insiste tuttavia nel reclamare il promesso intervento della presunta segretaria e poichè questa è andata a villeggiare a Capri, Scannagatti vi si reca, ospite di una bizzarra compagnia.
Qui il maestro viene spacciato per un eccentrico, “Pupetto Montmartre dagli Champs-Élysées”, e tra una sequela di gag ed equivoci con la padrona di casa Giulia Sofia (Franca Valeri) crede di riuscire ad ottenere un appuntamento con l’editore Tiscordi.
Dopo un’altra una falsa telefonata va fino a Milano; il viaggio in treno è vivacizzato da una serie di siparietti con l’altro occupante del suo scompartimento, il deputato Cosimo Trombetta (Mario Castellani), ed una signorina (un’avvenente e sensuale Isa Barzizza) piombata nella cabina che poi si scopre essere un’astuta ladra, che lascia entrambi i contendenti senza quattrini.
Giunto nella città meneghina, Scannagatti incontra Tiscordi in persona, ma a causa di un equivoco, questi lo prende per un infermiere e infine lo caccia via.
Le disavventure non sono finite: Scannagatti viene intercettato dal cognato, cui ha rubato i soldi per il viaggio a Milano, il quale minaccia di ucciderlo; per placarlo, il maestro finge di aver ottenuto un contratto da Tiscordi e lo porta sì in palcoscenico, ma in un teatro di burattini.
All’inizio Scannagatti riesce ad ingannare il furibondo parente fingendosi una marionetta e interpretando uno spettacolo, in cui si esibisce ballando sul tema di Parade of the Wooden Soldiers. Ma il cognato lo riconosce e lo incalza con il coltello, pronto a “sbucciarlo come un mandarino”. Sembra finita ma a sorpresa tutto va per il meglio: Tiscordi per caso legge e gradisce uno spartito di Scannagatti e il paese di Caianiello rende il giusto omaggio al suo “Cigno”. Ma a celebrare il compositore viene mandata una sua vecchia conoscenza, l’onorevole Trombetta…
Le scene che tutti ricordiamo
Seppur la trama sia piuttosto esile, non c’è una sequenza del film priva di una comicità irresistibile: Totò è attore, comico ma soprattutto marionetta creativa e assolutamente duttile, visto le sue esperienze nel teatro di rivista, in televisione e nei 97 film totali interpretati. Affiancato da due abili spalle come Rocco D’Assunta, l’odiato cognato siciliano, e l’amico Mario Castellani, il famoso Onorevole Cosimo Trombetta, il comico napoletano dà vita a scene rimaste nella storia del cinema italiano, di cui le più celebri sono sicuramente quella del vagone letto e quella del folle Pinocchio verso la fine della pellicola.
La scena del vagone letto è nata come gag nelle riviste che Totò portava in giro e da scenetta di pochi minuti, a furia di improvvisazioni ed aggiunte si è via via dilatata fino a raggiungere la lunghezza che conosciamo.
Ci regala alcune fra le battute più celebri e conosciute della comicità di Totò, dall’aggressione all’Onorevole nel Wagon lit
“Ma sei io la tocco, lei perché mi fa il ri-tocco?!”
Al gioco di equivoci che si crea attorno al cognome Trombetta:
“… ecco invece mia sorella fa… “
“Fa trombone”
“No no mia sorella fa trombetta… o meglio faceva trombetta, poi ha sposato un Bocca e adesso fa Trombetta in Bocca! ”
“E certo dove la vuole mettere”“Cosa?”
“La trombetta! Come cosa?”
“Non ha capito non è che mia sorella si mette la trombetta in bocca… Bocca è il cognome di mio cognato!”
“Si fidi di me, se la mette, non si faceva vedere da lei… “
Accanto a questa come non ricordare il momento in cui Antonio Scannagatti sta dirigendo la banda di Caianiello per l’arrivo del suo emigrato più illustre, Joe Pellecchia, arricchitosi da gangster in America ma accolto coi massimi onori grazie alle promesse di forti aiuti economici.
Joe vorrebbe fare un discorso dal balcone del municipio, ma ogni qual volta tenta di cominciare la banda riprende a suonare, mandandolo in bestia tanto da farlo scappare a pistole spiegate come in un western.
Dietro questo semplice scherzo musicale c’è un personaggio che sta costruendo il suo mito ed ha per la prima volta l’occasione di un riconoscimento pubblico, Antonio Scannagatti, contro un personaggio il cui mito è già costruito e inciso nelle coscienze dei cittadini e anche degli spettatori.
È anche un contrasto caratteriale quello che si viene a creare, l’italo-americano Joe, gangster goffo, burbero e violento, senza nessun reale affetto per il suo paese e con alcuni sospettabili tratti ripresi da Stanlio e Onlio (da Oliver Hardy in particolare) da una parte, Antonio con la sua musica, i suoi movimenti aggraziati e la sua verve comica dall’altro.
Come non ricordare, in memoria della compianta Franca Valeri, tutta la storia che si svolge a Capri, dove Antonio si reca in cerca di una signorina che afferma, mentendo, di essere in buoni rapporti con l’editore Tiscordi.
La trova in una casa alla moda, abitata da esistenzialisti, alternativi, individui bizzarri e in apparenza molto superficiali.
Introdotto nella casa dal viziatissimo figlio del sindaco (che la prima volta che appare sta giocando a terra come un bambino nonostante i baffi e l’aspetto non più giovanissimo) Antonio deve necessariamente camuffarsi.
Si cambia d’abito ma soprattutto deve seguire tre precise istruzioni:
“camminata internazionale, stanchezza congenita e al posto della “erre” la “evve”.
Antonio vi riesce benissimo diventando subito il centro dell’attenzione e inventando quel surreale momento in cui gli inquilini cantano Cab Calloway marciando e dandosi a lamentazioni con tanto di campana, tanto da sembrare una processione funebre.
Anche in questo caso Antonio non cede al senso comune, e invece delle chiccosissime ragazze con le ascelle pelose, cede all’attrazione per la formosa servetta.
“La serva serve, soprattutto se è bona, serve, eccome.”
In questo frangente, una bellissima e giovanissima Franca Valeri, interpreta la padrona di casa, Giulia Sofia, una snob dal cuore tenero, superficiale e affettuosa,
“sono satura di salsedine e di faraglioni”
Giulia Sofia è l’anima della festa, figlia di un padre ricco; trascorre il suo tempo in luoghi alla moda.
È l’incarnazione della milanese snob, che punta ad essere sempre glamour e popolare e da per scontati i suoi privilegi: divina in questo ruolo.
Ci sono poi due delle sue prestazioni marionettistiche più alte del Principe della risata: il “gran finale” dove si trasforma in direttore d’orchestra con annesso fuoco d’artificio, una furia di esplosioni a girandola e di continue metamorfosi assolutamente geniali, tant’è che lo stesso direttore d’orchestra fuoco d’artificio lo ritroviamo anche in Fermo con le mani e I pompieri di Viggiù, e il Pinocchio disarticolato che s’affloscia, lasciate le corde, in un mucchio angosciante di legni senz’anima, capolavoro di un Totò robot folle e metafisico.
La metamorfosi in marionetta è una delle scene più rivelative dell’attore Totò, tutta la sua capacità mimica è messa in mostra.
Anche il cognato che lo sta inseguendo, coltello alla mano, è ingannato dalla sua verosimiglianza e noi vorremmo esserlo quanto lui, quanto quei bambini che guardano lo spettacolo.
La Totò-marionetta sarà inoltre riutilizzata da Pasolini in Che cosa sono le nuvole? (1967).
Totò è un vero e proprio maestro, in tutto, non solo nel dirigere l’orchestra.
Steno, che lo diresse in quattordici occasioni, affermò che non ci fu molto da fare in regia:
“Fu come se avessi dato la macchina da presa a Totò. I suoi tempi erano perfetti, perché li aveva sperimentati anni e anni con il pubblico”.
Il proposito, come già detto, era quello di proporre un collage di sketch, nuovi o già presentati da Totò in teatro e dar loro un filo logico, una trama accessoria appunto.
A ripensare il film infatti non si saprebbe ben dire se venga prima la scena di Capri o quella del vagone-letto, il giardiniere o Joe Pellecchia, ma ciò non toglie nulla al risultato, non è la sequenza che conta, e neppure il preciso contenuto delle scene.
Sono ben note le enormi capacità improvvisative di Totò e la sua libertà sul set, testimonianze di Steno e Delli Colli (il direttore della fotografia) riportano quanto alcune scene o alcune battute siano state modificate proprio durante le riprese.
La bellezza, la forza di Totò a colori sta nel ritmo incessante e in una sottile e costante accezione satirica.
La comicità di Totò a colori è tutta giocata su scambi, di persona, di luogo ma innanzitutto su scambi linguistici, invenzioni, idiomi improvvisati, latinismi più maccheronici che mai.
Quella che viene a crearsi è una vera e propria confusione, un mischiarsi di livelli, di mondi, una piccola babele che ha il suo momento culminante nella celeberrima scena del vagone-letto che rappresenta uno dei vertici della comicità nostrana.
Nel 1952, quando uscì il film, la guerra era finita da soli sette anni, da sei l’Italia era una repubblica e la speranza di poter ancora credere e sperare in qualcosa, fosse anche la storia di uno squattrinato direttore d’orchestra che riesce a farsi un nome, voleva dire tanto.
Antonio Scannagatti poteva essere un uomo dei tanti, che ha passato la vita in un “paesucolo” come Caianiello e che solo per aver fatto tre anni di militare a Cuneo poteva sentirsi uomo di mondo tanto da vantarsene.
Le sue velleitarie ambizioni musicali sono messe in discussione per quasi l’intero film, costituendo di fatto la base comica su cui costruire gli sketch.
Alla fine del film però, la sua opera viene scoperta e riconosciuta come un capolavoro dall’editore Tiscordi (ovvia ironia sul nome Ricordi come l’altro Sonzogno, cambiata in Sozzogno) e si parla nel discorso di benvenuto che fa il sindaco di musica dodecafonica.
È un film dove la musica riveste senz’altro un ruolo fondamentale, anche quando viene derisa come quando il giardiniere, interpretato da Guglielmo Inglese, quando Totò sta entrando in scena sta cantando tra sé Malafemmena, scritta l’anno precedente, cambiandone alcune parole, facendone quasi una caricatura.
Il “Cigno di Caianiello”nel finale viene accolto in un paese festante.
È un paese reale, i ragazzi sono veri ragazzi accorsi lì per ammirare lo spettacolo cinema ed uno dei suoi beniamini, Totò.
Il tutto è ben chiaro negli occhi di un ragazzo che in una inquadratura sale su una finestra per vedere Totò, mentre l’occhio cinematografico ne riprende le bizzarrie.
Scannagatti è un vero signore, anche quando se la da a gambe e l’orchestra lo segue intonando un motivo tipico degli spettacoli di marionette all’epoca.
Totò in questa pellicola è tremendo, un’esplosione vera e propria.
Fa la caricatura del compositore ispirato, suona uno strumento a forma di donna e porta avanti la dignità del commediante incompreso, mai con pietismo, né con volgarità, perché i suoi personaggi sono esilaranti proprio in quanto indisponenti, maliziosi e fieri.
E poi si traveste da marinaretto col ciuffo laccato, ed è irresistibile quando tiene testa alla gente “bene” di Capri, viziata, annoiata, chic, decadente, effeminata alla quale sputa letteralmente in un occhio.
Il maestro Antonio Scannagatti entra nella storia, irrompe nelle nostre case e ci resta a tempo indeterminato.