Fino all’inferno di Roberto d’Antona – La recensione di iCrewPlay Cinema

Il 13 luglio 2018 si è tenuta l’anteprima per la stampa di “Fino all’Inferno”, il nuovo film di Roberto d’Antona

Una rapina, una banda di ragazzi scapestrati, una serie di eventi che si incrociano in modo imprevedibile e del tutto casuale, ma che cambiano il destino dei protagonisti. Comincia così Fino all’Inferno, il secondo film di Roberto d’Antona. Dopo The Wicked Gift il regista ha deciso di cambiare completamente genere, per assecondare quello che è stato da sempre il suo sogno.

Fino all’inferno è un sogno che prende vita, perché è sulle linee del cinema con cui sono cresciuto, con il cinema degli anni ’80, con il filone di Carpenter, Raimi per poi arrivare a Quentin Tarantino“.

Sono le parole con cui Roberto ci presenta la sua opera il giorno dell’anteprima, ed infatti nel passato ci sentiamo catapultati, lo vediamo ovunque. Dalle tavole calde, ai telefonini a conchiglia, alle musicassette, ormai dimenticate, al camper sgangherato che suo malgrado è uno dei protagonisti del film. Non ci viene sbattuto in faccia, ma il ricordo del passato è tutto nei dettagli, nei particolari delle riprese e non è possibile confondersi. In questo passato aggiungiamo un boss mafioso, un imprenditore senza scrupoli ed un gruppo di improbabili eroi: ladri e assassini, ma con un gran senso del valore dell’amicizia, della fratellanza e della giustizia. Avremo così la ricetta di un film che lascia la sensazione di una bella storia.

Il film va scoperto, pezzo per pezzo, perché la sorpresa di ciò che accadrà è parte integrante della sua bellezza; è per questo che non voglio fare nessun tipo di spoiler, per lasciare a voi le stesse sensazioni che ho provato io nel guardarlo per la prima volta.

Una trama semplice non vuol dire film banale, e Fino all’Inferno ne è l’esempio

“Un gruppo di rapinatori, in fuga verso la libertà, incrocia la propria strada con una madre e un figlio, anch’essi in fuga, e con la misteriosa maledizione che portano con sè. Ad inseguirli, un boss mafioso e una misteriosa organizzazione di uomini senza scrupoli. Ad aiutarli, una fidanzata gelosa e un ex-sbirro dai metodi sbrigativi. Il viaggio si trasformerà in una folle corsa verso l’inferno per salvare la vita del bambino e il destino del mondo”.

Fino all'inferno
Da sinistra: Roberto d’Antona (Rusty), Francesco Emulo (Anthony) e Alessandro Carnevale Pellino (Dario)

Non poteva essere più semplice la struttura della storia, ma da subito ci accorgiamo che la banalità è ben lontana da Fino all’Inferno. Nelle prime scene sembra di essere catapultati in un videogame, uno di quelli tipo Halo, in prima persona, in cui tutto ciò che vediamo è la visuale del protagonista. E più avanti lo ritroviamo questo stile, con la cinepresa che inquadra le mani, la pistola, e nulla più. Non vediamo il personaggio ma in quel momento lo siamo noi stessi.

Ma i riferimenti non si fermano qui, li riconosciamo ovunque. Per un attimo ci sembra di essere in Resident Evil, c’è persino una sorta di Umbrella Corporation. C’è Terminator, perché Julia assomiglia così tanto a Sarah Connor, disposta a fare qualsiasi cosa per assicurare un futuro al suo bambino. C’è persino un po’ di Matrix, poiché 066 con i suoi occhiali scuri ed il vestito elegante ricorda un po’ l’agente Smith, soprattutto per la caparbietà e le modalità spietate con cui porta a termine le sue missioni.  Ma non si tratta di plagio, badate bene, è un omaggio alla filmografia, per dimostrare come tutto può funzionare perfettamente anche se si svolge tra le montagne del novarese.

A tratti violento, ma sempre guidato da un filo di ironia sottile e ben presente

D’altra parte lo stesso regista ha messo in chiaro da subito che le sue grandi ispirazioni sono state Jon Carpenter e Sam Raimi, fino ad arrivare a Quentin Tarantino.

“Ovviamente sono dei miti per me, spero semplicemente di essere riuscito ad elogiare il loro cinema e di avere fatto un buon lavoro e che vi faccia divertire”.

E chi meglio di Tarantino ha portato la violenza sullo schermo in modo spudoratamente leggero e ironico? Ricordate Pulp Fiction? Ebbene anche in Fino all’Inferno la violenza non manca, ma è in grado di strappare una risata persino nelle scene più adrenaliniche. Irreale secondo voi? Ma il cinema è finzione, e non sempre deve avere uno scopo, se non quello di raccontare. Anche qui d’Antona non ha dubbi: “Quello che facciamo noi è cinema di puro intrattenimento”, non ha la presunzione di insegnarci nulla nè di trasmettere messaggi o ideali, solo intrattenere. Missione riuscita? Non del tutto direi, perchè quando dopo qualche ora ti ritrovi a riflettere ancora su alcune scene, forse c’è qualcosa di più.

La colonna sonora e gli effetti che hanno accompagnato la visione della pellicola, molto curati in tutti i dettagli, sono stati indispensabili a creare l’atmosfera giusta per ogni scena. Si urla, si strilla, anche le torture hanno un loro sonoro, giusto per aiutarvi ad entrare ancor meglio nella scena. La colonna sonora si adatta alle scene, cambiando di genere dalla musica anni ’80 a quella orchestrale, senza mai dare la sensazione che qualcosa stia stonando, anzi.

Fino all’inferno esce in tutte le sale italiane a partire dal 2 agosto. Volete un consiglio? Andatelo a vedere, non si sa mai cosa vi riservi il futuro. Anzi, forse si…

Cosa ci aspetta domani? Ci aspetta l’inferno.

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