Presentato all’ 81esima edizione del Festival di Venezia e vincitore del Premio Orizzonti per la miglior interpretazione maschile, Francesco Gheghi, Familia è un melodramma nero, ispirato a un fatto realmente accaduto. La storia di Luigi Celeste, una famiglia spezzata da rabbia, violenza e dolore. Un pezzo di cronaca nera, che si incanala in un film sperimentale che ripercorre l’infanzia e l’adolescenza del protagonista, attraverso uno sguardo atipico e malinconico che coinvolge lo spettatore con l’utilizzo di vari tipi di linguaggio cinematografico, dal thriller psicologico fino al tema sociale.
Familia: la storia di Luigi Celeste, dal 2 ottobre al cinema
Luigi ha vent’anni e vive con sua madre Licia e il fratello Alessandro, tutti e tre legati da un rapporto profondo. È trascorso ormai tanto tempo dall’ultima volta che hanno visto Franco, padre e compagno, la cui presenza nella famiglia si è sempre rivelata sinonimo di paura e prevaricazione.
Il giovane protagonista ora vive la strada, alla ricerca della propria identità, quel senso di appartenenza che finora gli è mancato. Si sente smarrito e perciò si unisce a un gruppo di estrema destra nel quale domina una potenza aggressiva.
Un giorno Franco torna a casa, rivuole i suoi figli e la sua ‘familia’ ma non è mai cambiato rischiando di avvelenare tutto ciò che tocca fino a rendere ‘prigionieri’ i suoi affetti più cari.
Diretto da Francesco Costabile, che prende parte anche alla sceneggiatura insieme a Vittorio Moroni e Adriano Chiarelli. Il cast di Familia è composto da Francesco Gheghi, Barbara Ronchi, Francesco Di Leva, Marco Cicalese, Francesco De Lucia, Tecla Insolia, Enrico Borrello, Giancarmine Ursillo, Carmelo Tedesco e Edoardo Paccapelo. Una produzione Trump Limited con Indigo Film e O’Groove.
Il film è ispirato alla testimonianza e al racconto di Luigi Celeste, attraverso il suo libro; Non sarà sempre così.
Avevo ventitré anni quando ho ucciso mio padre e solo dieci quando il tribunale lo allontanò da casa perché violento”
Familia: una denuncia alle istituzioni
Il nuovo film di Francesco Costabile, è l’ennesima denuncia sociale ma questa volta alle Istituzioni. La storia che Familia racconta è uno scorcio di vita vero e mai così tanto attuale. Fa emergere una storia, che pochi forse conoscono, ma che è emblema e testimonianza di una linea di difesa delle istituzioni che non funziona. Non è in questo caso solo violenza domestica, ma violenza assistita, psicologica e manipolazione mentale.
Tutte le volte, che le donne si sono sentite dire “denuncia”, “parla, racconta, non avere paura” e puntualmente ogni volte che lo si fa, le misure di sicurezza sono minime, pari allo zero, e lo si capisce quando ormai è troppo tardi. 1 caso su 3 in Italia oggi, è omicidio domestico o femminicidio. Da i casi più atroci, come quelli di Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin, dove c’è premeditazione e dolo d’impeto. Fino a quelli che in molti casi, coinvolgono i minori e figli come l’ultimo massacro di Nuoro, dove un uomo ha ucciso la famiglia, e un vicino. Dal delitti fino a tutte le atre forme di violenza verbale e psicologica che la vittima subisce oltre le percosse. Vere e proprie prigioni, dove la paura e la confusione prendono il controllo, tanto da non riuscire più a lottare, perché ormai allo sfinimento. E tante volte non è facile uscire da un situazione di manipolazione e inflizione simile.
L’unica cosa che rimane da fare è chiedere aiuto, alle istituzione e al servizio d’ordine, che per la maggior parte delle volte è vincolate da leggi che non permettono l’immediato intervento.
La legge 69 del 2019 e il fenomeno delle trad wife
Solo nel 2019, è stata realizzata la legge n. 69/2019 (c.d. codice rosso), che prevede ben 21 articoli (ancora in fase di lavorazione) in cui i provvedimenti apportano modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. L’ accellerazione delle tempistiche per la protezione delle vittime, e l’inasprimento delle pene per i delitti e reati di questo genere. La procedura penale invece ha dato il via del procedimento penale di alcuni reati; tra gli altri maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, con l’effetto che possono essere adottati più celermente eventuali provvedimenti di protezione delle vittime.
Dopo tre giorni dalla denuncia, il Pubblico ministero deve iscrivere la nota di reato e assumere informazioni sulla vittima che denuncia, e gli atti d’indagine devono avvenire senza ritardo. Sembra assurdo come in realtà solo 72 ore possano cambiare tutto. Eppure le misure istituzionali sembrano chiare e concise, ma le tempistiche di intervento sono ancora troppo lunghe, e troppo a favore del carnefice, che la maggior parte delle volte, possiede e controlla la vita delle vittime.
un fenomeno sociale di carattere strutturale, con radici culturali profonde che ancora oggi permeano le relazioni tra uomini e donne, alimentato e determinato dalla disparità nei rapporti di forza tra i due sessi”
Così viene definito la violenza di genere dalla commissione monocamerale del Senato. Un fenomeno che ha radice profonde e che è legato ancora oggi alla storia, e l’inesorabile ruolo del patriarcato nella società. Dalla funzione dei generi nel corso delle epoche e dalla continua distinzione tra ciò che appartiene e rilega uno dall’altro. La donna rilegata nel ruolo domestico, e l’uomo lavoratore, procreatore, segno di virilità e forza, forgiato dal fenomeno culturale della guerra.
Il rosa per le donne, il blu per i maschi. La gonna per le donne e i pantaloni per gli uomini. Gli aspetti e le contraddizioni che da sempre hanno forgiate epoche e rovinato generazioni. Le così dette Trad Wife, ancora oggi un fenomeno presente e immortalato in popoli e religioni come ad esempio il mormonismo, che mette i principi convenzionali dell’antica famiglia e i tipici ruoli famigliari. L’ultimo caso scoppiato nel web è quello dell’influencer Ballerina Farm, ex ballerina, di religione mormone come il marito.
La storia di Luigi Celeste
Quella di Luigi Celeste, è una storia di sconfitta, la sua personale, quella della madre e quella delle Istituzioni. A soli ventitrè anni è stato messo davanti alla scelta più difficile della sua vita. Un’età dove l’unico pensiero che si dovrebbe avere è quello di divertirsi, innamorarsi e fare l’amore. Ma lui fin a piccolo ha un’ombra che lo perseguita, la figura del padre, assente perché in carcere, ma allo stesso tempo presente, perché autore di violenza e predomino psicologico nei sui confronti, sul fratello e la madre. Vite spezzate, da persone sbagliate, accecate da rabbia, odio e codardia.
Mia madre grida. La sua voce invade il corridoio… Siedo da solo sul tappeto accanto al mio letto e ho in mano due pupazzi. Ho cinque anni. Mi alzo ed esco dalla stanza… fisso la porta della camera dei miei… il frastuono mi investe… Di fronte a me, la schiena di mio padre. È a cavalcioni sul letto e le sue braccia si muovono al ritmo di colpi secchi che sento crepitare sotto le grida. Vedo il braccio di mia madre di fronte al viso, il suo corpo immobilizzato, il rosso, il rosso sulla maglia, il rosso dappertutto… Grido. Più forte che posso, più forte di lei. Lui si ferma» – dal libro di Luigi Celeste
Un’infanzia non facile dominata dal dolore e dalla rabbia. Da quel perché, non siamo una famiglia come le altre? Fino alla ricerca costante, di controllare quell’odio e quella mancanza del tutto, incappando in estremizzazioni di movimenti che canalizzano la rabbia in modelli e sistemi politici, protagonisti degli stessi modelli sbagliati che portano alla violenza di genere.
«Avevo solo dieci anni quando il tribunale lo mise fuori casa per maltrattamenti», racconta Luigi
Era il 2008 quando sceglie di sparare al padre, dopo una serie di segnalazioni e aiuti richieste dall’istituzioni per far allontanare quell’uomo dalle loro vite. Puntualmente le denunce, gli avvertimenti venivo frantesi e archiviati. I lividi di Licia, le percosse e le innumerevoli rinunce, gli abiti, il lavoro, le amicizie. Luigi, si ritrova solo a combattere quel mostro, che mette a dura prova le loro scelte, manipola e gioca con le loro debolezze da anni. E poi lo sfinimento, l’abbandono alla rabbia e alla violenza, lo portano a sparare.
Luigi ha lottato da solo, in una via che purtroppo in quel momento per lui, era l’unica. L’ennesimo rifiuto, e abbandono dalle autorità. Le esperienze traumatiche subite da piccolo, nonostante la denuncia di Licia, che vide portarsi via i figli in una comunità educativa e lei in un centro antiviolenza. L’inizio di un incubo che non vedeva più la fine. Luigi ha sottolineato che nonostante il padre avesse subito pene per i maltrattamenti, gli era permesso di rimanere in libertà, evidenziando le fragilità del sistema giudiziario.
Dopo il tragico evento, Luigi davanti alla giustizia viene visto come carnefice e non vittima. Condannato a 9 anni in appello per l’omicidio del padre dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Sconta la pena a Bollate. Un percorso che lo cambia per sempre. Studia, si diploma in sicurezza informatica. Ad oggi, Luigi Celeste è un’esperto informatico e vive a Strasburgo. Si fa portatore di una storia che lo ha segnato. Ucciso ma allo stesso tempo fatto rinascere.
Familia: una storia che doveva essere raccontata
Familia ripercorre con sperimentazione tecnica e linguistica una storia oscura, che non racconta un bel finale, anzi fa riflettere. Un trauma immerso in una nube nera, dove al centro non c’è solo la violenza domestica ma quella assistita, quella psicologica, la manipolazione e la violenza. Una violenza che rimane tale ma che a volte muta in scelte drastiche e da cui non si torna più indietro. Non si parla di vendetta, ma di dolore, rabbia e prigionia.
A volte le forze dell’ordine e le istituzioni demotivano la vittima con l’incapacità di cogliere i segnali. -Francesco Costabile
Il regista lo fa, tramite un’acuta visione realistica dei fatti, l’estetica della scenografia scompare quasi dando spazio all’ineffabile riflessione etica. Quasi come se, stessimo seguendo il protagonista in un’agoniante e infinita visione documentaristica della sua vita, poiché il finale in realtà è incanalato tutto nel suo personaggio, e quello che si porta dentro.
Un viaggio che ho seguito da varie testimonianza di donne, incontri, da Una Femmina fino all’incontro con il libro di Luigi Celeste.
Ad oggi Luigi Celeste ha dato un finale alla sua storia, che non termina con la morte di Franco ma con un risveglio della sua coscienza. Con questa storia si portano alla luce tante tematiche, a quelle già citate si aggiungono l’incapacità di cogliere i segnali da parte delle forze dell’ordine e dalla poca assistenza psicologica per chi è vittima di violenza. Ad oggi, la lotta è portata avanti dai centri antiviolenza, ancora pochi e disomogenei in alcune parti d’Italia.
In Italia ci sono circa 350 centri su territorio, ma in alcune zone e regioni, come la Calabria, solo una decina- dice la vicepresidente della Fondazione Uno, nessuno e centomila, Celeste Costantino
L’anteprima stampa e l’importanza dei centri antiviolenza
A prendere parte in questa storia c’è la Fondazione Uno, nessuno e centomila, che cura la sicurezza di moltissime donne e vittime della violenza domestica. A presentare il progetto la presidentessa Giulia Minoli e la vice presidente Celeste Costantino.La presidente onoraria è Fiorella Mannoia, che ha curato il concertone tenutosi all’Arena di Verona lo scorso 5 maggio. Un iniziativa che nasce per;
promuovere la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, anche attraverso un cambiamento culturale nella società, utilizzando linguaggi artistici e immediati come la musica, il teatro, il cinema ed entrando nelle scuole italiane con iniziative educative sull’affettività, coinvolgendo insegnanti, ragazzi e ragazze.
In questo caso, è un’aiuto più sistematico e psicologico, per chi denuncia, quando come nel caso di Licia e la famiglia Celeste, le istituzioni non agiscono o ignorano i primi segnali di chi è vicino alla vittima protagonista di abusi e violenze.
è un film importante per i giovani, perchè saranno le famiglie del futuro- dice l’attore protagonista, Franscesco Gheghi
Familia: la regia sperimentale non sempre è sintomo di originalità
In questo caso, il regista di Familia, sperimenta a livello tecnico tanti format linguistici; dal thriller fino al drammatico con il tema sociale della violenza in tutte le sue forme. E’ interessante come progressivamente l’osservatore, man mano che la vicenda prosegue, entri in sintonia con i pensieri del protagonista. Quella porta sempre più lontana, come ossimoro del ricordo doloroso e invarcabile di Luigi, che nel finale riuscirà ad aprire dando sfoga a dolore, rabbia e odio. Quell’ennesimo atto di violenza del padre nei confronti della madre, una scena forte che inquieta e angoscia chi guarda come se fosse realmente protagonista di quel racconto.
Si creano così due punti di vista, quello impersonale e quello personale. Dove la violenza (quella consumata da Luigi) non viene giustificata ma è oggetto di comprensione e pietà verso chi lo compie. Un’ampia riflessione porta alla scelta del protagonista di uccidere, e di rispondere alla violenza con la violenza. In quel caso unico spiraglio e via di uscita per la vittima, oppressa e violata psicologicamente.
in questo film ho esplorato l’ombra.- così dice il regista
Il finale è traslato in maniera chiara, non c’è compassione o pietà per nessuno delle vittime. L’unica aurea che avvolge l’inquadratura è l’ombra che risucchia entrambi, riuscendo a far emergere la sconfitta e la misfatta sia dell’omicida che della vittima. Che in qualche modo poi, risulterà essere il contrario.
Alcune scelte stilistiche, non sono niente di non visto, nel finale dove il protagonista si avvicina alle sirene c’è quasi un’offuscamento della vignettatura come per metafora della confusione mentale del protagonista, una scena quasi simile allo stile di Euphoria, ricorda quell’andamento iconografico.
Nel contempo, il luna park è un clichè. La sala degli specchi e le scene in cui Luigi e Giulia, consumano gli ultimi atti di un’amore teso e comandato dalla tossicità e il dolore degli eventi subiti da lui in passato. Tutto segue costantemente il ritmo psicologico del protagonista e chi guarda è quasi risucchiato nel suo stato attuale emotivo e mentale.
Le scene di violenza sono forti, potenti e poeticamente oscure e brutali. Dalla scena dell’ascensore dove si consuma l’ennesima manipolazione fisica e psichica di Licia (Barbara Ronchi) da parte di Franco, fino a quella della scomparsa dei suoi vestiti dall’armadio, un’altro segnale ossessivo e dominate del carnefice. E poi la scena di sesso, dove con unica interazione da parte di Franco (Francesco di Leva), si nasconde tutta la brutalità e l’orrore del controllo sulla compagna.
Piccoli segnali, che sono un campanello d’allarme, ma che troppe volte per paura o irrazionalità non vengono riconosciuti dalle vittime. Familia, è un racconto autentico che tocca con cura tematiche difficile, non facili da esporre in una società dove è diventato quasi “normale”, sentire un caso di femminicidio al giorno in tv. Dietro non c’è solo la storia di Luigi, c’è la storia di Licia la mamma, e quella di Alessandro il fratello.
E ancora la fragilità e la debolezza vista come strumento di prevaricazione, e quindi poi l’inserimento e l’abbandono a gruppi di entità estremista che punta a forgiare caratteri e uomini che non possono sbagliare, che non devono sbagliare.
C’è di mezzo la disparità di genere, i modelli culturali sbagliati e la difficoltà di reagire a traumi di questa portata. Il film si ispira quasi fedelmente alla storia di Luigi Celeste portando alla luce una visione quasi documentaristica dei fatti con qualche eccezione traslata di eventi e interpretazioni stilistiche.
Lì dove It ends with us aveva fallito, il film di Costabile è una denuncia coraggiosa alle Istituzioni che ancora non hanno le giusti misure per combattere questo fenomeno. Basti pensare al Massacro del Circeo, avvenuto alla fine degli anni 70, quando lo stupro era definito all’ora solo un’offesa morale. Dopo la testimonianza della sopravvissuta, Donatella Colasanti, partirà una lunga lotta per modificare la legge e la mentalità di un Paese. Una battaglia che vedrà la fine solo nel 1996, quando lo stupro sarà dichiarato ‘delitto contro la persona’ e punibile penalmente.
Di strada ce ne è ancora tanta da fare, e grazie al cinema, la musica e l’arte, si sensibilizzano questi temi che diventano un grido sociale alle ingiustizie e allo Stato che deve difendere e non aiutare il carnefice.
Familia, di Francesco Costabile, dal 2 ottobre al cinema.