In cantiere Dawn breaking del videoartista cinese Yang Fudong, in attesa nei cinema per il 2020
Yang Fudong è l’artista cinese più conosciuto all’estero; in Italia ha esposto alla Biennale del 2016 e a Palazzo Grassi a Venezia e a Palazzo Dungani a Milano. Yang è passato dalla pittura alla videoarte e ora sta preparando un film. Si tratta di un film interamente girato all’interno del Lung Museum di Shangai, col pubblico del museo che assisteva quotidianamente alle riprese del film e poteva vedere, a fine giornata, il girato su uno schermo; il film si è trasformato così anche in una performance artistica.
Dal momento che siamo sempre stati attenti a quello che arriva dalla Cina, che mostra di avere grandi potenzialità in campo artistico, vorremmo riportare un estratto di una più lunga intervista apparsa su Alias, supplemento culturale de Il Manifesto del 4 agosto. Consigliamo la lettura integrale dell’articolo, la lettura di Alias che è uno dei supplementi culturali più interessanti e originali e la lettura di il manifesto che, fra mille problemi, riesce ancora a fare libera informazione e, coi tempi che corrono, non è poco. Veniamo all’intervista e vediamo come Yang ha realizzato Dawn breaking: “È un progetto che era in gestazione da circa tre anni e che sono riuscito a realizzare solo nel 2018, il primo di una serie di episodi che porterò avanti con tenacia. Quando il curatore Wang Wei mi ha suggerito di utilizzare gli spazi del Long Museum per girare un mio film, ho avuto l’idea di attuare una modalità davvero innovativa. Per 36 giorni di fila ci siamo appropriati del museo, creando una mostra on.going: ogni giorno filmavamo in ambienti che ricostruivano il periodo della Dinastia Song (960-1279 d.c.) e a sera il girato veniva proiettato su un grande schermo monocanale a disposizione del pubblico, invitato a entrare e a partecipare. Non so ancora quando sarà pronto, forse l’anno prossimo, e probabilmente verrà presentato sia sotto forma di video installazione sia come film monocanale. Mi interessa infatti che venga visto da una audience più vasta possibile, all’interno di film festival e nel contesto di una mostra itinerante”. Gli intervistatori, poi, chiedono a Yang quale sia la funzione della grande pagoda che spicca nella scenografia. “È una struttura dalle dimesnioni imponenti, mostrata in due sezioni, che rappresentano diversi aspetti della società dell’epoca: l’autorità da una parte, la vita pubblica e il dramma sociale dall’altra. Dapprima la pagoda è nuova e piena di fiori (primavera), poi decadente e rinsecchita (autunno). Insomma ci mostra sia il ciclo della vita sociale, sia le quattro stagioni coi loro scenari peculiari. A quel’epoca, la Dinastia Song era all’avanguardia nel mondo, ricca e prosperosa, garantiva grande libertà di espressione artistica ed enormi risultati in campo tecnologico. Poi subentrò la minacci aterritoriale delle tribù del nord della Cina, cui fece seguito un lento decadimento generale. È una metafora di quel periodo storico, ma anche dei tempi che stiamo vivendo”.
Questo è quanto Yang dice del suo film. Da noi sarà più probabile vederlo in qualche rassegna d’arte moderna che al cinema. E a proposito di arte moderna, fra pochi giorni sarò alla Biennale di Arte Moderna di Venezia, dove lo stand della Cina è senz’altro fra i più interessanti della rassegna. Per dare un’idea, ecco alcune foto dello stand cinese delle edizioni passate.